Da anni rincorriamo compulsivamente il riconoscimento e il rispetto dei diritti dei nostri familiari con disabilità. Talvolta capita pure di non riuscire ad acchiapparli, in altre occasioni ci sfuggono.
Pur carichi di mille preoccupazioni, ma sospinti dalla volontà di cambiare lo stato delle cose, un gruppo di genitori ha pensato di rimboccarsi le maniche, di “sporcarsi le mani” e di impegnarsi attivamente per provare a modificarle, progettando un presente e un futuro diverso per i propri familiari. Il tutto immaginando nuove strade e contesti, alternativi a quelli esistenti e consolidati. Luoghi, spazi e occasioni diversi dai Centri Diurni o dalle strutture all’apparenza funzionali all’assistenza e alla cura delle persone con disabilità, ma nella realtà luoghi dell’oblio, dell’isolamento o, peggio, scenari in cui si consumano quelle violenze, quelle costrizioni, quegli abusi che purtroppo le cronache spesso ci riportano.
Da questa consapevolezza e assumendo distanza da questo oscuro orizzonte, nasce a Selargius (Cagliari), in Sardegna, il Progetto Utopia, per rilanciare una sfida culturale, una visione nuova dei percorsi in favore delle persone con disabilità, sia essa fisica che intellettiva o relazionale.
Progetto Utopia nasce dall’idea di impegnare giovani con disabilità in attività a stretto contatto con la terra e con la natura, grazie alla generosità di un amico che, in maniera totalmente gratuita, ha messo a disposizione un terreno agricolo per realizzare le nostre iniziative. L’appezzamento si trova nella campagna cagliaritana di Selargius, ma è facilmente raggiungibile. La risorsa, inoltre, è arricchita da un piccolo teatro che sarà destinato ad attività al chiuso.
L’obiettivo di questa iniziativa è quello di impegnare le persone in situazioni pratiche e utili, ridare dignità alla loro quotidianità, stimolare il miglioramento delle loro capacità manuali e cognitive, contribuendo a migliorarne le autonomie e il livello di inclusione sociale.
La quotidianità di molte persone con disabilità, infatti, è purtroppo segnata dalla mancanza di alternative valide all’isolamento e alla segregazione. In molti Centri Diurni esse trascorrono spesso i loro giorni a non fare nulla. Vengono “parcheggiate” senza realmente investire sul loro benessere e sulla loro maturazione.
Senza qui interrogarsi sul perché queste realtà continuino ad esistere e ad essere tali, il Progetto Utopia si rivolge a chi ritiene ancora ineludibile contrastare i luoghi segreganti e le istituzioni totali, anche perché dopo la Legge 180 – ben nota come “Legge Basaglia” – questa convinzione appare molto indebolita, mentre noi riteniamo vada concretamente rivitalizzata e applicata nella sua concretezza.
Il punto di partenza, nonché la sfida decisiva del progetto, è quello di coinvolgere attivamente i familiari delle persone con disabilità, che devono ridiventare i primi attori nel percorso di cura e assistenza dei propri cari, se questi non sono in grado di autodeterminarsi, sottraendoli di fatto al “parcheggio” in luoghi dalle oscure finalità e dalla scarsa valenza inclusiva. Saranno i genitori in primis ad operare in continua interazione e integrazione con tutte le figure che intervengono nella loro quotidianità, altri familiari, amici, educatori, assistenti.
La scelta di impegnare e impegnarci con i nostri ragazzi in attività all’aperto, a contatto con la natura e con la terra, parte dalla presa d’atto che la ricostruzione di un rapporto attivo con gli elementi della natura e dei suoi cicli naturali possa contribuire fortemente al benessere psicofisico di ognuno. E ne abbiamo già riprove concrete.
Inoltre, osservando i nostri ragazzi, abbiamo intuito che esistono forti corrispondenze tra i cicli della natura e alcune loro stereotipie (specialmente nelle persone autistiche). Per anni, infatti, si è lavorato terapeuticamente per superare queste stereotipie, spesso senza grandi successi: le stereotipie sono rimaste, come per altro gli stereotipi nei confronti di queste persone. Da qui l’idea di “sfruttarle positivamente” a loro vantaggio: la ripetitività dei cicli di lavorazione della terra, della semina, del raccolto, ci hanno spinto a sperimentare – ribaltando il paradigma e capovolgendo l’approccio – l’uso di queste stereotipie in maniera attiva, “utile”, e l’esperimento sta restituendo grandi soddisfazioni.
Abbiamo quindi pensato di “ritornare alla terra”, luogo di nascita e di cessazione del tutto, luogo vivo, luogo originario, luogo di regole e di libertà. Insieme ai ragazzi, ai quali vengono assegnati dei precisi ruoli, abbiamo portato a termine diverse attività, tra le quali la strutturazione del pollaio e la ripulitura del terreno; abbiamo avviato un orto sinergico e ora stiamo lavorando alla costruzione di una serra.
In queste fasi di avvicinamento dei ragazzi alla terra, essi sono stati impegnati attivamente in varie attività, che vanno dal trasporto alla formazione dei bancali di terra, dalla copertura degli stessi con la paglia, alla piantumazione e ora, con loro e con nostra grande gioia e soddisfazione, al raccolto!
Con il raccolto di fichi, albicocche e limoni, abbiamo potuto confezionare le marmellate, lavoro che li ha impegnati nell’operazione di lavaggio e pulitura dei frutti, nella preparazione della ricetta e nel confezionamento del prodotto finito. In questo percorso è stato possibile cimentarne l’attenzione e l’impegno nella motricità fine e nel coordinamento delle varie azioni della lavorazione; non è semplice, ci sono riusciti!
Dalle risposte positive ottenute si sviluppa la necessità della ricostruzione di un rapporto diretto con la terra. La scelta dell’orto sinergico scaturisce anche dalle affinità intrinseche tra questo tipo di coltivazione e alcuni aspetti della disabilità dei nostri ragazzi. L’agricoltura sinergica, infatti, impone che gli spazi di produzione non vengano alterati con azioni superflue (ad esempio smuovendo il terreno), ma che si cerchi di sfruttare l’autofertilità del terreno, che in sinergia con gli elementi biologici presenti in natura, agisce come un vero e proprio organismo vivente.
Riteniamo che questo concetto, questa sinergia, sia molto importante e applicabile anche alle persone: qualsiasi sia il loro funzionamento, hanno insita quella stessa “autofertilità”, una capacità naturale di “produrre” azioni positive e utili in sinergia con l’ambiente che li circonda.
Non abbiamo tuttavia la pretesa di alterare la loro “condizione”, bensì mettiamo in atto delle strategie mirate, con l’intento di fare emergere da loro il meglio e il massimo di quello che possono dare, a contatto con la terra e con la natura, che assumono in questo percorso un alto valore terapeutico, una risorsa importante.
Se è vero, com’è vero, che il contatto con la natura e i suoi elementi svolge un ruolo positivo e benefico sui nostri ragazzi, è altrettanto vero che essi hanno altre “fertilità” sopite, che attraverso ulteriori percorsi stiamo tentando di far emergere. Stiamo infatti lavorando alla strutturazione di alcuni laboratori che partiranno nel prossimo mese di settembre, comprendendo attività di musica, canto corale, disegno con aerografo, costruzione e messa in scena di piccoli spettacoli con le marionette, riciclo e riutilizzo di materiali e tante altre cose molto interessanti delle quali daremo notizia in seguito.
Tornando alla filosofia generale del Progetto Utopia, con esso intendiamo proporre un’alternativa sostenibile all’offerta attualmente presente sul territorio, vogliamo tirare fuori dai Centri Diurni e da qualsiasi struttura o pratica segregante il maggior numero possibile di persone, coinvolgendole nel nostro progetto, che nasce e intende svilupparsi in maniera dinamica, interagendo sinergicamente con altre realtà progettuali esistenti.
Partiamo dalle persone e non dalla loro disabilità, pensando che questa sia un azione non più rimandabile; per farlo, però, abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti e in primo luogo, come detto, dei genitori delle persone con disabilità.
Ad oggi il progetto è autofinanziato e autogestito, tutto il lavoro svolto è frutto dell’impegno e della fatica di noi genitori e dei nostri ragazzi/e; ci auguriamo però che a stretto giro, sia gli enti pubblici che quelli privati si interessino all’iniziativa e ci aiutino a sostenerla e a implementarla.
Riteniamo ormai inefficaci, incompleti e anacronistici i modelli attualmente esistenti, frutto di una concezione vecchia e affaristica della disabilità. Ancora ad oggi si prevede l’istituzione di Centri Residenziali e Semiresidenziali per l’internamento delle persone con disabilità, ribadendo di fatto una visione limitata e ormai fuori del tempo degli interventi a favore delle disabilità, reiterando l’idea che le persone con disabilità possano trarre giovamento dall’internamento in strutture che le allontanano dal mondo, dalla comunità, dalla società, relegandole in un limbo desolato.
Noi non intendiamo accettare queste condizioni, non possiamo accettarle, anche in forza di un’esperienza sarda che da anni ha creato un modello esemplare di personalizzazione degli interventi a favore delle persone con disabilità, con i Piani Personalizzati della Legge n. 162/98, una prassi ormai nota come “Modello Sardegna”, che è allo studio di diverse altre Regioni italiane, e grazie al quale i primi attori di questo percorso di cura e assistenza delle persone con disabilità, sono le stesse persone con disabilità con i propri familiari, in grado di poter progettare e scegliere percorsi personalizzati ed evitare l’istituzionalizzazione e la compromissione di ogni propria volontaria scelta.
Progetto Utopia, dunque, è la congruente espressione di un gruppo di genitori non più disposti ad accettare le condizioni attuali e, al contrario, pronti a lanciare nuove sfide culturali e ad inseguire nuove utopie. Per realizzarle, vale la pena ribadirlo, abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti.
Responsabile della comunicazione del “Progetto Utopia”.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: progettoutopie@gmail.com.
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