Rapido e doveroso riepilogo introduttivo: fu la Legge 162/98 (articolo 1, comma d) a stabilire lo svolgimento, «ogni tre anni», della «Conferenza Nazionale sulle Politiche dell’Handicap». In realtà, le Conferenze da allora sono state quattro, la prima a Roma, nel dicembre del 1999, la seconda a Bari, nel febbraio del 2003, la terza a Torino, nell’ottobre del 2009 e la quarta a Bologna nel luglio del 2013.
Nel 2009, poi, la Legge 18/09, con la quale l’Italia ha ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ha previsto, presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la formazione dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, composto da rappresentanti delle Istituzioni nazionali e locali, degli istituti previdenziali, dell’ISTAT, delle confederazioni sindacali, di Confindustria e – non ultime – delle organizzazioni di persone con disabilità. Compito di tale organismo, insediatosi alla fine del 2010, è innanzitutto quello di tutelare, monitorare e promuovere l’attuazione dei princìpi sanciti sia dalla Convenzione ONU che dalla Legge Quadro sulla Disabilità 104/92. Esso, inoltre – come recita sempre la Legge 18/09 – deve «predisporre un Programma di Azione Biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, in attuazione della legislazione nazionale e internazionale», documento che viene poi sottoposto all’azione del Governo. Quello prodotto nel 2013 e presentato alla Conferenza Nazionale di Bologna, è stato approvato tramite il DPR (Decreto del Presidente del Repubblica) del 4 ottobre 2013.
Arriviamo dunque all’oggi, ovvero a un paio di settimane dalla quinta Conferenza Nazionale, in programma per il 16 e 17 settembre a Firenze, al centro della quale vi sarà la discussione del II Programma di Azione Biennale, predisposto dall’Osservatorio Nazionale.
Ma come si avvicina a tale appuntamento un’organizzazione quale la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), cui aderiscono numerose tra le più importanti Associazioni italiane di persone con disabilità e delle loro famiglie, e che vede alcuni dei suoi principali esponenti concretamente impegnati nei lavori dell’Osservatorio Nazionale? Lo abbiamo chiesto al presidente Vincenzo Falabella.
Con quale spirito la FISH attende l’appuntamento di Firenze?
«Molto “laicamente”. Nessuna celebrazione, nessuna critica a priori. La Conferenza è un passaggio, importante, ma non certo unico. Non è né un punto di arrivo né di partenza. Non crediamo che l’impegno nostro e di chi vi partecipa si esaurisca in due giorni. È un’occasione di confronto e come ogni confronto può essere sereno o teso, ma l’efficacia di esso la si valuta dagli esiti successivi.
Il tema centrale indicato dalla Conferenza è la discussione attorno all’ipotesi di Programma di Azione Biennale sulla disabilità che in Governo intende adottare. Il nostro tema centrale rimane invece la reale applicazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità in Italia. E non è una distinzione fittizia».
Ma se questi appuntamenti si giudicano dagli esiti, quelli della precedente Conferenza di Bologna del 2013 non sono stati certo entusiasmanti. Il Programma di Azione annunciato in quella occasione e poi approvato dal Governo non sembra infatti avere prodotto i risultati sperati…
«Ricordo che quel Programma prevedeva 127 azioni specifiche. Di queste ne sono state condotte in porto un numero irrisorio, come ben documentato qualche tempo fa, nel dettaglio dei fatti, dal Servizio HandyLex.org. Il quadro conclusivo è desolante, ma denota anche una dispersione di responsabilità e volontà istituzionali. Ripetere che “qualcosa non ha funzionato” è un eufemismo. Non è la prima volta che lo affermiamo e lo ripeteremo a Firenze. E tuttavia sarebbe miope limitarsi a indicare la mancata applicazione del Programma…».
Intende dire che c’era da aspettarselo? Che non è poi così grave?
«No, anzi. Intendiamo denunciare che c’è di peggio. Esistesse o meno il Programma, è comunque vigente la Convenzione ONU che esige applicazione articolo per articolo. Bene: a livello di incombenze istituzionali (Governo, Ministeri, Regioni, Enti Locali), la Convenzione è in larga misura lettera morta. Ce ne facciamo ben poco delle adesioni ideali. La Convenzione va concretamente applicata.
E del resto, non siamo solo noi ad affermare questo: i richiami all’Italia da parte delle Nazioni Unite sono cronaca di queste settimane, come riferito dalla vostra stessa testata. Il nostro Paese ha dovuto rispondere a stringenti richieste arrivate dall’ONU di chiarimenti sul Rapporto ufficiale del Governo Italiano riguardante appunto l’applicazione della Convenzione e le risposte fornite non sono state certo ritenute soddisfacenti. Al contrario, il Rapporto alternativo (“Rapporto ombra”), prodotto dalle organizzazioni non governative, è stato considerato utile e illuminante dall’ONU. L’Italia è dunque in mora anche di fronte alle massime istituzioni internazionali e quindi, prima ancora del Programma, si latita sulla Convenzione».
A Firenze, quindi, la FISH sarà in opposizione?
«Non siamo “in opposizione”. La FISH agisce comunque e sempre con la forza delle idee, con la sostenibilità delle proposte e su queste si confronta, propone, controdeduce, rigetta o accoglie. Riflette e si confronta al proprio interno e poi all’esterno. Non siamo pregiudiziali nei confronti di nessuno e nemmeno succubi o compiacenti. Con questo spirito saremo presenti a Firenze.
Inoltre, diversamente da altri, non abbiamo – né vogliamo avere – rendite di posizione garantite da norme del secolo scorso che hanno fatto il loro tempo e che sono superate dalla Convenzione ONU».
La FISH ha partecipato attivamente ai lavori dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, attivato presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Fra l’altro lei stesso è stato il coordinatore del gruppo dedicato alla vita indipendente e il vicepresidente della Federazione Roberto Speziale ha coordinato i lavori di un altro importante gruppo di lavoro orientato alla revisione dei criteri di accertamento della disabilità. Un suo bilancio e un giudizio?
«Serpeggia un retropensiero piuttosto distorsivo che considera l’Osservatorio come una sorta di “parlamentino” a cui partecipano soggetti diversi fra loro (istituzionali, associativi e sindacali) e che debba produrre delibere, orientamenti, pseudo-norme da assumere a maggioranza dei presenti. Ancora più paradossalmente c’è chi ritiene che i “pareri” di taluno debbano contare aprioristicamente più dei fatti o delle considerazioni esposte da altri. Noi, al contrario, riteniamo che l’Osservatorio, lungi dall’essere luogo unico di confronto o di proposta, debba essere una sede di confronto ed elaborazione – seria e rigorosa – di analisi e di proposte utili a chi deve assumere decisioni e strategie politiche congruenti con la Convenzione ONU.
Anche in questo caso vale la forza delle idee, la loro credibilità, la loro sostenibilità. Non certo il numero dei Soci di questa o quella sigla, né la popolazione di questa o quella Regione. Un fesseria rimane tale anche se espressa dal Presidente di una Federazione che conta su un indotto di 600.000 Soci, regola, questa, che vale quindi anche per il sottoscritto. Le opinioni non vanno confuse con le proposte, i fatti, le analisi. Gli ipse dixit rimangano fuori della porta!
Per quanto riguarda i lavori dell’Osservatorio, abbiamo rilevato esperienze e confronti molto positivi e produttivi, altri più disorganici e confusi, altri ancora deboli nel metodo e conflittuali. Ciò senza nulla togliere all’impegno di ognuno. Ovviamente ci riferiamo ha chi ha partecipato attivamente ai lavori e non certo a chi – pur nominato – ha presenziato solo sporadicamente agli incontri. Sul futuro Osservatorio, quindi, credo vadano condotte alcune riflessioni, sia sul metodo che sugli obiettivi e le regole».
Proprio in queste ore è giunta una presa di posizione piuttosto dura da parte dell’ANMIC, l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili, che ha attaccato la conduzione dell’Osservatorio in cui sarebbero mancati «l’imparzialità nella gestione dei lavori, la considerazione della rappresentatività delle associazioni dei disabili presenti nell’Osservatorio». Inoltre, sempre secondo l’ANMIC, «l’Osservatorio nazionale non dovrebbe presentare presunte monolitiche posizioni (espresse da gruppi peraltro minoritari), accreditandole come condivise da tutti i disabili, ma nei fatti supportate solo da alcuni»…
«Non ripeto le considerazioni già espresse sopra. Nelle sue dichiarazioni l’ANMIC rigetta l’ipotesi di Programma di Azione con cui il Governo si presenta a Firenze per confrontarsi. In realtà quell’ipotesi è il frutto di proposte plurime su molti aspetti, prodotte da otto diversi Gruppi di Lavoro e poi validate e riviste dal Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio. A molti di quei Gruppi l’ANMIC non risulta aver direttamente partecipato, ad esempio al Gruppo sull’inclusione lavorativa o a quello sulla vita indipendente, nel quale ha presenziato solo a un paio di incontri, come testimoniano gli stessi fogli presenza agli atti del Ministero».
Qual è allora, a suo parere, il problema reale?
«Non nascondiamoci dietro un dito né lasciamoci confondere dal polverone. Un’organizzazione come l’ANMIC non tollera l’ipotesi di revisione delle modalità di riconoscimento della disabilità contenute nel Programma e discusse all’interno dell’Osservatorio. Il Gruppo di Lavoro relativo, ricordo ancora, è stato condotto da Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) e vicepresidente della nostra Federazione, che ha gestito i lavori spogliandosi delle sue cariche in modo ineccepibile a detta di tutti i partecipanti (l’ANMIC, guarda caso, esclusa). Tant’è che l’ipotesi finale non è quella che la FISH avrebbe voluto. È “annacquata” rispetto all’ancor maggiore rigore che la nostra Federazione vorrebbe.
Per usare parole più chiare, l’attuale sistema di accertamento delle minorazioni civili, oltre ad essere sideralmente lontano dai principi della Convenzione ONU e dai requisiti fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Classificazione ICF), è farraginoso, sviluppa costi e contenziosi enormi, genera disagi nelle persone, diluisce le responsabilità di chi è deputato alle valutazioni. Insomma, è insostenibile da tutti i punti di vista.
La proposta discussa all’interno dell’Osservatorio mira a superare tutto questo e una riforma radicale infastidisce chi su questi procedimenti fonda gran parte della propria presenza, grazie a rendite di posizione. Ovvio, quindi, che l’ANMIC ne sia, a dir poco, infastidita. Oggi, infatti, la normativa degli Anni Settanta consente ancora a tale organizzazione di considerare le persone una “categoria”, di avere propri medici nelle commissioni di accertamento, di ottenere, in forza di legge, i nominativi di tutte le persone che sono state accertate invalide civile. E ciò in modo coattivo, senza cioè che quelle persone ne siano state espressamente informate, abbiano espresso consenso, abbiano autorizzato la comunicazione, in barba alla Convenzione ONU e al principio di autodeterminazione delle persone. Il mondo nel frattempo è cambiato. E vorremmo cambiasse ancora di più e meglio, ma come in ogni cambiamento, le resistenze di chi non ne ha interesse sono prevedibili.
Ci auguriamo pertanto che a Firenze si parli di questioni più serie che riguardano direttamente le persone e non gli interessi di pochi». (C.G. e S.B.)
Presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
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