A pochi giorni dalla quindicesima edizione delle Paralimpiadi di Rio de Janeiro (7-18 settembre), nei giorni scorsi a Roma – come avevamo già ampiamente segnalato anche nel nostro giornale – il CIP (Comitato Italiano Paralimpico), ha presentato presso la sede centrale dell’INAIL, insieme alla stessa INAIL e alla Fondazione Italiana Paralimpica, il progetto denominato Memoria paralimpica. Nascita e sviluppo dello sport per disabili in Italia, consistente nel film-documentario intitolato E poi vincemmo l’oro, in un archivio-web e in una mostra fotografica in dodici pannelli, per ripercorrere la storia del movimento paralimpico italiano dagli albori ai giorni nostri.
E poi vincemmo l’oro – che verrà trasmesso il 4 settembre da Raidue (ore 16.45) – racconta la storia del movimento paralimpico nel nostro Paese, partendo dall’esperienza di Antonio Maglio, direttore del Centro Paraplegici INAIL di Ostia, scomparso nel 1988, che nel 1960 fu il “padre” dei primi Giochi Paralimpici.
Con le parole e i ricordi di atleti di allora e di atleti di oggi, si sviluppa una carrellata di protagonisti che raccontano la loro storia personale e quella di un movimento che ha accompagnato quella che si può a buona ragione definire come una vera e propria “rivoluzione culturale” che anche l’Italia ha vissuto negli ultimi decenni, in tema di rispetto e dignità delle persone con disabilità.
«La pagina che il professor Maglio aprì da pioniere – ha dichiarato in sede di presentazione Giuseppe Lucibello, direttore generale dell’INAIL – dev’essere per noi da stimolo, per proseguire su quello stesso percorso: in tal senso l’INAIL è chiamato ad essere uno strumento di politica attiva per la salute e la tutela dei lavoratori».
«Questo film – ha affermato dal canto suo Luca Pancalli, presidente del CIP – racconta la più grande trasformazione dello sport italiano: eravamo un piccolo ghetto, una “riserva indiana” nel grande microcosmo del CONI. Oggi siamo Ente di Diritto Pubblico, abbiamo cioè elevato a interesse del Paese e della comunità qualcosa che prima era confinato a noi atleti paralimpici». «Il film-documentario – ha proseguito – racconta la forza del nostro movimento, che non si esaurisce certo nei risultati che abbiamo ottenuto. Esso racconta quel legame che ci unisce e ci contraddistingue: ci abbiamo messo un pezzo di cuore. Il Comitato Paralimpico è una famiglia e ciò che lega tutta la famiglia è la sofferenza attraverso cui ciascuno di noi è passato. E non abbiamo mai dimenticato, come atleti, che quello che stavamo facendo e quello che facciamo tuttora non è solo per noi, ma era ed è anche per coloro che sono in ospedale, per quanti hanno appena avuto un incidente, perché come era successo a noi anche loro potessero trovare forza e nuovo slancio».
«Quando ci siamo imbattuti in questa storia – ha ricordato infine Carla Chiaramoni, direttore dell’Agenzia “Redattore Sociale”, che ha curato il progetto – abbiamo capito che era una storia da raccontare. Un messaggio forte da trasmettere alle nuove generazioni: la passione e la forza con cui si racconta il proprio cammino. Abbiamo raccontato questa storia con gli strumenti di “Redattore Sociale”, perché crediamo che in questi àmbiti il linguaggio e la comunicazione siano importanti per cambiare il pensiero e l’approccio alla disabilità nella quotidianità».
Nel dettaglio, il progetto – realizzato come detto dall’Agenzia «Redattore Sociale», in collaborazione con Zoofactory Film Production e con Kapusons Web Agency – ricostruisce attraverso venticinque interviste e oltre novecento foto d’epoca un pezzo della storia della riabilitazione, dello sport per disabili e dell’intero Paese.
Si parte da Ostia, alle porte di Roma, dove tuttora vive un piccolo nucleo dei primi atleti paralimpici italiani, oggi settanta-ottantenni. Approdati giovanissimi al Centro Paraplegici dell’INAIL diretto dal citato Antonio Maglio, hanno rimesso in moto le proprie vite attraverso lo sport, diventando i pionieri di quella grande avventura che, nei decenni successivi, sarebbe sbocciata nel Movimento Paralimpico. Un testimone oggi raccolto dal CIP che, attraverso le proprie Federazioni e i numerosi Comitati Territoriali, promuove la pratica dell’attività sportiva tra le persone con disabilità.
Film-documentario, archivio web e mostra fotografica legano così i campioni di ieri a quelli di oggi, da Aroldo Ruschioni ad Alex Zanardi, da Roberto Marson a Beatrice “Bebe” Vio, da Vittorio Loi a Martina Caironi e Assunta Legnante.
«Lo sport è un salvavita – ha sottolineato al termine della proiezione del film-documentario la moglie di Antonio Maglio, Maria Stella Calà – che richiede tutte le attenzioni possibili, anche in termini economici: lancio questo appello alle Istituzioni perché lo raccolgano. Lo sport è vita e queste storie vanno trasmesse ai giovani. Con l’esperienza del Centro Paraplegici di Ostia, l’INAIL non solo ha segnato la storia, ma ha fatto molto di più: ha gettato un sasso nello stagno di inerzia e immobilità che c’era attorno a persone ridotte a letto. Tante persone infortunate che chiedevano aiuto e l’INAIL, attraverso Maglio, ha raccolto questa esigenza e ha segnato la storia dell’integrazione della persona».
«Eravamo ragazzi – ha ricordato invece Aroldo Ruschioni, protagonista della prima Paralimpiade di Roma 1960, dove vinse tre medaglie – ed è stata una soddisfazione grande. Io mi diverto ancora, la vita è bellissima».
All’evento era presente anche Lucia Marson, moglie di Roberto, l’atleta paralimpico più medagliato di tutti i tempi, scomparso nel 2011: «Mi ha fatto piacere – ha dichiarato – che questa famiglia si sia allargata a tanti nuovi atleti e sono contenta che si parli del grande uomo che è stato Antonio Maglio, che ha fatto tanti sacrifici e ha recuperato tanta gioventù».
«Ringrazio a nome di mio zio – ha aggiunto poi Chiara Loi, nipote di Vittorio, prima grande campione di scherma e poi allenatore – perché a lui questo film sarebbe piaciuto molto».
«Vivere il passato per trasmetterlo a chi ci sarà in futuro – sono state quindi le parole di Carlo Di Giusto, ex atleta e oggi allenatore della Nazionale di Basket in Carrozzina – è la cosa più bella che ci sia».
Alla proiezione hanno assistito anche altri “pionieri” di Ostia (Silvana Martino, Maria Arizzi, moglie di Antonio), rappresentanti dello sport paralimpico, come il tenente colonnello Marco Iannuzzi, del Gruppo Sportivo Paralimpico Difesa, o il presidente dell’ASCIP (Associazione Sportiva Culturale Italiana Paraplegici) di Ostia Gino Giorgi e giornalisti come Giampiero Spirito, che da decenni segue le vicende del movimento.
Durante la mattinata, infine, è stato letto anche il seguente messaggio inviato da Laura Boldrini, presidente della Camera: «Questo mio messaggio vi arriva mentre mi trovo in Giappone per l’annuale Conferenza dei Presidenti delle Camere Basse dei Paesi del G7. Ma ci tengo comunque, anche se non posso essere presente di persona, a manifestarvi il mio grande apprezzamento per il lavoro che oggi viene presentato. La vicenda del Movimento Paralimpico Italiano che il vostro film ricostruisce non è soltanto – e non sarebbe poco – il giusto omaggio a campioni dalle doti umane e atletiche straordinarie, che si sono guadagnati un posto a pieno titolo nella storia dello sport. È anche il racconto di un successo collettivo del Paese, che ha saputo individuare nella pratica sportiva una via privilegiata per l’integrazione e l’inserimento sociale dei disabili e che su questo tema ha lavorato con continuità, ottenendo risultati che vanno oltre il pur ricco medagliere azzurro. È il nostro Stato Sociale, che a partire dagli anni Sessanta ha saputo accompagnare la crescita economica con lo sviluppo di nuovi servizi alla persona e la tutela di nuovi diritti. È il modello delle società europee, da anni sottoposto ai colpi di una crisi economica che le politiche di austerità non riescono a superare. Opere come la vostra sono il miglior incoraggiamento a non rimettere in discussione questi caratteri fondamentali per i quali l’Europa è punto di riferimento nel mondo. Vi saluto con un sentitissimo “in bocca al lupo” in vista dei Giochi Paralimpici di Rio». (A.P. e S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Antonella Patete (antonella.patete@redattoresociale.it).
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