Si tratta di uno spicchio di risorse (400-500 milioni) sottoposto, di volta in volta, alla legge di spesa dello Stato. Apparentemente ciascuno è libero di destinare una piccola quota delle tasse pagate alle associazioni meritevoli, in realtà è un’assegnazione ai capitoli di spesa del bilancio dello Stato: infatti è la legge che stabilisce l’ammontare della somma devoluta dal cinque per mille e per quali destinazioni.
Non bisogna dimenticare nemmeno che – oltre al volontariato – il cinque per mille serve a contribuire al «finanziamento della ricerca scientifica e dell’università; al finanziamento della ricerca sanitaria; alle attività sociali svolte dal Comune di residenza del contribuente» e ogni altra iniziativa che la Legge Finanziaria stabilirà. Una “partita di giro”, dunque, spacciata per sensibilità sociale. Il denaro dovuto alle iniziative sociali non è messo a bilancio con una legge stabile, ma dipende dalle circostanze mobili dell’andamento della spesa.
Quest’anno, poi, la precarietà del cinque per mille è stata particolarmente alta: sembrava scomparso, poi destinato ai terremotati d’Abruzzo, oggi, come detto, è sottomesso allo scudo fiscale dal quale dipendono anche i sostegni all’autotrasporto, alle missioni di pace, agli impegni derivanti dalla partecipazione a banche e fondi internazionali, alla garanzia di equilibrio di bilancio per gli Enti Locali colpiti dal sisma in Abruzzo, alla parziale gratuità dei libri scolastici, all’agricoltura, alle scuole private, a convenzioni con i Comuni per la stabilizzazioni dei lavoratori precari, alla giustizia, alle categorie socialmente svantaggiate: una vera e propria guerra tra poveri, con povere risorse.
L’appello è chiaro: se potete, rinunciate al 5 per mille. È meglio così: non c’è cosa peggiore che dipendere dalle risorse di chi, ingannando tutti, ha esportato denaro e ricchezze all’estero. Se oggi tali ricchezze rientrano è solo perché è conveniente, ingannando un’altra volta.
Lo scudo fiscale è lontano: c’è un evidente stridore tra chi crede nella solidarietà e chi la nega. Rinunciare è un segno di dignità e di coerenza.
Purtroppo non tutti i gruppi e le associazioni possono permettersi di rifiutare una manciata di soldi. Nella povertà nella quale ci costringono, il non diventare complici assume almeno il valore morale di una piccola coerenza. E nega all’elemosiniere il diritto a chiamarsi generoso, giustificando un’operazione che è solo la sconfitta dei doveri di convivenza.
*Don Vinicio Albanesi è presidente della Comunità di Capordarco.
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