Si parla spesso delle famiglie con figli disabili come di “famiglie sfortunate” e con mille problemi. Certo, se si pensa ad esempio ai fratelli e alle sorelle dei bambini con disabilità, essi vanno certamente aiutati a capire e ad elaborare ciò che vive il fratello o la sorella, cercando di vivere la loro vita il più possibile serenamente, ma vorrei anche che finalmente quel velo di tristezza che si stende quando si parla di questo importante tema sociale venisse rimosso.
Noi abbiamo impegnato la nostra vita di genitori per offrire il meglio a ognuno dei nostri figli, indipendentemente dalla disabilità di Claudia, ormai quasi trentasettenne. Questa è la mia testimonianza come mamma.
Non voglio insegnare nulla a nessuno, né ho i titoli per farlo. Semplicemente, voglio raccontare la nostra esperienza, nella speranza che possa essere d’aiuto a qualcuno, per affrontare più serenamente questa straordinaria avventura di vita, molto impegnativa, ma anche molto significativa, che mi ha fatto crescere come persona, come donna e come madre.
Non si è mai pronti a diventare genitori, figuriamoci poi di un figlio con handicap. È una vita riscritta dal principio alla fine. Intanto si spende – noi abbiamo speso – molto tempo per renderci conto di quanto ci era accaduto: i ritardi nella crescita in confronto alla figlia più grande, le rassicurazioni dei medici, i “viaggi della speranza”.
Poi l’accettazione della realtà, che non vuol dire rassegnazione, ma solo aver finalmente preso in considerazione che vi sono dei seri problemi. Sono le mamme che spesso prendono le iniziative, sono loro che di solito trovano le soluzioni possibili, che nel nostro caso non sono purtroppo arrivate. Per tanti di voi oggi vi sono molte più possibilità di riabilitazione e i vostri figli potranno accedere a molte più opportunità, che non sempre saranno risolutive, ma che comunque vale la pena di provare.
Se avete altri figli, è ancora più difficile essere genitori sereni, costruttivi e completi; è difficile sorridere a un figlio quando l’altro è nell’altra stanza che soffre per la sua malattia o i suoi limiti. Sono molte le patologie che causano una disabilità grave e a seconda che siano di origine genetica, metabolica, da trauma da parto, da incidente, noi saremo chiamati ad aiutare i loro fratelli a vivere comunque la loro vita serenamente e, se possibile, allegramente. Dobbiamo cercare di non far travolgere i fratellini e le sorelline dallo “tsunami” che ha travolto la nostra vita di genitori, in seguito alla nascita di un figlio con esigenze speciali!
Noi abbiamo fatto così con la prima figlia, Cristina, che inevitabilmente ha avuto la vita rivoluzionata dalla nascita di Claudia. Io e mio marito eravamo molto giovani e poco attenti, pieni di speranze, per cui ci siamo accompagnati nel cammino di conoscenza e di accettazione della situazione. Ho lasciato Cristina con il papà o gli zii per portare Claudia da qualche medico anche all’estero, che sembrava potesse aiutarla e lei – bimba dolce e riflessiva – solo molto tempo dopo mi ha raccontato di quanto ha sofferto per la mia lontananza. Sono stata fortunata perché questo non ha avuto ripercussioni sul suo affetto per me come mamma o su quello per la sorellina. Quindi ai genitori oggi dico: cercate, provate, andate, ma non lasciate a casa gli altri figli o – se dovete farlo per forza – sia per poco tempo.
Con il più piccolo, Mirko, è stato molto più facile: lui è arrivato che Claudia aveva 14 anni ed è stato lui a doversi adeguare alle esigenze familiari dettate dalla presenza di una persona con grave disabilità sempre in evoluzione. Li abbiamo fatti “incontrare” subito: il piccolo aveva 2 mesi e già stava a pavimento per poter interagire con la sorella che stava molto tempo a tappeto per la fisioterapia e per potersi muovere, se ne avesse avuto possibilità o necessità, senza pericolo. Lui strisciava fino a lei e lei sorrideva felice: ancora oggi, come vede o sente il fratello, Claudia sorride.
Abbiamo fatto i salti mortali per riuscire a rispettare le esigenze e le inclinazioni di ognuno. Per la prima figlia, Cristina, andavo con Claudia ad accompagnarla a danza nel primo pomeriggio e poi io e lei proseguivamo e andavamo dai nonni. Il papà, uscendo dal lavoro, andava a prendere Cristina e poi passava a prendere noi e poi tutti a casa: erano le otto di sera, spesso con i compiti ancora da fare, ma la danza era in quel periodo il suo mondo e pensavamo che se avesse avuto interessi, avrebbe forse vissuto meglio la situazione. Credo di aver fatto la scelta giusta.
Il papà la accompagnava spesso agli spettacoli, mentre io stavo a casa con Claudia: avevamo trovato un equilibrio che permetteva a Cristina di vivere le sue prime esperienze al di fuori della scuola e della famiglia, incontrandosi e scontrandosi con il mondo circostante, con le sconfitte e le vittorie che qualsiasi bambino incontra. Certamente è maturata molto prima dei suoi coetanei, perché non potevamo eliminare del tutto le difficoltà evidenti, come ad esempio un ricovero ospedaliero necessario per Claudia che le portava via la mamma per un po’ di tempo. Ma ciò veniva assimilato bene perché a sua volta quando ha dovuto essere ricoverata per l’appendicite e le tonsille, il posto della sua mamma era vicino a lei.
Il fatto di sapere questo le ha fatto capire che non vi erano differenze, che la sorella non aveva il monopolio dell’affetto, ma che l’amore dei genitori, quasi “per magia”, invece di dividersi per due si moltiplicava e nessuna delle due avrebbe affrontato un momento difficile senza la mamma vicino. Questo l’ha resa sicura di sé.
Ogni tanto dedicavo una giornata solo a lei, da sola o insieme al papà, e in quel giorno eravamo solo per lei, era un momento di svago, di allontanamento dallo stress, che ci ricaricava. Credo che riuscire a bilanciare le esigenze di tutti non sia facile, ma si possa fare: l’importante è il rispetto per gli spazi di ognuno, per le singole inclinazioni, l’assoluto interessamento dei genitori anche per cose che sembrano superflue, ma che se sono importanti per loro, allora lo devono diventare anche per noi. E se ci aggiungiamo tutto l’amore che proviamo per ognuna di queste nostre creature, indipendentemente dalle loro condizioni di salute, allora saremo riusciti ad essere genitori completi.
Con il fratello più piccolo la strada è stata più semplice: avevamo l’esperienza, l’età e la possibilità di essere più presenti; il percorso di Claudia, dal punto di vista della diagnosi e della riabilitazione, era ormai stabilizzato; avevamo imparato a essere più sicuri di noi come genitori, eravamo più informati e questo ci ha permesso, credo, di affrontare questo nuovo miracolo della genitorialità con più serenità.
Anche in questo caso abbiamo ritenuto fosse importante per il bambino avere degli interessi extrascolastici che lo aiutassero a confrontarsi con gli altri, ad aprirsi e a inserirsi nel gruppo e con il gruppo. Di lui hanno detto «è un leader, ma un leader positivo» e Mirko ha sempre visto la presenza di Claudia non come un impedimento alla sua realizzazione, ma come un complemento della sua personalità.
Ora il percorso che ci vede impegnati è tutto rivolto al “dopo di noi”, che per Claudia dovrà essere a casa sua, con l’assistenza adeguata che permetta a chi si occuperà di lei di poter continuare a vivere la vita pienamente senza sentirsi penalizzata/o. Ci siamo impegnati per una vita intera ad offrire il meglio, secondo le nostre possibilità; non possiamo arrenderci proprio ora, anche se siamo consapevoli che cercare di far capire il nostro punto di vista non sarà né facile né veloce. Però sono sicura che anche questa volta la tenacia e la determinazione che nascono dal nostro amore per i figli riusciranno a fargli raggiungere l’obiettivo!
*Presidente Associazione “Claudia Bottigelli” – Difesa dei Diritti Umani e Aiuto alle Famiglie con Figli Disabili Gravissimi. Recentemente ne abbiamo pubblicato anche una lettera aperta inviata alle “donne della politica”, con il titolo: Voi, donne della politica, vi rassegnereste o lottereste come noi? (disponibile cliccando qui).
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