Una casa quasi completamente automatizzata, studiata per ridurre al minimo i disagi. Piccole invenzioni ideate per riacquistare l’autonomia perduta in un incidente. Ventuno anni fa, infatti, un automobilista decise di effettuare una sconsiderata inversione di marcia in Viale Colombo, strada centralissima di Quartu Sant’Elena, in provincia di Cagliari (terza città della Sardegna), centrando in piano la Vespa di Alessandra Serra, che aveva 18 anni compiuti da qualche settimana. Sbalzata dal motorino, la ragazza finì sul parabrezza dell’auto, divenendo tetraplegica. Da quel giorno vive in carrozzina e non controlla più volontariamente i muscoli di gran parte del suo corpo. «L’incidente – racconta lei stessa – accadde quando ancora frequentavo il liceo: suonavo il pianoforte e stavo iniziando una carriera da pallavolista, visto il mio metro e ottanta di altezza».
Una storia come tante, dunque, di una vita stravolta da un incidente stradale; ma anche una storia di chi ha deciso di utilizzare cervello e inventiva per sopperire a quello che la sorte aveva tolto. Trascorsi due anni in vari centri di riabilitazione sparsi per l’Italia, i progressi iniziano a vedersi: le dita delle mani non rispondono, così come le gambe e buona parte del corpo, ma le braccia (o meglio gli avambracci) consentono ad Alessandra di spingere da sola la carrozzina.
«Non posso fare tutto quello che voglio – spiega – ma posso fare comunque molte cose. Quando ho comprato la mia casa attuale, mio fratello ha studiato il progetto: per gli arredi ci siamo rivolti a una falegnameria artigiana della zona». E il suo è un appartamento che è quasi un “gioiellino” di inventiva e tecnologia, una sorta di “casa delle meraviglie” pensata per risolvere anche il più piccolo dei problemi che, per una persona con tetraplegia potrebbero trasformarsi in montagne. L’ascensore, ad esempio, ha tappe intermedie e consente così di raggiungere cortile e posto auto, ma anche gli elettrodomestici vengono azionati interamente con pulsanti e telecomandi. E tuttavia, il capolavoro della casa robotizzata sono probabilmente i mobili, veri e propri gioielli di ingegneria.
«Per capire come funzionano – riprende Alessandra Serra – devo fare una premessa: non controllo i muscoli dorsali e addominali e quindi gli oggetti devono spostarsi e venire da me». E la soluzione è arrivata con armadi che si aprono a 180 gradi e scaffali estraibili, capaci di farle scivolare addosso i bicchieri, ma anche piatti e coltelli che le finiscono direttamente in grembo. L'”impresa impossibile”, poi, di mettere i tegami sui fornelli è stata risolta con le piastre in vetro temperato, perfettamente livellate col piano: in questo modo è facile fare scivolare i tegami, mentre anche il fuoco è azionabile con un pulsante. «Ovviamente non ho sensibilità nelle mani e rischierei di ustionarmi con il pianale rovente. Per evitarlo, quindi, una luce mi indica quando è ancora caldo».
E ancora, avvolgibili radiocomandati, ma anche le poltrone e gli schienali dei letti. «Dopo la riabilitazione – conclude Alessandra, che nel tempo libero ha insegnato informatica a un corso per persone con disabilità – ero convinta di avere raggiunto il massimo dell’autonomia. Poi però sono stata in Germania e ho conosciuto una ragazza con la mia stessa lesione che faceva molte più cose di me. Ho capito allora il “trucco”: non devo mai accontentarmi!».
*Testo pubblicato da «Redattore Sociale», con il titolo di Una casa robotizzata per Alessandra, qui ripreso, con adattamenti, per gentile concessione.
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