Dopo l’approvazione alla Camera, le “Norme in favore dei lavoratori che assistono familiari gravemente disabili” passano all’esame del Senato.
Il testo unificato (è la sintesi di ben 14 proposte di legge) è un primo punto di arrivo di istanze avanzate da anni da molte associazioni per riconoscere il lavoro di cura prestato a familiari disabili, quale titolo per il prepensionamento. Ma leggendo il testo le delusioni e le perplessità non mancano.
Vediamo, quindi, i contenuti del testo approvato.
I dipendenti pubblici
Le agevolazioni sono molto diverse a seconda che il lavoratore sia un dipendente pubblico o privato.
Per i dipendenti pubblici non è previsto propriamente il prepensionamento, ma un trattamento di maggior favore in caso di richiesta di “esonero anticipato dal servizio”.
L’esonero anticipato è una formula riservata ai dipendenti pubblici in forza dell’articolo 72 della Legge 133/2008 (peraltro vigente solo per gli anni 2009, 2010 e 2011) e poi regolamentato dalla Circolare 10/2008 del Dipartimento Funzione Pubblica.
La domanda di esonero va presentata dal dipendente entro il primo marzo di ciascun anno, a condizione che nell’anno di presentazione della domanda raggiunga il requisito minimo di anzianità contributivo richiesto e cioè – al momento – pari a 35 anni per conseguire la pensione di anzianità. La durata massima dell’esonero è di 5 anni. Al termine di questo periodo il rapporto di lavoro si conclude se si è raggiunto il limite d’età, o l’anzianità contributiva, previsti dall’attuale normativa per andare in pensione.
Questo vale per tutti i lavoratori a prescindere all’assistenza a familiari con grave disabilità.
Il nuovo testo introduce un beneficio rispetto alla retribuzione durante il periodo di esonero: nel caso dei lavoratori che assistono i familiari con handicap, il trattamento economico è pari al 70% della retribuzione complessiva percepita al momento dell’esonero, contro il 50% previsto negli altri casi.
Questo beneficio, viene riconosciuto ai lavoratori che “si dedichino al lavoro di cura e di assistenza per i familiari disabili con totale e permanente inabilità lavorativa, che assuma connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ai quali è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”.
Il testo non limita la definizione di “familiare”, cioè non individua – per i dipendenti pubblici – particolari gradi di parentela o affinità. Non prevede nemmeno l’obbligo della convivenza.
È più stringente invece rispetto all’individuazione della tipologia di disabilità, per la quale viene richiesta la doppia condizione di handicap grave (Legge 104/1992, art. 3 comma 3) e inabilità totale. Per quest’ultima il testo si riferisce ad una delle due definizioni che danno titolo all’indennità di accompagnamento. Quindi, oltre ad essere esclusi i casi in cui sia stata riconosciuta solo l’indennità di frequenza, si escludono anche tutti i casi in cui l’inabilità (civile) totale, derivi dal riconoscimento dell’”impossibilità a deambulare autonomamente o senza l’aiuto di un accompagnatore”.
Questa seconda dizione viene comunemente usata nei verbali di invalidità nel caso – ad esempio – di gravi lesioni midollari, di distrofie muscolari, di sclerosi multiple o laterali amiotrofiche. Si tratta pertanto di una lacuna piuttosto significativa.
Va anche sottolineato che il testo si riferisce esplicitamente ai soli invalidi civili (richiama esplicitamente il Decreto 5 febbraio 1992 che di questo tratta). Non sono previste né contemplate le invalidità gravi derivanti da cause di servizio, di lavoro o altro.
I dipendenti privati (INPS)
Per i dipendenti del settore privato e per gli autonomi iscritti all’INPS è invece previsto un vero e proprio prepensionamento (propriamente: l’erogazione anticipata del trattamento pensionistico), anche se la misura sarebbe, per espressa indicazione del testo, “in via sperimentale per il triennio 2010-2012”.
L’anticipazione del pensionamento può essere richiesto solo dai lavoratori che abbiano compiuto il sessantesimo anno di età e alle lavoratrici che abbiano compiuto il cinquantacinquesimo anno di età, a seguito del versamento e dell’accredito di almeno venti annualità di contributi previdenziali.
Anche in questo caso sono poste diverse condizioni. Il lavoratore, per far valere i benefici previdenziali, deve innanzitutto dimostrare l’assistenza e la convivenza, per almeno diciotto anni con il familiare disabile che – in quel periodo – non deve essere stato ricoverato in istituto, né deve esserlo al momento della richiesta di pensionamento.
Il beneficio spetta solo al coniuge, al genitore o al figlio della persona con disabilità. Un solo lavoratore può avvalersi dell’agevolazione.
Il beneficio può essere richiesto anche dai fratelli o dalle sorelle se i genitori sono assenti o impossibilitati a prestare assistenza al familiare disabile per gravi motivi di salute, come attestato da apposita certificazione di morte o sanitaria.
La convivenza negli anni deve essere dimostrata con certificazione storico-anagrafica rilasciata dal comune di residenza.
Sul tipo e grado di disabilità, valgono le indicazioni espresse per i dipendenti pubblici: il diritto al prepensionamento viene riconosciuto solo per “il lavoro di cura e di assistenza di familiari disabili con totale e permanente inabilità lavorativa, che assume connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ai quali è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”. Con le esclusioni di cui diamo conto più sopra.
La disabilità va dimostrata con la presentazione di documentazione sanitaria e su tale aspetto, il testo è un po’ nebuloso.
Di chiaro c’è l’indicazione della documentazione ammessa: il certificato di handicap grave (Legge 104/1992, art. 3 comma 3) e la certificazione di invalidità totale.
Viene anche ammessa ulteriore documentazione comprovante “lo stato di disabilità, risultante da apposita certificazione sanitaria rilasciata da una struttura pubblica afferente al Servizio sanitario nazionale, qualora il periodo di costanza di assistenza al familiare disabile abbia avuto inizio precedentemente all’accertamento della disabilità da parte delle commissioni mediche preposte.”
Dall’analisi letterale del testo sembra evidente che vada provata anche la “storia” della disabilità cioè la sussistenza dei requisiti durante i (minimo) 18 anni di assistenza e convivenza richiesti. Non è chiaro cosa accada nelle ipotesi in cui in quei 18 anni, l’invalidità riconosciuta abbia subito variazioni o aggravamenti, anche se si prevede che “nel caso di handicap congenito o di handicap che si manifesta dalla nascita, certificato da una struttura pubblica afferente al Servizio sanitario nazionale, la costanza di assistenza è comunque calcolata dalla data di nascita.”
Il testo passa all’esame del Senato per la definitiva approvazione o per possibili emendamenti, nel qual caso sarà necessario un ulteriore passaggio alla Camera.
Articoli Correlati
- L'integrazione scolastica oggi "Una scuola, tante disabilità: dall'inserimento all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità". Questo il titolo dell'approfondita analisi prodotta da Filippo Furioso - docente e giudice onorario del Tribunale dei Minorenni piemontese…
- Licenziamento dei lavoratori disabili avviati dai servizi per il collocamento obbligatorio Presentiamo - con questo ampio approfondimento - uno sguardo d'insieme sulle tutele e le cautele di cui la legge e la giurisprudenza circondano il licenziamento di un lavoratore avviato da…
- Lavoro: l'analisi della FISH Presentiamo la versione integrale della Memoria per l'audizione della FISH (Federazione Italiana per il Superamento del'Handicap) all'XI Commissione Lavoro del Senato, riguardante l'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della disciplina…