Stride ascoltare un giornalista che evoca l’ignoranza usando il termine “mongoloide”. E mi lascia interdetto chi sostiene che “mongoloide” è un termine scientifico che indica la fisionomia delle persone affette dalla sindrome di Down [se ne legga già anche nel nostro giornale a questo e a questo link, N.d.R.]. Un simile concentrato di castronerie crolla su se stesso, consultando il sito sulle Linee Guida del linguaggio sulla disabilità.
In Italia comunichiamo male di disabilità. Ma c’è chi si impegna per tracciare la giusta rotta, come si è visto, ad esempio, al recente Convegno di Torino Informazione Cultura e Accessibilità. Informarsi per informare meglio [se ne legga anche la nostra presentazione, N.d.R.].
Non aggiungo materiale all’ampia letteratura fatta sul “caso Travaglio”. Ho già dato con un articolo che si può leggere su queste stesse pagine [“Ciò che è divertente, ciò che è offensivo”, N.d.R.], che fra le righe dice che ci sono termini che nell’uso devono misurarsi con la storia presente più che con quella passata. Aggiungo invece letteratura alla documentazione del giusto linguaggio su disabilità e accessibilità, parlando del citato incontro torinese, con un’intervista che evidenzia concetti ineludibili nell’armamentario del buon comunicatore dell’accessibilità.
Grandi media partner e poi l’ANFFAS Piemonte (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), l’Associazione Oltre la Forma e l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Ma il principale attore dell’incontro è stato l’Associazione Torino + Cultura Accessibile, con una nutrita serie di professionisti orchestrata dalla presidente Daniela Trunfio, che ha gentilmente invitato a partecipare anche chi scrive.
Daniela Trunfio, 63 anni, sin dai tempi dell’università si muove nel campo dell’organizzazione culturale a Torino, attraverso il teatro sperimentale, l’editoria democratica, l’arte contemporanea e per molti anni la fotografia. Da quasi dieci anni si occupa per la Fondazione Carlo Molo di rapporti con la stampa e di organizzazione culturale per le persone afasiche, una delle aree di attività di tale Fondazione. Dal 2013, come naturale emanazione, la Fondazione ha dato vita a Torino + Cultura Accessibile, diventata non profit nel dicembre dello scorso anno.
Ma cos’è esattamente Torino + Cultura Accessibile, le chiediamo. «L’Associazione – dice – è nata con lo scopo di promuovere e realizzare la resa accessibile alle produzioni artistiche culturali (musei, cinema, teatri…), e di promuovere l’integrazione della stessa resa accessibile nella produzione artistica. Tenendo conto che l’Italia si trova in una fase regressiva di natalità, che la popolazione invecchia, ma che proprio in quella fascia aumenta il consumo culturale, riteniamo che la politica non possa ignorare la cultura e viceversa. L’accessibilità dev’essere per tutti, persone con disabilità, anziane, a basso tasso di scolarizzazione… Facciamo sensibilizzazione, promozione, ricerca e formazione. Collaboriamo con il Torino Film Festival e tantissime altre attività. Da settembre di quest’anno abbiamo aderito al Progetto Cinemanchìo».
Ma perché questo convegno su Informazione, Cultura e Accessibilità? «L’idea del Convegno è nata dalla necessità di comunicare meglio con i giornalisti e con chi si occupa di informazione e nuovi media. Questo mondo o è spesso distratto, oppure non sa come affrontare i temi legati all’accessibilità e quali siano gli strumenti che tecnicamente la consentono e quali professionalità hanno e possono generare. La mancata valorizzazione culturale dell’accessibilità innesta un meccanismo perverso anche per la sensibilizzazione e nella sostenibilità delle azioni. Vogliamo interrompere questo giro vizioso ormai noto: no ritorno di immagine = no intervento economico, cosa che vale sia per il pubblico che per il privato».
Quali sono stati, quindi, i messaggi più significativi lanciati dal convegno? «Ci sono state delle parole chiave che mi piace ricordare: ad esempio, “legittimazione dell’individuo” di Stefano Pierpaoli, vale a dire affermare sempre più la centralità della persona nei percorsi socioculturali; spostare l’attenzione dal prodotto fine a se stesso alla destinazione/fruizione la più collettiva possibile. Poi “Società versus Museo” di Dario Scarpati. Il museo siamo noi. Questo mi riconduce al progetto che stiamo sviluppando con ICOM Italia (il Consiglio Internazionale dei Musei), per individuare strumenti e politiche che rendano autonoma la fruizione delle collezioni e delle mostre. Infine “Mainstream versus Inclusione” di Pilar Orero. L’inclusione non sarà mai al 100%, secondo questa tesi, perciò meglio parlare di tendenza culturale. Per esempio sviluppare la lettura, che ha bassissimi indici internazionali con conseguente basso sviluppo culturale e quindi alto rischio di emarginazione. Ma ogni intervento ha lanciato sassi e anche macigni nel mondo del fare futuro. Ce ne hai dato esempio tu stesso, con il tuo intervento sul linguaggio della disabilità».
Cosa dobbiamo aspettarci adesso? «Ciascuno nel proprio campo – conclude Trunfio – ci siamo ripromessi di contribuire a tenere acceso il dibattito sempre propositivo. Di interfacciarci sempre più con le realtà internazionali e di cercare di migliorare la situazione nel nostro Paese».
Trainati dunque da Daniela e dall’entusiasmo di quel giorno a Torino, lavoriamo per altre occasioni. Perché un giorno non sia soltanto un giorno.
Riadattamento di un testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “A Torino per fare cultura”. Per gentile concessione.
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