Perché quel Testo Unico non va bene

di Antonio Cotura*
Secondo Antonio Cotura, presidente della FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi), «il Testo Unico “Legge quadro sui diritti di cittadinanza delle persone sorde, con disabilità uditiva in genere e sordo cieche”, approvato dal Senato e attualmente all’esame della Camera, è inaccettabile, perché oltre a fondare le proprie tesi su alcuni errori e pregiudizi, è molto confuso, promettendo di tutto e di più, da realizzarsi per altro a costo zero»

Particolare di donna sorda, con mano sull'orecchioCome presidente dell’Associazione FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi) e a nome delle persone sorde e delle loro famiglie che essa rappresenta, vorrei esprimere contrarietà e preoccupazione per le inevitabili conseguenze discriminatorie che deriverebbero a molti Cittadini italiani, se diventasse Legge il Testo Unico che ha unificato cinque precedenti Disegni di Legge (nn. 302, 1019, 1151, 1789 e 1907), inizialmente etichettato come Riconoscimento della LIS, successivamente rinominato Legge quadro sui diritti di cittadinanza delle persone sorde, con disabilità uditiva in genere e sordocieche, e approvato come tale il 3 ottobre scorso dal Senato (attualmente all’esame della Camera).

L’approvazione di quel testo è stata accolta con molto favore ed enfasi da vari Senatori, Enti di rappresentanza, Gruppi di interesse personali e parti dell’opinione pubblica, come se trattasse la soluzione di tutti i problemi delle persone sorde o sordocieche. Viceversa un’attenta e ragionata lettura offre una visione ben diversa della natura e della portata di quel testo.
Si tratta in sostanza di un Testo Unico inaccettabile, perché molto confuso, che promette di tutto e di più. Si va dalla realizzazione dei diritti di cittadinanza, alla libera scelta, alla diagnosi precoce, allo screening neonatale, alla correzione del deficit uditivo, all’accessibilità ovunque e comunque, all’inclusione scolastica, universitaria e postuniversitaria, alle politiche attive della formazione e del lavoro, alla tutela della salute, alla fruizione di arte cultura e tempo libero e, chi più ne ha, più ne metta!
Tutti questi interventi verrebbero destinati addirittura – a completamento della confusione del testo – a un milione di persone e forse, a ben guardare, anche a molte di più. Con il sorprendente paradosso, però, che tutta questa enorme mole di iniziative e attività previste si dovrebbero realizzare a costo zero, secondo l’articolo 14 (Clausola di invarianza finanziaria). La “magia” consisterebbe nel creare nuovi ipotetici posti di lavoro per introdurre interpreti LIS [Lingua dei Segni Italiana, N.d.R.] dappertutto, perfino nella scuola, a prescindere dalla loro assoluta mancanza di conoscenze pedagogiche e didattiche, tanto per promuovere l’insegnamento LIS agli alunni udenti affinché essi aiutassero pretestuosamente i compagni sordi…

Le mistificazioni sono evidentemente molte, a cominciare dal titolo che si è più volte trasformato, fino alla stesura finale, durante la discussione in Aula del Senato, su proposta del relatore, senatore Francesco Russo, in Legge quadro sui diritti di cittadinanza delle persone sorde con disabilità uditiva in genere e sordocieche.
È necessario ricordare che esiste già una Legge-quadro destinata alle persone con disabilità ed è la Legge 104/92, che ove bene applicata produce già effetti inclusivi. Perché le persone sorde dovrebbero averne una riservata a loro? Qual è il senso? A chi gioverebbe un’altra Legge Quadro in un contesto siffatto? Essa risponderebbe realmente ai bisogni delle persone sorde, specialmente delle giovani generazioni? E ancora, analizzerebbe davvero fatti e contesti attuali e futuri o volgerebbe anacronisticamente lo sguardo indietro, mistificandolo verso improbabili innovative proiezioni di lungo periodo?
Tutte domande di ampio respiro per le quali attenderemmo risposte chiare, esaustive e soprattutto sincere e oneste. E per le quali una nostra precisa chiave di lettura già esiste: una Legge del genere non si occuperebbe delle persone sorde, bensì di professionisti presunti della sordità.
Non è un caso, del resto, che in questo Teso Unico, quando si tratta di inclusione scolastica, venga introdotta la figura dell’interprete LIS e LIS tattile. In realtà, la citata Legge quadro 104/92 prevede già per l’inclusione scolastica l’insegnante di sostegno e l’assistente alla comunicazione, che sono figure con competenze pedagogiche e didattiche. Competenze di cui è priva del tutto la figura dell’interprete LIS, che con questo Disegno di Legge si vorrebbe introdurre artatamente nella scuola e non solo. Nella Legge 104/92 l’interprete è già previsto solo per le Università, ovvero dove non sono richieste competenze sulle discipline, né conoscenze di pedagogia.

Ancora al nuovo titolo, poi, dobbiamo rifarci, per parlare ulteriormente di mistificazione, facendo segnatamente riferimento alle parole disabilità uditiva in genere. Ciò infatti significherebbe che una persona sorda dalla nascita o preverbale, con grave e profonda disabilità, potrebbe essere assimilata nei bisogni e confusa, ad esempio, con un signore anziano con presbiacusia, oppure con un operaio di fonderia, o addetto all’uso del martello pneumatico, e in quanto tale con danno di tipo audiologico generato dall’ambiente lavorativo in età adulta.
Si tratta evidentemente di situazioni assolutamente incomparabili. Mai le problematiche di una persona con sordità prelinguale, ovvero con grave disabilità, possono essere confuse con quelle di una persona con disabilità uditiva in genere.
Si tratta di fatti e contesti che, una volta illustrati con chiarezza e onestà intellettuale, metterebbero ogni Cittadino italiano nelle condizioni di comprenderli; tutti, meno i Senatori, ai quali sono stati narrati e che invece, con tanta magnanimità, hanno approvato questo Testo Unico.

Per quanto poi riguarda l’esplicito riferimento alla presenza degli alunni sordi nelle scuole, è doveroso ricordare che essa corrisponde a  meno di 6.400 unità, ovvero il numero di quanti in Italia frequentano le scuole di ogni ordine e grado, mediamente molto meno di uno per ogni Comune di Italia. Basterebbe dunque un impegno coerente e l’applicazione delle attuali Leggi italiane, per risolvere adeguatamente ogni genere di loro problema. Un dato di fatto, questo, confermato anche dal numero delle persone sorde prelinguali, ovvero con certificazione di sordità, che usufruiscono dell’indennità di comunicazione e che complessivamente risulta essere pari esattamente a 43.507, compresi tutti i minorenni.

Il testo di cui si parla, inoltre, fonda le sue tesi su alcuni errori e pregiudizi.
In Italia i bambini sordi non sono obbligati a frequentare gli Istituti Speciali, come accade in molti Paesi nel mondo e anche in Europa. Il nostro, infatti, è stato il primo e unico Paese che ha compiuto le giuste scelte di modello inclusivo scolastico per tutti gli alunni con disabilità sensoriale o di altro tipo.
Già il solo titolo del Disegno di Legge approvato, quando si riferisce ai diritti di cittadinanza delle persone con disabilità uditiva in genere, determina un’alterazione della realtà: infatti, con esso, si vorrebbe sostenere che la norma verrebbe destinata a circa un milione di persone e talvolta anche molte di più, e che queste risulterebbero bisognose di poter disporre della Lingua dei Segni e degli interpreti della stessa nei luoghi più disparati e nelle più diverse situazioni. Sofisticando così la realtà, non si tutelano le persone sorde, ma altri interessi economici e personali.
Bisogna dunque chiedersi e chiedere – ove mai ce ne fosse bisogno – come mai tante persone sorde abbiano imparato a parlare, leggere e scrivere, avendo come unica lingua madre e naturale l’italiano letto, parlato e scritto, mentre il Disegno di Legge sottende che la lingua naturale delle persone sorde sia quella segnica, al punto che l’alunno sordo debba essere educato con il cosiddetto “bilinguismo”. Niente di più fittizio e deleterio: il bilinguismo è problematico e non facilita affatto l’aumento di competenza linguistica, fermo restando l’aspetto demografico, ovvero l’esiguità del numero di alunni sordi coinvolti, come già evidenziato.

Naturalmente i nostri pensieri non vogliono andare contro chi si trova nel bisogno di usare la LIS come modalità per comunicare, ma si tratta solamente di rendersi conto che con questa norma potrebbe essere di fatto, e per legge, attribuita l’appartenenza a una minoranza linguistica, mai riconosciuta o condivisa. Ovvero il rischio di restaurare di fatto – nonostante la cancellazione del riferimento all’articolo 6 della Costituzione – , con altre modalità e per vie traverse, il concetto di riconoscimento di minoranza e cultura sorde, per la quale ci si era tanto opposti. Ciò rimarrebbe invece un dato di fatto con il quale fare successivamente i conti.

Alcuni sostengono, compreso qualche Senatore, che l’Italia sia indietro di vent’anni perché non ha riconosciuto la Lingua dei Segni. A nostro parere, invece, l’Italia è il Paese che – nonostante evidenti distonie e inadempienze, tutte correggibili con buona volontà, senso del dovere e della corresponsabilità e adempienza pratica del proprio lavoro – si trova con oltre quarant’anni di anticipo rispetto ad altri e ha realizzato un modello scolastico inclusivo, capace di rendere le persone sorde autonome e indipendenti da qualsivoglia forma di dipendenza o interprete.
Pertanto qualunque legge prodotta dal Parlamento italiano dovrebbe innanzitutto valorizzare le buone prassi che hanno consentito alle persone e agli alunni sordi di arricchirsi di esperienze di vita quotidiana con i propri coetanei in ambienti inclusivi piuttosto che speciali.

Nel ribadire quindi che la tecnica usata dal Relatore di questo Disegno di Legge è di un evidente “ecumenismo”, promettendo di tutto e di più in un unico testo, per concludere poi con la clausola di invarianza finanziaria al citato articolo 14 – ciò che a nostro parere (e non solo) rappresenta un’evidente e assoluta incoerenza – riteniamo che quel testo sia da rigettare, per riscriverne uno che parta dalla valorizzazione delle buone prassi, a cui ci si è appena riferiti, adottate in Italia a favore degli alunni con sordità e che vada oltre ogni forma di pregiudizio, per assicurare i percorsi più avanzati secondo modelli consolidati e validi per l’abilitazione di ogni bambino e persona sorda. Questo al fine di garantire loro un’autentica inclusione scolastica, sociale e lavorativa, partendo non da mistificazioni, ma da numeri veritieri, ovvero dai bisogni delle persone sorde che spesso rimangono a rischio di handicap, quando mancano una diagnosi precoce e l’intervento protesico e abilitativo, indispensabili per l’avvio di un percorso di acquisizione della parola e dell’autonomia e indipendenza personale.

Come sempre, naturalmente, la nostra testata è aperta a opinioni diverse sul tema trattato, che siano per altro pienamente motivate e centrate sul merito della questione.

Presidente nazionale della FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi), aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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