Donne divenute disabili a causa di violenze subite

Intervista a Nadia Muscialini di Simona Lancioni*
L’attenzione al tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità - di cui «Superando.it» si occupa approfonditamente ormai da molti anni, così come della situazione di discriminazione multipla vissuta dalle stesse donne con disabilità - sta crescendo, seppur pian piano, e ci si augura che cresca sempre di più. Ancora ben poco, invece, si parla delle donne divenute disabili proprio a causa delle violenze subite, pur non trattandosi certo di un fenomeno marginale. Lo facciamo qui insieme a Nadia Muscialini, una tra le massime esperte italiane di lotta alla violenza di genere
Lo striscione con il quale le donne con disabilità aderiranno il 25 novembre alla manifestazione di Roma “Non una di meno”. Due gli slogan scelti: “Le donne con disabilità contro ogni forma di discriminazione e violenza” e “Nulla su si Noi senza di Noi”

Continuiamo a presentare, giorno dopo giorno, testimonianze da e sulle donne con disabilità, in questa settimana che sta portando alla Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne del 25 novembre e che vedrà anche le donne con disabilità della FISH (e non solo), partecipare nel pomeriggio di quel giorno a Roma alla Manifestazione Nazionale Non Una di Meno, per dare ulteriore sostanza all’impegno forte annunciato qualche settimana fa dalla stessa Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap su tale tema. (S.B.)

L’attenzione al tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità è cresciuta negli ultimi anni. Non tantissimo, a dire il vero. Ma un po’ sì. Ci sono stati due workshop nazionali (uno a Milano, nel 2014, l’altro a Perugia, l’anno seguente), e facendo una ricerca in internet è possibile trovare articoli, iniziative, mostre che inducono a pensare che qualcosa, sia pure lentamente, si stia muovendo.
In genere l’attenzione è centrata sulle donne con disabilità che subiscono violenza, quasi per niente sulle donne divenute disabili proprio a causa delle violenze subite, pur non essendo questo un fenomeno marginale. Per mettere meglio in luce questo specifico aspetto abbiamo rivolto qualche domanda a Nadia Muscialini, psicologa, psicoanalista e saggista, tra le massime esperte italiane di lotta alla violenza di genere [il nostro giornale ha già proposto qualche anno fa un’intervista a Muscialini, disponibile a questo link, N.d.R.].

Esistono dei dati che consentano di quantificare il fenomeno delle donne divenute disabili a causa delle violenze subite?
«Gli unici dati che esistono sul fenomeno sono quelli pubblicati dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nel 2013. Si tratta della prima rilevazione sistematica sulla violenza nella coppia ai danni delle donne nel mondo e delle conseguenze di questa sulla salute (World Health Organization (WHO), 2013. Global and regional estimates of violence against women: prevalence and health effects of intimate partner violence and non-partner sexual violence). Alcuni dati del fenomeno si trovano anche nel report dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali del 2014 (European Union Agency for Fundamental Rights (FRA). 2014. Violence against women: an EU-wide survey. ISBN 978-92-9239-342-7. doi: 10.2811/62230).
In questi documenti la violenza domestica viene considerata la prima causa di morte e disabilità per le donne nel mondo. Riguardo poi al tema della disabilità, le ricerche sopracitate riportano che il 42% delle donne che hanno subito violenza fisica o sessuale hanno riportato ferite o danni fisici, tra cui anche quelli che danno origine a disabilità permanenti; la quantificazione delle disabilità temporanee o permanenti riportata nella rilevazione dell’OMS è definita tra il 40 e il 72% e la difficoltà di una maggior precisione nella quantificazione del fenomeno deriva dalla complessità della analisi da effettuare e dalle variabili implicate: vi sono disabilità fisiche direttamente conseguenti alle aggressioni (paralisi, incontinenze, deficit sensoriali, ecc.), malattie organiche (tra cui quelle sessualmente trasmesse e a carico dell’apparato riproduttivo), malattie psichiche. La violenza nella coppia è considerata comunque una delle principali cause di depressione, problemi di salute, alcolismo, gravidanze indesiderate, aborti e parti prematuri».

A quali tipi di disabilità possono andare incontro le donne che subiscono violenza?
«Di seguito l’elenco delle conseguenze sulla salute della donna che subisce violenza e maltrattamenti presentata dall’OMS, tra cui si rilevano anche le disabilità definite però in maniera generica e non maggiormente approfondite: “Fisiche, Lesioni addominali, Lividi e frustate, Sindromi da dolore cronico, Disabilità, Fibromialgie, Fratture, Disturbi gastrointestinali, Sindrome dell’intestino irritabile, Lacerazioni e abrasioni, Danni oculari, Funzione fisica ridotta, Sessuali e riproduttive, Disturbi ginecologici, Sterilità, Malattia infiammatoria pelvica, Complicazioni della gravidanza/aborto spontaneo, Disfunzioni sessuali, Malattie a trasmissione sessuale, compreso HIV/AIDS, Aborto in condizioni di rischio, Gravidanze indesiderate, Psicologiche e comportamentali, Abuso di alcool e droghe, Depressione e ansia, Disturbi dell’alimentazione e del sonno, Sensi di vergogna e di colpa, Fobie e attacchi di panico, Inattività fisica, Scarsa autostima, Disturbo da stress post-traumatico, Disturbi psicosomatici, Fumo, Comportamento suicida e autolesionista, Comportamenti sessuali a rischio, Conseguenze mortali, Mortalità legata all’AIDS, Mortalità materna, Omicidio, Suicidio, Sindromi da dolore cronico, Disturbi psicosomatici, Lesioni fisiche, Diverse conseguenze per la salute riproduttiva”.
In generale si può affermare che le conseguenze dell’abuso sulla salute fisica e mentale della donna sono direttamente proporzionali alla gravità dell’abuso stesso e dell’impatto nel tempo di diversi tipi di abuso poiché molteplici episodi hanno un effetto cumulativo negativo sulla salute della stessa».

Alcune delle disabilità acquisite da queste donne sono apparentemente invisibili, oppure non sono riconosciute come tali. Può illustrarci qualche esempio di questi tipi di disabilità?
«Tra le conseguenze della violenza domestica vi sono disturbi psicologici permanenti, tra i quali la depressione e a volte la morte a seguito di suicidio, patologie sessualmente trasmesse come HIV, sifilide, clamidia o gonorrea, che possono dare danni permanenti al sistema riproduttivo. E ancora consumo di alcool e alcolismo secondario. Questi problemi di salute non vengono quasi mai correlati alla loro causa quando si tratta di violenza subìta, e vengono quindi trattati come problematiche a sé e curate in maniera lineare, quindi parziale, poiché la mancata correlazione alla violenza impedisce la rimozione della causa primaria che può tramutare un problema di salute in malattia cronica o fonte di invalidità permanente (European Union Agency for Fundamental Rights (FRA). 2014. Violence against women: an EU-wide survey. ISBN 978-92-9239-342-7. doi: 10.2811/62230)».

Sotto un profilo psicologico, quali differenze ci sono – se ci sono – nell’affrontare una disabilità acquisita a causa della violenza, rispetto alle disabilità acquisite per altre cause (ad esempio, per malattia, per trauma)?
«I problemi della violenza e della disabilità vanno a sommarsi tra loro e le donne che subiscono danni permanenti e invalidità, più o meno gravi, a seguito della violenza sono a maggior rischio di gravi depressioni, fino ad arrivare al suicidio o all’agire diversi tentativi di togliersi la vita; le vittime divenute disabili non riescono inoltre a “trovare” e a ritenere adeguata nessuna forma di giustizia o risarcimento per la violenza e il danno subìto.
Vorrei però sottolineare, anche se il tema non è nella domanda, come spesso l’impatto psicologico e traumatico conseguente alle violenze agite sulle donne con disabilità e gli effetti di questi siano spesso sottovalutati, non compresi, non indagati e non adeguatamente affrontati e “curati”. Dobbiamo ricordarci invece che le donne con disabilità sono le più esposte a tutte le forme di violenza e sono quelle che ne fanno maggiormente le spese; le più esposte (secondo i report sopra citati) sono le donne affette da malattie psichiche.
Per citare qualche dato, le donne con disabilità sono da due a tre volte più esposte ad abusi sessuali durante l’infanzia da parte di adulti o coetanei. In una percentuale, poi, dal 21 al 43%, le donne con disabilità adulte subiscono violenza sessuale e dal 58 al 75% subiscono violenza fisica. Spesso, va detto, le aggressioni fisiche sono più gravi e pericolose di quelle delle altre vittime.
Come per le donne senza disabilità, gli autori delle violenze sono persone appartenenti al contesto sociale prossimo alla donna o alla famiglia. Le donne che vivono in strutture residenziali subiscono violenza anche da a parte di altri ospiti o del personale.
E ancora, le donne con disabilità sono anche bersaglio di discriminazioni e violenze strutturali: il 32-42% di quelle che vivono in istituto hanno una costrizione del loro libertà; in generale il 46%  viene insultato e dal 31 al 41% vengono toccate senza consenso o in maniera sgradevole.
I dati riportati ci devono quindi mettere in allarme e far riflettere di come spesso vengano sottovalutati sia l’impatto psicologico e traumatico delle violenze agita su donne con disabilità, sia la difficoltà psicologiche che una donna vittima di violenza può avere ad accettare e ricostruire la propria vita quando acquisisce una disabilità a seguito delle aggressioni e dei maltrattamenti (Bundesministerium für Familie, Senioren, Frauen und Jugend, Lebenssituation und Belastungen von Frauen mit Beeinträchtigungen und Behinderungen in Deutschland, Bielefeld, 2012)».

Gessica Notaro, 28 anni, originaria di Rimini, nel 2007 aveva partecipato a Miss Italia dopo essere stata incoronata Miss Romagna; Lucia Annibali, 39 anni, avvocata di Urbino; Domenica Foti, 46 anni, addetta alle pulizia dell’Ospedale Galliera di Genova… Sono alcune delle donne sfregiate con l’acido le cui vicende hanno avuto risalto nei media. Pensa che la comunicazione su questi fatti di cronaca – e più in generale sulla violenza di genere – sia corretta, oppure andrebbe migliorata? In tal caso, come?
«Ho avuto modo di conoscere direttamente Lucia Annibali e apprezzare il suo impegno umano e competente nel cercare di arginare il fenomeno della violenza contro le donne. Lei stessa ha pubblicamente affermato che se da una parte la comunicazione mediatica può avere un effetto positivo sulla conoscenza del fenomeno da parte delle donne, che possono così più facilmente identificare la violenza e chiedere aiuto, dall’altro l’esposizione mediatica di “donne simbolo” può imprigionare la donna nel ruolo di vittima ed essere così fonte ulteriore di sofferenza, soprattutto quando si cerca di svincolarsi dall’identità che ha caratterizzato un momento specifico della propria vita.
In altre parole, l’esposizione mediatica delle vittime, soprattutto quando la violenza ha lasciato segni inequivocabili e visibili sulla donna, può avere l’effetto di trasfigurare sia le vittime che i gli autori di reato, identificandoli in categorie predefinite e rassicuranti, che fanno del fenomeno un eccezione e non un problema strutturale della nostra società.
In generale io ritengo che di violenza contro le donne bisogna parlarne il più possibile, anche se in taluni contesti la comunicazione va migliorata e adeguata al target di riferimento, ma ciò potrebbe essere argomento di un altra intervista…».

Nadia Muscialini è psicologa, psicoanalista e saggista, tra le massime esperte italiane di violenza di genere. Simona Lancioni è responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito la presente intervista è già apparsa, con il titolo “Quando la violenza sulle donne è causa di disabilità”. Viene qui ripresa – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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