Un appello contro l’indifferenza e l’insofferenza

di Franco Alleruzzo, Anna Paola Fabri, Roberto Frullini e Fabio Ragaini*
A lanciarlo sono gli operatori di quattro organizzazioni delle Marche, chiedendo autentiche politiche sociali, ritenute «irrinunciabili». «In un clima che si respira in ogni parte del Paese - scrivono - un clima di insofferenza e fastidio rispetto ai bisogni delle persone, chiediamo politiche che mettano al centro le esigenze dei più deboli e più fragili, politiche che non sacrifichino interventi e servizi, ma che sappiano governare con efficacia il sistema dei servizi sanitari, sociosanitari e sociali e che abbiano come riferimento insopprimibile la dignità di ogni essere umano»

Giorgio Sanrocco, L'indifferenza uccide, 2007, olio su tela«Il nostro obiettivo – scrivono i promotori del presente appello – è quello di porre all’attenzione i problemi del welfare in un periodo nel quale esso è fortemente sotto attacco. La Manovra Economica che il Governo sta approvando ne è l’ultimo tassello, ma l’attacco al sistema dei servizi non è solo di natura economica. I tagli, infatti, sono l’espressione di una sempre più malcelata insofferenza nei confronti di chi è più in difficoltà, come confermano le politiche che aumentano disuguaglianze e disparità, creando fasce sempre più estese di persone che vengono poste ai margini (perdita del lavoro, mancanza di sostegno ecc.)».
«Proponiamo dunque – continua il messaggio – un vero e proprio appello al risveglio che parta da tutte quelle realtà associative e persone quotidianamente a contatto con situazioni di difficoltà, disagio, emarginazione». Spazio quindi al documento, intitolato
In difesa del welfare. Un appello contro l’indifferenza e l’indiscriminazione nei confronti dei deboli. Ogni organizzazione che ne condivida i contenuti può sottoscriverlo, inviando un messaggio a grusol@grusol.it (indirizzo del Gruppo Solidarieta) e indicando il nome dell’associazione, la città e un referente.

È palese l’attacco cui è sottoposto il sistema di welfare nel nostro Paese. Basti pensare alla polemica di questi giorni – del tutto artificiosa – rispetto ai falsi invalidi e alle pensioni di invalidità, che ha così potentemente invaso l’opinione pubblica, veicolando un preoccupante messaggio: il dissesto della finanza pubblica è imputabile anche all’insostenibile spesa per l’assistenza, che dev’essere arginata con ogni mezzo. E così, come sempre, sotto accusa finiscono la sanità, l’istruzione e l’assistenza. Troppo alti i loro costi; è indispensabile ridurre e tagliare i finanziamenti. Come se il taglio fosse capace di ridurre sprechi e inefficienze. I tagli – la storia lo insegna – vanno a colpire i più deboli, i fruitori dei servizi, non certo chi è responsabile di sprechi e inefficienze, sui quali, magari, costruisce vere e proprie carriere.
I dati non contano. Non conta ribadire che la spesa sanitaria pubblica è inferiore alla media europea, che nell’assistenza spendiamo molto meno rispetto agli altri Paesi europei (mentre più alta è la spesa per la previdenza).

Ma ciò che più preoccupa è il clima che si respira in ogni parte del Paese. Un clima di insofferenza e di fastidio rispetto ai bisogni delle persone. Un clima pesantissimo nei confronti del diverso, vedi persone immigrate (magari meno accentuato quando per poche decine di euro al giorno risolvono i problemi dell’assistenza di un congiunto); un clima di insofferenza rispetto alle esigenze di chi ha bisogno di interventi e servizi. E che non cambia se le richieste giungono, ad esempio, da persone con gravissima disabilità che necessitano di assistenza continua per ogni giorno per tutto l’anno, o da soggetti con demenza e malattia di Alzheimer che richiedono ai congiunti assistenza e cure permanenti, o da persone con gravi sofferenze psichiche i cui nuclei familiari sono stremati nel farsi carico di situazioni tanto complesse. L’elenco potrebbe continuare. Sono persone e famiglie che chiedono aiuto e sostegno perché da sole non possono farcela.
Sono problemi complessi che richiedono risposte che ovviamente non sono a costo zero. Richiedono volontà, passioni, energie, intelligenze, per cercare nuove soluzioni. Volontà, passioni, energie che facciamo sempre più fatica a rintracciare. Troviamo invece sempre più indifferenza, insofferenza e fastidio. Sempre meno ci si trova davanti a una ricerca del “come” fare fronte alle situazioni; sempre più evidente traspare il messaggio: «Il problema è il tuo e della tua famiglia, cercate le soluzioni».
Questo può valere per persone che perdono la casa, che sono senza redditi, che non sono più in grado di farsi carico del peso dell’assistenza. Quanto è lontano quel «sortirne insieme» di Milaniana memoria!

Ombra sfuocata di persona in carrozzinaDiventa pertanto necessario uno scatto di coraggio, di orgoglio e di fiducia. Uno scatto che riguarda tutti. Che riguarda in primo luogo le istituzioni. Luoghi che i cittadini tutti devono sentire come vicini, disponibili, attenti nella ricerca delle risposte. Luoghi nei quali si respira nitidamente la prospettiva del bene comune.
Si sperimentano invece istituzioni evasive, quando non omissive, rispetto ai propri ruoli. Ciò si evidenzia anche nei rapporti tra gli stessi enti. Comuni che disattendono norme regionali, Regione che non interviene perché è consapevole che i finanziamenti che eroga sono inferiori a quelli previsti dalle norme dalla stessa emanate eccetera. Un gioco delle parti nel quale a farne le spese è il cittadino-utente e in particolare quello non in grado di difendersi.
Torna prepotentemente alla mente il monito di Carlo Alfredo Moro**, pronunciato alcuni anni fa, poco prima della sua morte: «Dobbiamo purtroppo constatare come l’impegno per le politiche sociali vada attenuandosi, e non solo per mancanza di adeguate risorse, ma principalmente perché va diffondendosi l’idea che bisogna dire “basta” allo Stato protettivo dei più deboli, perché non solo esso non ha senso in una società adulta in cui tutti devono essere pienamente responsabili, e quindi autonomi, ma anche perché finisce con il ratificare una situazione di sostanziale sudditanza. Si disconosce però così che in una società fortemente competitiva e conflittuale, come la moderna, si moltiplicano, non si rarefanno, le condizioni di fallimento e di conseguente emarginazione, e che è indispensabile assicurare ai “nuovi poveri” adeguate reti protettive. A meno che non si voglia accettare un sostanziale darwinismo nella vita della società per cui è bene che il debole scompaia in quanto non utile all’organismo sociale».

Diventa quindi indispensabile, vitale, impegnarsi e resistere a una deriva dalla quale tutti prima o poi saremo travolti e della quale in un modo o in un altro subiremo le conseguenze.
Noi, operatori pubblici e privati, volontari, utenti, familiari abbiamo il dovere di denunciare una sempre maggiore insofferenza nei riguardi dei diritti delle persone. I diritti richiamano dei doveri; i bisogni solo delle possibilità. Un’insofferenza che vediamo troppo spesso nei volti di amministratori – a tutti i livelli – e operatori, quando si sottopongono problemi, necessità, esigenze. Un’insofferenza che a volte è figlia di impotenza, altre volte indica il fastidio di chi non vorrebbe disturbata la propria tranquillità. Una situazione alla quale è indispensabile reagire.

Alcuni punti fermi (anche per le Marche)
Occorre allora richiamare alcuni punti indispensabili ai fini di una convivenza civile che metta al centro le persone con i loro diritti e i loro doveri. Partendo ancora una volta dal Dettato Costituzionale.
Mano di uomo anziano sorretto da un bastoneStretti dentro politiche nazionali così chiaramente disinteressate alle problematiche dei soggetti più in difficoltà, è necessario da un lato opporsi con tutte le forze a queste nefaste politiche (in questo senso apprezziamo la ferma posizione assunta in particolare da Regioni e Comuni a riguardo dei contenuti della Manovra Economica in corso), dall’altro richiamare anche nel nostro territorio regionale [le Marche, N.d.R.] l’irrinunciabilità di autentiche politiche sociali. Politiche che mettano al centro in maniera inderogabile le esigenze delle persone più deboli e più fragili. Politiche che non sacrifichino interventi e servizi, ma anche assetti istituzionali, capaci di governare con efficacia il sistema dei servizi sanitari, sociosanitari e sociali.
In questo senso richiamiamo l’indispensabilità di un potenziamento del settore sociale, da non considerare subalterno e residuale alla sanità. Solo un settore sociale ben strutturato – dunque con Ambiti Sociali che governino il sistema dei servizi – può essere capace di programmazione e di forte interlocuzione con gli altri settori – in particolare sanità e politiche del lavoro – e con tutti gli attori dei servizi (cooperazione, volontariato, utenti).
Diventa pertanto indispensabile che, ad ogni livello (istituzionale e no), ci si muova a difesa del welfare, ovvero a difesa di chi è più in difficoltà, operando per non rendere deboli e vulnerabili le persone. Non si tratta dunque solo di sostenere e supportare attraverso interventi di assistenza e cura chi necessita di interventi continuativi, ma di lavorare affinché le persone e i nuclei in difficoltà vengano sostenuti e aiutati attraverso misure di sostegno al reddito, all’occupazione, per evitare che la fascia dei non garantiti e tutelati si allarghi sempre di più.

Operare in difesa del welfare diventa una responsabilità che riguarda tutti (istituzioni e organizzazioni di cittadini). A tutti è chiesto di avere come riferimento insopprimibile la dignità di ogni essere umano. Operare in difesa del welfare significa lavorare in una logica non corporativistica, settoriale, o peggio ancora clientelare, ma operare politiche sociali (salute, lavoro, assistenza, casa, mobilità, ecc.) a tutela di tutti i cittadini e in particolare di quelli più in difficoltà.
In questo senso l’appello è rivolto anche alla Regione Marche perché si faccia promotrice di un patto tra i soggetti istituzionali, capace di non sacrificare l’area dei servizi, quei servizi dei quali molti cittadini hanno necessità per vivere. Servizi, è importante ricordarlo, che soffrono da tempo, anche quando le politiche nazionali erano meno disattente alle esigenze dei più deboli.
Si tratta di assumere una responsabilità che non abbia timore di mettere al centro delle politiche i soggetti più in difficoltà. Fare questo, oggi, è fuori moda e sembra portare pochi consensi. Si tratta di avere il coraggio delle scelte; scelte chiare e trasparenti che abbiano come orizzonte le esigenze di chi da solo non può farcela.

*Componenti del Comitato Promotore del presente appello: Fabio Alleruzzo, Cooperativa Labirinto, Pesaro; Anna Paola Fabri, Cooperativa Progetto Solidarietà, Senigallia (Ancona); Roberto Frullini, UILDM – Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, Sezione di Ancona; Fabio Ragaini, Gruppo Solidarietà, Moie di Maiolati Spontini (Ancona).

**Fratello di Aldo Moro, Carlo Alfredo Moro (Taranto, 1925-Roma, 2005) fu presidente del Tribunale per i Minorenni di Roma e presidente di Sezione della Corte di Cassazione. Pubblicò numerose opere di tema giudiziario e sociale e collaborò con numerose riviste, oltre a promuovere e dirigere la testata «Il bambino incompiuto».

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