Il Programma d’Azione, le violenze sulle donne con disabilità e i vuoti da colmare

di Simona Lancioni*
Un’attenta lettura del Secondo Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, pubblicato in Gazzetta Ufficiale nel dicembre scorso, rivela certamente una maggiore attenzione alla prospettiva di genere, ma mostra anche la mancanza di riferimenti e azioni di contrasto alla violenza nei confronti delle ragazze e delle donne con disabilità. Si tratta di una lacuna da colmare senza indugio, poiché la natura di tale fenomeno è tale da richiedere interventi tempestivi, non differibili a un Terzo Programma di Azione

Giovane donna in carrozzinaLa Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia nove anni fa, con la Legge 18/09) contiene numerosi riferimenti e disposizioni in tema di contrasto alla discriminazione multipla a cui sono soggette le ragazze e le donne con disabilità*.
Nel 2016 il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che vigila sull’applicazione della Convenzione negli Stati che l’hanno ratificata, ha richiamato l’Italia su numerosi aspetti, molti dei quali inerenti proprio le questioni di genere. «Il Comitato è preoccupato – si leggeva nel relativo documento – perché non vi è alcuna sistematica integrazione delle donne e delle ragazze con disabilità nelle iniziative per la parità di genere, così come in quelle riguardanti la condizione di disabilità  e raccomanda che la prospettiva di genere sia integrata nelle politiche per la disabilità e che la condizione di disabilità sia integrata nelle politiche di genere, entrambe in stretta consultazione con le donne e le ragazze con disabilità e con le loro organizzazioni rappresentative».
A tale Raccomandazione, andavano ad aggiungersene altre su ulteriori specifici aspetti nei quali le ragazze e le donne con disabilità risultano più discriminate rispetto agli uomini nelle stesse condizioni (nelle campagne di comunicazione di massa, nella violenza contro le donne, nella mancanza di accessibilità fisica e delle informazioni relative ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, e per il basso livello occupazionale).
Pertanto, alla luce di quei richiami, è utile provare a scoprire se le politiche per la disabilità che il nostro Paese si propone di attuare nell’immediato futuro abbiano integrato la prospettiva del genere.

Frutto di un rilevante e complesso lavoro, il Secondo Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità – predisposto dall’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica del 12 ottobre 2017, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 289 del 12 dicembre 2017 -, assolve proprio al compito di definire le politiche per la disabilità in cantiere per i prossimi due anni.
Articolato su otto linee di intervento, quel Programma individua per ciascuna di esse specifiche azioni attuative.
Nell’introduzione (capitolo 1) l’Osservatorio, riguardo ai richiami del Comitato ONU, specifica: «Le osservazioni conclusive del Comitato per l’Italia, pubblicate sul sito dell’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU, saranno dunque delle fondamentali evidenze di cui l’implementazione del presente Programma dovrà tener conto in maniera uniforme».
Sempre l’introduzione ci fa capire che, a livello di princìpi, il tema della parità di genere è stato recepito. In essa, infatti, è esplicitato che il Secondo Programma assume come riferimento i princìpi della Convenzione ONU, tra i quali figura, appunto, «la parità tra uomini e donne», facendo propria «una visione della condizione di disabilità basata sul rispetto dei diritti umani, tesa a valorizzare le diversità umane – di genere, di orientamento sessuale, di cultura, di lingua, di condizione psico-fisica e così via – e a considerare la condizione di disabilità non come derivante da qualità soggettive delle persone, bensì dalla relazione tra le caratteristiche delle persone e le modalità attraverso le quali la società organizza l’accesso ed il godimento di diritti, beni e servizi».
Un ulteriore passaggio chiarisce poi che «il richiamo forte, chiaro e ineludibile all’eguaglianza delle persone con disabilità con il resto della popolazione, affermato dalla Convenzione ONU, impone di ridurre tutte le forme di diseguaglianza aggiuntive e tra queste, oltre a quelle di genere e di età, si pongono in tutta evidenza quelle geografiche».

Vediamo ora quali sono le specifiche azioni previste in tema di genere all’interno delle singole linee di intervento.
Un’azione specifica è indicata in relazione ai servizi per la collettività (Azione 2, nell’àmbito della Linea d’Intervento 2, Politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l’inclusione nella Società). Dopo avere ribadito che tali servizi devono essere a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità, e adattati ai loro bisogni, «si sottolinea che tali princìpi devono considerare con attenzione e in modo trasversale sia il maggiore rischio di esclusione derivante da disabilità plurima che la prospettiva di genere. Quest’ultima va adottata sia nella predisposizione delle politiche che in tutti i servizi per la collettività».
Un’altra azione specifica è stata inserita in tema di salute (Azione 3, nell’ambito della Linea d’Intervento 3, Salute, diritto alla vita, abilitazione e riabilitazione), allorquando è prevista la «realizzazione di indagini per misurare l’effettiva attuazione dei principi di non discriminazione nell’erogazione dei servizi riproduttivi ed in particolare quelli previsti dalla Legge 194/78 [“Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, N.d.R.] con riferimento alle persone con disabilità, nonché in ordine all’effettiva garanzia del diritto alla salute del bambino con disabilità sin dalla primissima infanzia e della garanzia per le donne con disabilità di accedere sulla base di uguaglianza a servizi ginecologici e riproduttivi».
In materia di lavoro è possibile individuare due azioni specifiche (Azione 1 e Azione 2, nell’àmbito della Linea d’Intervento 5, Lavoro e occupazione). La prima prevede di «definire misure di sostegno e un sistema di incentivi per la contrattazione di primo e secondo livello in materia di flessibilità e conciliazione dei tempi di vita-cura-lavoro per le persone con disabilità o malattie gravi e croniche progressive, o lavoratori caregiver di persone con gravi disabilità [i familiari che prestano assistenza gratuita, N.d.R.]».
Possiamo notare che questa misura non è esplicitamente rivolta alle donne, ma considerando che i lavori di cura gratuita e informale (cura della casa, assistenza a bambini, persone con disabilità e persone anziane, disbrigo commissioni ecc.), sono in larghissima misura demandati alle donne, possiamo ragionevolmente ritenere che l’attuazione di questa disposizione andrebbe ad incidere maggiormente sulla qualità della vita delle donne con e senza disabilità.
La seconda azione riguarda il collocamento mirato, e prevede di «individuare, in sede di verifica e riprogrammazione del PON [Programma Operativo Nazionale, N.d.R.] “Sistemi di politiche attive per l’occupazione” (FESR [Fondo Europeo Sviluppo Regionale, N.d.R.]), iniziative specifiche e trasversali per incrementare l’occupazione e ridurre il tasso di inattività delle donne con disabilità, e per l’aumento dell’autoimpiego e dell’imprenditorialità femminile».
Sulla Linea d’intervento 8, Sviluppo del sistema statistico e del monitoraggio dell’attuazione delle politiche, non sono previste azioni specifiche, ma si fa riferimento al genere nel delineare lo «scenario e [le] opzioni generali d’intervento». Qui, parlando dell’informazione statistica prodotta grazie all’utilizzo di archivi amministrativi, è citata «una sperimentazione finalizzata a verificare la fattibilità della costituzione di un archivio delle persone che hanno ricevuto una certificazione di disabilità dalle Commissioni medico legali delle ASL»; tale sperimentazione prevede che «le persone certificate, distinte per genere, età, residenza, tipologia e gravità della disabilità, costituiranno una lista anagrafica di partenza per le indagini di popolazione e per la progettazione di studi e analisi statistiche».

Queste sono le misure introdotte nel Secondo Programma di Azione biennale sulla disabilità – verosimilmente anche in risposta ai richiami del Comitato ONU – avendo riguardo al genere.
Si poteva fare di più? Certamente ogni documento è migliorabile, ma chi ha letto il testo in questione non può non cogliere, e apprezzare, il grande lavoro di proposta, mediazione, elaborazione, sintesi e traduzione in termini operativi delle misure volte a conseguire la piena inclusione delle donne e degli uomini con disabilità.
C’è solo una lacuna sulla quale proprio non si può sorvolare: la mancanza di riferimenti e azioni di contrasto alla violenza nei confronti delle ragazze e donne con disabilità. Non si può sorvolare per i seguenti e non pochi motivi.
Riguardo alla situazione delle donne con problemi di salute o disabilità, l’ISTAT specifica che «ha subìto violenze fisiche o sessuali il 36% di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6% di chi ha limitazioni gravi. Il rischio di subire stupri o tentati stupri è doppio (10% contro il 4,7% delle donne senza problemi)» (dati relativi all’anno 2014).
La violenza personale è la più forte ed esplicita violazione dei diritti umani, essa è causa di disabilità e di morte (si legga a tal proposito, su queste stesse pagine, una nostra recente intervista a Nadia Muscialini).
L’articolo 16 (Diritto di non essere sottoposto a sfruttamento, violenza e maltrattamenti) della più volte citata Convenzione ONU impegna gli Stati che l’hanno sottoscritta ad adottare specifiche misure in tema di prevenzione, contrasto e risposta ad ogni forma di sfruttamento, violenza e maltrattamento, con riguardo all’età, al genere e alla disabilità della vittima.
Il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ha esplicitamente richiamato l’Italia su questa materia (punti 43 e 44 delle citate Osservazioni Conclusive, prodotte nel 2016 dal Comitato).
Nell’àmbito della Quinta Conferenza Nazionale sulle Politiche della Disabilità, tenutasi a Firenze il 16 e 17 settembre 2016, da parte dei gruppi di lavoro era stato esplicitamente richiesto di implementare la proposta del Secondo Programma di Azione Biennale con specifiche azioni in tema di violenza di genere.
Il fenomeno della violenza ai danni delle donne con disabilità non è oggetto di studio (a parte poche parziali iniziative); mancano specifiche politiche di prevenzione e di contrasto allo stesso, i servizi e i centri antiviolenza sono generalmente impreparati e/o inaccessibili a donne con diverse disabilità. Le donne con disabilità sono soggette a forme di violenza peculiari, che spesso non sono riconosciute come tali. In altri casi le violenze sono riconoscibilissime, ma chi sta intorno e assiste non fa niente, per quieto vivere, per convenienza o, ancora, per senso di impotenza. Questo vuol dire che, se per una donna non disabile è difficile uscire dalla violenza, per una donna con disabilità, in questo contesto disabilitante e connivente, le possibilità sono infinitesimali.
Ecco, le azioni per aiutare le donne con disabilità a riconoscere la violenza, imparare a difendersi e/o a chiedere aiuto, nonché quelle volte a modificare il contesto, sono alla nostra portata: non è vero che non si può fare niente, non è vero che non ci riguarda, non è vero che non dipende da noi, non tutto, certo, ma alcune cose sì, e queste dobbiamo farle!

È difficile comprendere quali valutazioni possano aver indotto chi ha predisposto il Secondo Programma di Azione Biennale a ritenere che gli interventi in tema di violenza di genere ai danni delle ragazze e delle donne con disabilità fossero differibili. Le evidenze esplicitate inducono invece a ritenere che questo tipo di interventi non solo vadano attuati, ma vadano attuati tempestivamente.
Per questo motivo il Centro Informare un’h chiede pubblicamente all’Osservatorio Nazionale e/o a chi di competenza, nonché agli Enti che hanno ratificato il Secondo Manifesto sui diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea, di adoperarsi in qualunque modo per colmare questa lacuna, e di intraprendere comunque, nell’immediato futuro, azioni specifiche in tema di prevenzione, contrasto e risposta alla violenza nei confronti delle ragazze e delle donne con disabilità, pur non essendo state tali azioni incluse nel Secondo Programma.

* La Convenzione ONU attribuisce un grande rilievo alle questioni di genere: quattro richiami nel “Preambolo”; «la parità tra uomini e donne» annoverata tra i “Princìpi generali” (articolo 3, lettera g); l’articolo 6 interamente dedicato alle donne con disabilità e al contrasto delle discriminazioni multiple a cui sono soggette; altri richiami nell’articolo 8 (“Accrescimento della consapevolezza”), nell’articolo 16 (“Diritto di non essere sottoposto a sfruttamento, violenza e maltrattamenti”), nell’articolo 25 (“Salute”), nell’articolo 28 (“Adeguati livelli di vita e protezione sociale”), e nell’articolo 34 (“Comitato sui diritti delle persone con disabilità”).

Responsabile di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente testo è già apparso, con il titolo “Il programma d’azione sulla disabilità e la prospettiva di genere”. Viene qui ripreso – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

Per approfondireulteriormente il tema trattato, si può accedere al sito di Informare un’h, alla Sezione dedicata al tema La violenza nei confronti delle donne con disabilità. Per ulteriori informazioni: info@informareunh.it.

Share the Post: