«La prima sfida è immediata: in Italia persistono servizi e strutture residenziali dove le persone con disabilità e gli anziani non autosufficienti vivono in condizioni segreganti e subiscono trattamenti inumani e degradanti. Il consolidato sospetto che i fatti di cronaca, le indagini delle autorità competenti, le azioni penali rappresentino solo una minima parte delle situazioni vissute impone di chiedere a gran forza un’immediata verifica e un impegno politico a chiudere e convertire queste strutture»: era stato questo il messaggio forte lanciato lo scorso anno a Roma, durante la Conferenza di Consenso intitolata Disabilità: riconoscere la segregazione e promossa dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), nell’àmbito del progetto denominato Superare le resistenze, partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri delle persone con disabilità (se ne legga ampiamente anche nel nostro giornale).
L’obiettivo di tale iniziativa era stato segnatamente quello di restituire centralità a un tema drammatico, troppo spesso considerato marginale o eccezionale. E in tal senso quell’appuntamento di Roma era stato certamente il primo ad avere visto il movimento delle persone con disabilità lanciare una sfida politica, culturale, scientifica e organizzativa sulla segregazione, basandosi principalmente su tre linee d’azione, mirate rispettivamente a: “liberare” il prima possibile le persone con disabilità che vivono in situazioni inumane e degradanti; individuare con certezza le strutture da ritenere segreganti e quindi da chiudere o convertire; delineare nuovi modelli inclusivi di servizi e sostegni per l’abitare.
A livello istituzionale, poi, si confidava di poter contare anche sul supporto del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, che aveva partecipato alla Conferenza di Roma, annunciando un proprio lavoro di studio e concreta verifica sul tema.
A tal proposito, appare ora particolarmente significativo il segnale che giunge da quello stesso Garante, Mauro Palma, che ha convocato per il 12 febbraio (ore 11) un incontro con la stampa, presso la Sala Riunioni della propria sede di Roma (Via San Francesco di Sales, 34), proprio sul tema delle strutture per persone con disabilità.
Per l’occasione verrà presentata l’attività dell’Unità Operativa per la Tutela della Salute di tale organismo, che ha realizzato la preannunciata mappatura delle strutture per persone con disabilità in Italia e che nei prossimi giorni ne metterà a regime il monitoraggio, «al fine di prevenire possibili abusi o trattamenti inumani o degradanti nonché improprie forme di contrazione della libertà», come si legge in una nota.
«Tali criticità in alcune strutture per persone con disabilità – si legge ancora – vengono periodicamente alla cronaca attraverso filmati e intercettazioni ambientali delle Forze dell’Ordine. L’attività di monitoraggio di queste strutture, troppo spesso poco conosciute e difficilmente accessibili alle autorità di garanzia, diventerà dunque operativa proprio da quest’anno, grazie anche a un protocollo di collaborazione con L’Altro diritto – Centro di ricerca interuniversitario su carcere, devianza, marginalità e governo delle migrazioni (Firenze) e con il CeRC Centre for Governmentality and Disability Studies “Robert Castel” (Napoli)».
«Il compito di monitorare le strutture per persone con disabilità a potenziale rischio di trattamenti inumani o degradanti – si precisa in conclusione – è stato attribuito al Garante Nazionale in base alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità».
In particolare, aggiungiamo a nostra volta, il punto chiave della Convenzione su cui fondano necessariamente queste linee di azione è l’articolo 19 della Convenzione stessa (Vita indipendente ed inclusione nella società), che vale certamente la pena riproporre integralmente una volta di più: «Gli Stati Parti alla presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che: (a) le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione; (b) le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione; (c) i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni [grassetti nostri nella citazione, N.d.R.]».
Va infine sempre tenuto presente quello che forse costituisce uno dei passaggi più incalzanti contenuti nelle Osservazioni Conclusive espresse nel 2016 all’Italia, da parte del Comitato ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità, l’organismo incaricato di verificare l’attuazione della Convenzione nei vari Paesi. «Il Comitato – vi si leggeva infatti – è seriamente preoccupato per la tendenza a re-istituzionalizzare le persone con disabilità e per la mancata riassegnazione di risorse economiche dagli istituti residenziali alla promozione e alla garanzia di accesso alla vita indipendente per tutte le persone con disabilità nelle loro comunità di appartenenza». (S.B.)
Per ulteriori informazioni sull’incontro del 12 febbraio a Roma, convocato dal Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale: Dario Pasquini (Ufficio Comunicazione del Garante), segreteria@garantenpl.it.
Disabilità e segregazione: alcune annotazioni
Innanzitutto qualche dato prodotto dalla FISH, in occasione della Conferenza di Consenso Disabilità: riconoscere la segregazione, tenutasi a Roma nel giugno dello scorso anno.
Risultano essere 273.316 le persone con disabilità ospiti dei presìdi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari. Oltre l’83% sono anziani non autosufficienti, che nella quasi totalità dei casi vivono in strutture che non riproducono le condizioni di vita familiari. Nel 2016, tra le violazioni penali più frequenti, l’Arma dei Carabinieri ha rilevato 114 casi di maltrattamenti, 68 di abbandono d’incapace, 16 di lesioni personali e 16 di sequestro di persona.
Accanto a questa brutale e conclamata segregazione, vanno poi rilevate altre modalità più subdole e ugualmente inumane, pur senza che da ciò derivino condizioni di vita materiali degradanti, maltrattamenti e violenze. Sono gli àmbiti in cui si ripropongono la separazione, l’isolamento, la contrazione delle elementari libertà individuali. Servizi in cui prevale una concezione sanitaria e ospedaliera, che trasforma chi ne è ospite in “paziente”, “malato” e non più in persona con il diritto di vivere normalmente la propria vita e le proprie relazioni interpersonali. E sempre da quella citata Conferenza di Roma, è emerso come queste “residenze totali” siano soprattutto rivolte alle persone con limitazioni di natura intellettiva o di salute mentale.
Da ricordare, infine, che i criteri di accreditamento delle strutture sono prettamente incentrati sui requisiti strutturali, che non possono ovviamente riuscire a distinguere i servizi che lavorano per l’inclusione da quelli che si possono definire come segreganti.
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