«Donne du du du / In cerca di guai / Donne a un telefono che non suona mai…»: belle queste parole di Zucchero. Sembrano uno slogan perfetto per un movimento femminista delle ragazze e donne con disabilità. Un movimento che non c’è. Un movimento di cui in Italia si sente forte la mancanza.
Secondo l’EIGE (European Institute for Gender Equality) in Europa sono circa 80 milioni i cittadini europei con disabilità e le donne rappresentano il 60 per cento di questa popolazione. Sempre secondo l’EIGE, è vero che le persone con disabilità (siano esse donne o uomini con disabilità) affrontano disparità a causa della loro condizione, ma è altrettanto vero che le loro esperienze variano a seconda del genere. Infatti, analizzando la situazione delle donne con disabilità, risulta che sono le più svantaggiate sia tra le persone con disabilità che tra le altre donne. Nella pratica la situazione delle donne con disabilità non solo è peggiore di quella delle donne senza disabilità, ma anche peggiore di quella dei loro coetanei maschi con disabilità. Si desume, quindi, che le donne e le ragazze con disabilità affrontino quotidianamente discriminazioni multiple e interiezionali, basate sul loro genere e sulla loro disabilità e questo le ostacola se non impedisce loro di prendere decisioni sulla propria vita.
L’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità sempre attento agli interessi delle persone con disabilità, ha sentito forte il bisogno di attivare un Comitato Donne con tre obiettivi fondamentali: garantire che tutti i membri dell’EDF siano pienamente informati sui lavori del Forum riguardanti le donne e le ragazze con disabilità e l’uguaglianza di genere; garantire che tutti gli interventi della stessa EDF verso l’Unione Europee e le Nazioni Unite tengano conto della prospettiva delle ragazze e delle donne con disabilità; intraprendere annualmente una strategia istituzionale operativa sui temi discussi all’interno del Comitato Donne da proporre a tutto il Forum.
Quale primo argomento su cui porre attenzione è stato proposto il tema della sterilizzazione forzata, con una campagna dal titolo Fermare la sterilizzazione forzata delle ragazze e delle donne con disabilità.
Si tratta di un tema molto controverso, ma soprattutto molto esteso nei Paesi Europei, dove è una pratica legalizzata. In tal senso, nel mese di maggio dello scorso anno è stato pubblicato un report nel quale si illustrano i miti alla base della sterilizzazione forzata e le conseguenze negative della sterilizzazione forzata sul godimento di tutti i diritti umani per tutte le donne e le ragazze con disabilità. Un report che evidenzia la stretta relazione tra questa pratica e la privazione della capacità giuridica, e descrive la situazione attuale in Europa. Infine, offre una panoramica degli attuali standard sui diritti umani e della giurisprudenza sull’argomento.
Lo scorso 5 dicembre il Comitato Donne dell’EDF ha organizzato un’audizione al Parlamento Europeo, con l’obiettivo di sensibilizzare gli Eurodeputati, i dirigenti delle Istituzioni Europee nonché delle organizzazioni non governative, sulla necessità di porre fine alla sterilizzazione forzata di donne e ragazze con disabilità e per chiedere a gran voce la fine di tutte le forme di violenza contro le donne. L’audizione ha visto come relatrici donne con disabilità e donne appartenenti a minoranze etniche (con disabilità e senza disabilità), che hanno subìto direttamente questa pratica.
Proprio nei giorni scorsi, poi, il Comitato Donne EDF si è riunito per decidere la propria strategia annuale, ma soprattutto per attivare, nei confronti dei propri membri (che sono tutte donne e non esiste il femminile di questo termine), un percorso di formazione e informazione sulla parità di genere e sui diritti delle ragazze e donne con disabilità.
In tale àmbito, vi è stato anche un incontro con l’Unità sull’Uguaglianza di Genere della Commissione Europea (DG Justice), e con i Parlamentari Europei facenti parte del Gruppo Interparlamentare sulla Disabilità. Sono stati inoltre incontrati i rappresentanti della Lobby Europea delle Donne (European Women’s Lobby), per conoscerne il lavoro e condividere l’importanza dell’ascolto della voce delle donne con disabilità.
Ma in Italia cosa succede? Qual è il livello di discussione e quello di ascolto sulla questione di genere e disabilità?
Innanzitutto le voci delle ragazze e delle donne con disabilità italiane si alzano in ogni momento della loro vita personale, sociale ed associativa per chiedere attenzione sulla loro condizione. Peccato che queste voci di donne vengano sovrastate se non zittite nella pratica quotidiana, in nome di una presunta irrilevanza del genere quando si considera la condizione di disabilità, e questo succede fuori, ma purtroppo anche dentro il movimento della disabilità.
È certo che nell’esaminare le vite delle persone con disabilità si trascura di esplorare e analizzare l’influenza che il genere ha su di esse. La società civile – che comprende anche il movimento della disabilità – e quella politica fanno fatica a riconoscere la discriminazione determinata dalla combinazione di genere e disabilità. Tutto ciò ha portato a una mancanza di interesse nel pensare alle necessità specifiche delle ragazze e delle donne con disabilità e quindi nel produrre analisi e riflessioni, nel progettare interventi e prassi, nel proporre politiche e azioni specifiche in tutti gli àmbiti di vita.
In questo momento storico la nostra società si sta interrogando sul fenomeno della violenza, degli abusi e dei maltrattamenti subiti dalle donne. Un fenomeno da tutti considerato odioso, ma che purtroppo non trova ancora radicali e rapide soluzioni.
Nonostante le affermazioni di condanna e nonostante le normative nazionali di contrasto al fenomeno risalgano al secolo scorso (Legge 66/96 e successive), solo negli ultimi anni si sta concretizzando la volontà politica di studiare tale fenomeno per contrastarlo.
È solo di pochi giorni fa, ad esempio, ovvero del 6 febbraio, l’approvazione della Relazione Finale della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul Femminicidio, nonché su ogni Forma di Violenza di Genere. Una relazione che indaga la dimensione del fenomeno in Italia attraverso l’analisi dei dati, del quadro normativo vigente internazionale e nazionale, della valutazione di impatto delle normative, dello studio di casi delle sentenze di femminicidio, del Piano Nazionale Straordinario contro la violenza sulle donne, degli interventi di rete a tutela delle vittime, della protezione delle vittime stesse e del trattamento dell’autore del reato, della prevenzione della violenza attraverso il cambiamento culturale, delle criticità e prospettive di riforma.
In ognuno di questi àmbiti, tuttavia, c’è poca attenzione alla situazione delle ragazze e donne con disabilità. O meglio, la Relazione è consapevole di non avere potuto esplorare il fenomeno in relazione a questo gruppo di donne. Bisogna riconoscere alle estenditrici e agli estensori della Relazione l’onestà e la sincerità nell’ammettere questa criticità, tant’è che nel finale (capitolo 10, paragrafo 6) è stato inserito un punto che così recita: «In considerazione dei rilievi emersi nell’esame della tematica della violenza subita dalle donne con disabilità, alla quale è dedicata una parte del paragrafo 2.2 del capitolo 2, la Commissione ritiene fondamentale che nelle rilevazioni statistiche riguardanti il fenomeno della violenza di genere venga specificamente evidenziato e raccolto il dato relativo a tale forma di violenza, per la prevenzione della quale devono essere anche previste misure apposite nei piani predisposti per il contrasto alla violenza di genere».
Questa necessità di attenzione la ritroviamo anche nella Relazione 2017 sul fenomeno della violenza di genere, acquisita attraverso la registrazione delle chiamate pervenute al numero 1522, attivato dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio e gestito dall’Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa. Relazione dove sono riportati alcuni dati relativi alla condizione di disabilità delle vittime di violenza.
In tale testo, alle pagine 25 e 26, viene affermato che si tratta «della registrazione di un fenomeno che non trova mai spazio adeguato nei report di analisi e monitoraggio. Invece il fenomeno è esteso e poco sanzionato e scarsamente ottiene la rilevanza dovuta. Su questo aspetto occorrerebbe una maggiore riflessione ed attenzione sociale per prevenire meglio e con maggiore efficacia. Confrontando percentualmente per genere, all’interno dei maschi la quota percentuale (6,40%) è superiore rispetto alle donne (2,27%) ed anche questo dato può dare spunto a diverse osservazioni in merito a possibili forme di violenza assistita da parte di persone vicino alle donne con forme di disabilità. Ovviamente si tratta di un aspetto da approfondire meglio e tenere sotto osservazione anche da parte del policy maker e di chi è preposto a definire azioni concrete di contrasto alla violenza».
È bello, in termine di prospettiva futura, leggere in documenti generalisti un’attenzione specifica alla condizione delle donne con disabilità all’interno del fenomeno della violenza. Un’attenzione che rimanda però ad azioni ben precise. E un’attenzione che con stupore si fatica a vedere nel Secondo Programma di Azione biennale sulla disabilità, discusso e redatto dall’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità. Una disattenzione, questa, che fa male perché all’interno degli estensori del Secondo Programma, quali membri nominati per decreto e membri dei gruppi di lavoro, sono presenti rappresentanti del movimento della disabilità italiano, che conoscono – o dovrebbero conoscere – la dimensione del fenomeno e la fatica a farlo emergere.
Come è possibile, infatti, che nonostante le timide e insufficienti indagini dell’ISTAT che rilevano le violazioni, e nonostante la Raccomandazione n. 43 e l’Osservazione Conclusiva n. 44 del Comitato ONU che monitora l’applicazione della Convenzione in Italia, ci si trovi di fronte a un Osservatorio che fa registrare la totale assenza di riferimenti e azioni di contrasto alla violenza nei confronti delle ragazze e donne con disabilità?
Per quali ragioni si è deciso di non inserire interventi di indagine, di contrasto, di protezione e tutela delle ragazze e donne con disabilità vittime di violenza, azioni di informazione e sensibilizzazione sul fenomeno, campagne per migliorare l’accessibilità dei Centri Antiviolenza e la formazione dei loro operatori sul riconoscimento dell’atto violento e il suo legame con la disabilità della vittima?
Tre, a questo punto, sono le domande da porre: Quali sono state le motivazioni di questa assenza? La violenza contro le ragazze e le donne con disabilità è una priorità? Esiste una questione femminile all’interno del movimento della disabilità?
E qui dobbiamo riprendere la Raccomandazione n. 13 e l’Osservazione Conclusiva n. 14 del citato Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che recitano molto chiaramente: «Raccomandazione n. 13: il Comitato è preoccupato perché non vi è alcuna sistematica integrazione delle donne e delle ragazze con disabilità nelle iniziative per la parità di genere, così come in quelle riguardanti la condizione di disabilità. Osservazione Conclusiva n. 14: il Comitato raccomanda che la prospettiva di genere sia integrata nelle politiche per la disabilità e che la condizione di disabilità sia integrata nelle politiche di genere, entrambe in stretta consultazione con le donne e le ragazze con disabilità e con le loro organizzazioni rappresentative. Il Comitato raccomanda che lo Stato Parte tenga in considerazione l’articolo 6 della Convenzione e il Commento Generale del Comitato n. 3 nell’attuazione dell’Obiettivo per lo Sviluppo Sostenibile n. 5, nei punti 5.1, 5.2 e 5.5 [il riferimento è agli “Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile” contenuti nell’Agenda ONU 2030, N.d.R.]».
Questo non è un generico invito, ma un forte richiamo agli obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, sancita da una Legge dello Stato Italiano (Legge 18/09) che tutti sono obbligati a rispettare.
In questa fase, poi, abbiamo, come donne con disabilità, un’altra opportunità che dobbiamo cogliere al volo per far emergere il fenomeno della violenza di genere.
La Raccomandazione n 41 e l’Osservazione Conclusiva n. 42 del Comitato ONU chiedevano di estendere il mandato del Meccanismo Nazionale di Prevenzione (il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, organismo la cui istituzione deriva dalla ratifica del Protocollo Opzionale delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura) anche alle strutture per persone con disabilità. Così il testo originale:
«Raccomandazione n. 41: Il Comitato è preoccupato per il fatto che la delega di mandato del Meccanismo Nazionale di Prevenzione (MNP) non si estende alle istituzioni psichiatriche o altre strutture residenziali per persone con disabilità dove esse vengono privati della loro libertà. Osservazione Conclusiva n. 42: il Comitato raccomanda che l’MNP visiti immediatamente gli istituti psichiatrici o altre strutture residenziali per persone con disabilità, specialmente quelle con disabilità intellettive o psicosociali, e riferisca sulla loro condizione».
Ebbene l’Ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha dichiarato che «ha appena realizzato una mappatura delle strutture per persone con disabilità in Italia e che nei prossimi giorni metterà a regime il loro monitoraggio al fine di prevenire possibili abusi o trattamenti inumani o degradanti nonché improprie forme di contrazione della libertà» [se ne legga anche nel nostro giornale, a questo e a quest’altro link, N.d.R.].
Questa notizia è buona perché significa che in tale àmbito l’Italia ottempera all’obbligo della Convenzione ed è buona perché è l’occasione per raccomandare di ricomprendere tra gli abusi e i trattamenti inumani e degradanti anche gli abusi e le violenze sessuali, nonché di raccogliere dati sul fenomeno in forma disaggregata per genere, per età, per tipo di disabilità e tipologia di struttura.
È difficile? Sì. È complesso? Sì. È impossibile? No!
Dopo la Relazione Finale della Commissione del Senato sul femminicidio, dopo la Relazione sul Servizio 1522, dopo l’impegno del Garante dei diritti delle persone private della libertà, non possiamo più girare la faccia dall’altra parte e dobbiamo pretendere che anche l’Osservatorio sulla Condizione delle Persone con Disabilità indichi chiaramente quali percorsi di lotta alla violenza subita dalle ragazze e dalle donne con disabilità si debbano intraprendere.
E ritorniamo alla canzone di Zucchero, «donne du du du / in cerca di guai», ovvero donne con disabilità che non accettano di venire discriminate e violate nei loro diritti umani. Donne, quindi, pronte a sopportare critiche e a spingere per azioni di “emersione” dall’invisibilità della loro condizione. «Donne a un telefono che non suona mai» ovvero donne che non aspettano che qualcuno le chiami, ma che saranno loro stesse a chiamare.
Presidente di FONOS (Fondazione Orizzonti Sereni), componente del FID (Forum Italiano sulla disabilità), consigliera della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), membro del Gruppo di Lavoro che ha redatto il Rapporto Alternativo sull’Italia presentato al Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Il presente testo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), con il titolo “Non possiamo più girare la faccia dall’altra parte”. Viene qui ripreso – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.
Per approfondire ulteriormente il tema trattato, oltre a considerare l’elenco di contributi da noi pubblicati e qui a fianco disponibile, si può accedere al sito di Informare un’h, alla Sezione dedicata al tema La violenza nei confronti delle donne con disabilità e a quella dedicata al tema Donne con disabilità.
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