Le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge

di Simona Lancioni*
Abbiamo scelto di citare un recente libro di Michela Murgia (“Accabadora”), per intitolare questo articolo, dove si parla di Teresa Lewis - donna con disabilità mentale condannata a morte il 23 settembre negli Stati Uniti - dell'iraniana Sakineh Mohammadi Ashtiani - la cui esecuzione sembra sia stata per il momento sospesa - e di una giovane nigeriana, Faith Aiworo, che dopo essere stata espulsa dall'Italia - dove aveva già avviato richiesta di asilo politico - è stata rimpatriata nel suo Paese e ora attende l'esecuzione capitale. Storie da porre presumibilmente sullo stesso piano, ma che hanno suscitato e suscitano echi completamente diversi negli organi d'informazione e presso l'opinione pubblica

Volto di donna seminascosto da una mano su un vetroIl 23 settembre è stata eseguita la sentenza di Teresa Lewis, la donna con disabilità mentale condannata a morte negli Stati Uniti d’America (in Virginia) con l’accusa di aver commissionato un agguato al marito. Agguato nel quale morirono sia quest’ultimo, che il figliastro. A nulla è servito far notare che Teresa, proprio a causa della sua disabilità, ben difficilmente avrebbe potuto persuadere altre persone a commettere quel reato. Irrilevante è stata anche l’incongruenza della Sentenza con le dichiarazioni rilasciate dagli autori materiali del reato: in esse si chiariva che la mente dell’agguato non era Teresa, ma uno degli autori stessi [di tale vicenda il nostro sito si è occupato con numerosi articoli, il più recente dei quali è disponibile cliccando qui, N.d.R.].
Ora, mentre Teresa riposa in pace, possiamo continuare a seguire l’altrettanto triste vicenda di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata alla lapidazione per il reato di adulterio, attualmente rinchiusa nel braccio della morte in Iran.

Oltre l’inaccettabile violazione dei diritti umani che la pena capitale porta con sé, ciò che colpisce nelle due vicende è la diversa rilevanza riscontrata nella divulgazione di due notizie che, a nostro parere, andrebbero poste sullo stesso piano. Grandissimo risalto alla vicenda di Sakineh, enfasi decisamente sottotono per quella di Teresa. Perché? Perché l’Iran è considerato “nemico dell’Occidente”, mentre gli USA l’Occidente lo incarnano ed è decisamente più semplice prendersela con i nemici che con gli amici, anche quando entrambi si macchiano degli stessi crimini.

In questi giorni il sito Il paese delle donne on line ha pubblicato un appello per salvare Faith Aiworo, una nigeriana condannata all’impiccagione per essersi legittimamente difesa di fronte a un tentativo di stupro.
Sino a poco tempo fa Faith era in Italia, dove aveva già avviato una richiesta di asilo politico. Ma a luglio il nostro Governo, incurante della situazione, ha espulso Faith rimpatriandola in Nigeria, dove è stata incarcerata e attende l’esecuzione della sentenza di morte.
Inutile dire che le notizie su questa vicenda sono ancora più esigue di quelle sul caso di Teresa… prendersela con se stessi è ancora più difficile che prendersela con gli amici.
Nel suo ultimo romanzo (Accabadora, Torino, Einaudi, 2009), Michela Murgia ha scritto che «le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge». Il timore è che il nostro Paese, pur di non ammettere le prime, sia disposto a passare sopra alla vita delle seconde.

*Componente del Coordinamento del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), nel cui sito il presente testo è già apparso – con il titolo L’Italia espelle Faith Aiworo, la Nigeria la condanna a morte – e viene qui ripreso per gentile concessione.

Gli interessati a firmare l’appello per salvare Faith Aiworo dalla condanna a morte devono cliccare qui.
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