Quel che dovrebbe essere, sempre, l’inclusione scolastica

di Simona Lancioni*
Quanto accade in una scuola elementare di Riccione (Rimini), dove un cartellone appeso in classe assegna agli alunni alcuni incarichi specifici, nel caso di una crisi da parte di un compagno con epilessia, è qualcosa di più di una bella storia di inclusione scolastica. «È piuttosto un bell’esempio - scrive Simona Lancioni - di come l’inclusione scolastica dovrebbe essere, sempre. Infatti, come si fa a parlare di inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità quando la classe non è coinvolta?»
Cartellone con gli "Incarichi di emergenza" in una scuola di Riccione
Il cartellone con gli “Incarichi di emergenza” per Noah, in caso di crisi di epilessia

Forse «La Repubblica» (cronaca di Bologna) ha virato un po’ sul sensazionalistico nei due articoli del 6 e 10 aprile, intitolati rispettivamente Riccione, in classe c’è un bimbo con l’epilessia: ogni compagno ha un ruolo per le emergenze» e La maestra che ha sfidato l’epilessia: “Così ho insegnato alla classe ad aiutare il compagno” (di Ilaria Venturi), ma la storia di Noah, che ha 9 anni e soffre di epilessia, è qualcosa di più di una bella storia di inclusione scolastica.

Elena Cecchini ha 43 anni e insegna alla scuola primaria Annika Brandi di Riccione (Rimini). Ciò che l’ha resa “famosa” è il fatto di avere coinvolto i suoi alunni nelle operazioni di pronto intervento, nel caso in cui Noah avesse manifestato una crisi epilettica. In quella circostanza a diversi alunni sono assegnati incarichi specifici da svolgere, mentre lei stessa soccorre il bambino. Incarichi come prendere il farmaco dal secondo cassetto, prendere il cuscino dall’armadietto, chiamare i bidelli e gli insegnanti delle classi addicenti.
Gli incarichi sono annotati su un cartellone appeso in classe, e sono previste una turnazione e delle sostituzioni (necessarie a garantire che nessun incarico resti scoperto). La maestra non ha parlato coi genitori di Noah di questa organizzazione, non lo ha ritenuto necessario, tant’è che loro ne sono venuti a conoscenza in occasione dei colloqui, notando il foglio appeso. Una scoperta che ha commosso la madre del bambino e l’ha indotta a raccontare questa sua esperienza in una lunga lettera pubblicata su Facebook.

Ha scritto Barbara Forbicini, madre di Noah: «La maestra ha compiuto un gesto di estrema importanza perché li ha resi partecipi e preparati [i compagni di classe] per una cosa importantissima: Aiutare. Questo è un grande insegnamento di solidarietà. Questi bambini un giorno per strada si fermeranno ad aiutare chi ha bisogno e non si volteranno dall’altra parte! Io ho il magone in gola perché so che in classe non vedono l’ora di avere il nome scritto lì sopra. Noi famigliari insegniamo a casa certi valori e princìpi ma poi è di fondamentale importanza che anche la società segua un certo percorso. Questo foglio per me è la Vita, è amore per il prossimo, è altruismo. Quando una maestra può fare un enorme differenza. Mio figlio sta vivendo tranquillo, non solo per noi a casa che cerchiamo di fare un cammino amorevole, ma anche perché ha risposte così meravigliose dall’esterno, ma che è sempre un ambiente dove vive. Grazie è poco, maestra Elena Cecchini».

Dal canto loro, Cecchini e la scuola minimizzano. «Non cercate eroi, sono solo una maestra che fa il suo lavoro, come le mie colleghe», ha spiegato la maestra. «Per noi è la normalità – aggiunge Liliana Gagliano, dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo 1 di Riccione, del quale fa parte la primaria di Noah -, un modo di insegnare condiviso nelle classi, cosicché i bambini sono messi nelle condizioni di sperimentare la solidarietà e nel caso di una malattia di non averne paura, di non spaventarsi, di saperla affrontare nel modo giusto. Accogliere tutti è il nostro lavoro, agli alunni sono affidate responsabilità alla loro portata».

La storia di Noah, si diceva, è qualcosa di più di una bella storia di inclusione scolastica. Essa è piuttosto un bell’esempio di come l’inclusione scolastica dovrebbe essere, sempre. Infatti, come si fa a parlare di inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità quando la classe non è coinvolta? E anche nel trattare da “eroi” persone che – come giustamente ha dichiarato Cecchini – fanno solo il loro lavoro, non si rischia di far passare il messaggio che “fare il proprio lavoro” non si possa richiedere ad ogni lavoratore, ma solo a chi ha qualità straordinarie?

Responsabile di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente testo è già apparso, con il titolo “Coinvolgere la classe nel soccorso del compagno con epilessia”. Viene qui ripreso – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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