Forse «La Repubblica» (cronaca di Bologna) ha virato un po’ sul sensazionalistico nei due articoli del 6 e 10 aprile, intitolati rispettivamente Riccione, in classe c’è un bimbo con l’epilessia: ogni compagno ha un ruolo per le emergenze» e La maestra che ha sfidato l’epilessia: “Così ho insegnato alla classe ad aiutare il compagno” (di Ilaria Venturi), ma la storia di Noah, che ha 9 anni e soffre di epilessia, è qualcosa di più di una bella storia di inclusione scolastica.
Elena Cecchini ha 43 anni e insegna alla scuola primaria Annika Brandi di Riccione (Rimini). Ciò che l’ha resa “famosa” è il fatto di avere coinvolto i suoi alunni nelle operazioni di pronto intervento, nel caso in cui Noah avesse manifestato una crisi epilettica. In quella circostanza a diversi alunni sono assegnati incarichi specifici da svolgere, mentre lei stessa soccorre il bambino. Incarichi come prendere il farmaco dal secondo cassetto, prendere il cuscino dall’armadietto, chiamare i bidelli e gli insegnanti delle classi addicenti.
Gli incarichi sono annotati su un cartellone appeso in classe, e sono previste una turnazione e delle sostituzioni (necessarie a garantire che nessun incarico resti scoperto). La maestra non ha parlato coi genitori di Noah di questa organizzazione, non lo ha ritenuto necessario, tant’è che loro ne sono venuti a conoscenza in occasione dei colloqui, notando il foglio appeso. Una scoperta che ha commosso la madre del bambino e l’ha indotta a raccontare questa sua esperienza in una lunga lettera pubblicata su Facebook.
Ha scritto Barbara Forbicini, madre di Noah: «La maestra ha compiuto un gesto di estrema importanza perché li ha resi partecipi e preparati [i compagni di classe] per una cosa importantissima: Aiutare. Questo è un grande insegnamento di solidarietà. Questi bambini un giorno per strada si fermeranno ad aiutare chi ha bisogno e non si volteranno dall’altra parte! Io ho il magone in gola perché so che in classe non vedono l’ora di avere il nome scritto lì sopra. Noi famigliari insegniamo a casa certi valori e princìpi ma poi è di fondamentale importanza che anche la società segua un certo percorso. Questo foglio per me è la Vita, è amore per il prossimo, è altruismo. Quando una maestra può fare un enorme differenza. Mio figlio sta vivendo tranquillo, non solo per noi a casa che cerchiamo di fare un cammino amorevole, ma anche perché ha risposte così meravigliose dall’esterno, ma che è sempre un ambiente dove vive. Grazie è poco, maestra Elena Cecchini».
Dal canto loro, Cecchini e la scuola minimizzano. «Non cercate eroi, sono solo una maestra che fa il suo lavoro, come le mie colleghe», ha spiegato la maestra. «Per noi è la normalità – aggiunge Liliana Gagliano, dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo 1 di Riccione, del quale fa parte la primaria di Noah -, un modo di insegnare condiviso nelle classi, cosicché i bambini sono messi nelle condizioni di sperimentare la solidarietà e nel caso di una malattia di non averne paura, di non spaventarsi, di saperla affrontare nel modo giusto. Accogliere tutti è il nostro lavoro, agli alunni sono affidate responsabilità alla loro portata».
La storia di Noah, si diceva, è qualcosa di più di una bella storia di inclusione scolastica. Essa è piuttosto un bell’esempio di come l’inclusione scolastica dovrebbe essere, sempre. Infatti, come si fa a parlare di inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità quando la classe non è coinvolta? E anche nel trattare da “eroi” persone che – come giustamente ha dichiarato Cecchini – fanno solo il loro lavoro, non si rischia di far passare il messaggio che “fare il proprio lavoro” non si possa richiedere ad ogni lavoratore, ma solo a chi ha qualità straordinarie?
Responsabile di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente testo è già apparso, con il titolo “Coinvolgere la classe nel soccorso del compagno con epilessia”. Viene qui ripreso – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.
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