Un personale alfabeto della bellezza

di Francesca Arcadu
«Amare il proprio corpo - scrive Francesca Arcadu - prendersene cura, per una donna quarantenne è già di per sé una prova, un momento di passaggio nel quale accettare cambiamenti e coglierne la ricchezza. Per noi donne con disabilità questa prova si fa ancora più intricata, perché amare un corpo così distante dai modelli canonici può essere difficile, a meno che non ci si dimentichi totalmente di essi. Ed è quello che possiamo fare, riscrivendo il nostro personale alfabeto della bellezza»
Giuseppe Amisani, "Viso di donna", 1920 circa
Giuseppe Amisani, “Viso di donna”, 1920 circa

Congiunture astrali: ovvero quando il bivio dei 40 anni si intreccia con quello della tua malattia neuromuscolare progressiva regalandoti nuove emozioni.
Svolgimento: li senti che arrivano i 40 anni, lo sai già dai 35, si presentano con anticipo attraverso piccoli segnali insignificanti, tipo il metabolismo che assume la velocità di un modem analogico a 56k o l’energia che è sufficiente appena per lavorare dal lunedì al venerdì e regalarti fine settimana casalinghi in pigiama per ricaricare le batterie, raccontandotela come: «Ah sì, a me piace stare a casa, figurati se ho voglia di uscire!».
Ma attenzione, non è tutto tracollo: i 40 per una donna sono potenti per la mente, potentissimi, regalano consapevolezze che i 30 hanno solo anticipato, offrono profondità di analisi che fanno cogliere nella sua interezza la meraviglia dell’età adulta.
Qua-ran-ta, senti come suona e allora non te ne frega niente della pelle del viso che mostra tutte le battaglie, interiori e quotidiane, non ti interessano i capelli bianchi che fanno capolino e «sì, ai 50 me li lascio corti e bianchi come quelli di Jamie Lee Curtis, ecco!», non ti importa, anzi ti piace, l’idea degli occhiali da presbite indossati con nonchalance per leggere il menù.
I quaranta, per la precisione i quarantatrè, sono come una finestra su mille mondi e si portano dietro una strana, inspiegabile e piacevole sensazione di potenza. Come la consapevolezza di poter iniziare a unire i puntini di ciò che è stato prima, di ciò che ti ha portato fin qui.
Resta il rebus di una malattia neuromuscolare progressiva che con quel senso di potenza ci gioca, lo mette a dura prova ogni giorno, gioca col corpo, mettendo il carico pesante ai cambiamenti dell’età, gioca col respiro, lasciandoti senza fiato anche senza alcuna sorpresa, ti fa sentire stanca come due quarantenni messe insieme, ti priva ogni giorno di un pezzetto di autonomia e allora se il corpo rallenta la mente deve correre forte, fortissimo.
Amare il proprio corpo, prendersene cura, per una donna quarantenne è già di per sé una prova, un momento di passaggio nel quale accettare cambiamenti e coglierne la ricchezza. Per noi donne con disabilità questa prova si fa ancora più intricata, perché amare un corpo così distante dai modelli canonici può essere difficile, a meno che non ci si dimentichi totalmente di essi. Ed è quello che possiamo fare, riscrivendo il nostro personale alfabeto della bellezza, della cura di sé, ripartendo da ciò che siamo, godendo delle infinite possibilità dell’età adulta, della maturità che mostra la sua ricchezza non dando peso a tutto il resto.

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