«Abbiamo sfilato in corteo a Torino dal Palazzo Civico al Palazzo della Regione, in Piazza Castello. Con questa manifestazione abbiamo voluto testimoniare l’importanza e la necessità di un’inversione nelle politiche che finora hanno seguito le Istituzioni nel garantire l’attuazione dei progetti per la vita indipendente e l’assistenza personale».
Lo riferiscono le persone con disabilità torinesi aderenti alla rete Liberi di Fare (Movimento per la vita indipendente delle persone disabili), realtà autorganizzata che nello scorso fine settimana ha promosso numerose manifestazioni in altrettante città italiane, per il diritto alla vita indipendente e all’assistenza personale, come avevamo ampiamente riferito nei giorni scorsi.
Questa iniziativa, vale la pena ricordarlo, fa riferimento ad attivisti sparsi in tutta Italia ed era nata nell’autunno dello scorso anno, da una lettera aperta inviata al Governo da parte di due sorelle con disabilità motoria, Elena e Maria Chiara Paolini.
Così Liberi di Fare si presentava nel proprio sito: «Organizziamo azioni di protesta pacifica – si legge nel sito di Liberi di Fare – per far conoscere un’ingiustizia e un’emergenza nazionale: l’insufficienza di assistenza personale per le persone disabili che ne hanno bisogno. Chiediamo alle Istituzioni delle risposte concrete».
Agli inizi di novembre dello scorso anno vi era stata la prima azione, alla quale è seguita appunto quella dei giorni scorsi.
«Al momento in Italia non vengono stanziati fondi sufficienti a sostenere i progetti di vita indipendente e per l’assistenza personale – dichiara Antonio Castore, referente del movimento a Torino – e nonostante i progressi raggiunti in alcune Regioni quasi dieci anni dopo la ratifica da parte dell’Italia della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità [Legge 18/09, N.d.R.], ancora troppe persone con disabilità che hanno bisogno di assistenza sono costrette a vivere in luoghi di isolamento sociale e segregazione, senza possibilità decisionale e vulnerabili a potenziali abusi, oppure si trovano a dipendere dalla cerchia familiare, in un contesto di limitazioni reciproche e senza libertà di scelta. Le attuali residenze sociosanitarie, in particolare, sono per noi realtà simili a luoghi di detenzione, salvo che le persone con disabilità che vi risiedono non hanno commesso alcun reato. Pertanto, continueremo a batterci per assicurare a tutti e a tutte il diritto ad una vita degna di essere vissuta». (S.B.)
Ringraziamo per la collaborazione Piergiorgio Maggiorotti.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: info@liberidifare.it.
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