Interessante, quella campagna pubblicitaria

di Simona Lancioni*
Negli Stati Uniti è stata recentemente lanciata una campagna pubblicitaria per promuovere la vendita di una nuova collezione di intimo, che impiega modelle con diverse disabilità e condizioni corporee. L’iniziativa, caratterizzata da uno scarto decisamente significativo, in termini di cultura inclusiva, sta riscuotendo un grande successo, e merita senz’altro alcune riflessioni
Modelle della campagna pubblicitaria di "Aerie", 2018
Due modelle, una con vitiligine, l’altra con sindrome di Down, coinvolte nella campagna pubblicitaria di “Aerie”

Aerie, un marchio di abbigliamento per adolescenti e lingerie che fa parte del gruppo American Eagle, ha lanciato recentemente una campagna pubblicitaria per promuovere la vendita di una nuova collezione di intimo che impiega modelle con diverse disabilità e condizioni corporee.
Ci sono modelle con amputazione, donne in sedia a rotelle o con le stampelle, con vitiligine, con sindrome di Down, con qualche chilo in più, con cicatrici, con smagliature, con cerotti o altri dispositivi sanitari ecc.
L’iniziativa vuole rappresentare le donne nel modo più reale e naturale possibile e lo slogan della campagna è Girl power. Body positivity. No retouching [letteralmente “Potere alle ragazze. Positività del corpo. Nessun ritocco”, N.d.R.], ossia un invito a riconoscere la potenza/energia femminile, promuovendo un atteggiamento positivo verso il corpo e rivendicando l’uso di immagini non ritoccate. Aerie, del resto, ha smesso di usare Photoshop per le sue immagini di intimo e costumi da bagno già nel 2014, in relazione all’iniziativa denominata #AerieReal, con la quale l’azienda si è impegnata a rappresentare donne reali.
Pare che la campagna stia riscuotendo un enorme successo: le donne, attraverso i social media, stanno manifestando il loro apprezzamento perché – finalmente! – anche i loro corpi sono rappresentati nella pubblicità.

L’iniziativa è interessante per diversi motivi. In primo luogo salta agli occhi che non si tratta di una pubblicità sociale, ma di una pubblicità volta a promuovere la vendita di prodotti di uso comune. Essa propone una rappresentazione delle donne con disabilità “non problematica”, non vi è l’intento di denunciare alcunché, solo quello di vendere un prodotto.
Ora, se consideriamo che le donne e le ragazze con disabilità sono quasi totalmente ignorate dai mezzi d’informazione, e che le poche rappresentazioni privilegiano una prospettiva medico-sanitaria asessuata, lo scarto in termini di cultura inclusiva è notevole. Queste ragazze/donne non solo pubblicizzano dei prodotti di uso comune, ma questi prodotti ne sottolineano l’appartenenza di genere: anche le ragazze/donne con disabilità usano biancheria intima esteticamente gradevole e ben rifinita! I loro corpi non sono imperfetti (imperfetti rispetto a cosa?), non hanno bisogno di alcun ritocco, vanno semplicemente accettati perché non vi è alcun motivo per non farlo.

Vi è poi un’altra sottigliezza. È ancora piuttosto frequente che le donne nei media siano rappresentate ponendo l’accento sul loro aspetto piuttosto che sulle loro competenze. Pertanto, davanti all’ennesima pubblicità con donne in lingerie, dobbiamo chiederci se l’iniziativa di Aerie sia davvero una scelta inclusiva delle tante diversità umane o se, invece, non possa essere intesa come l’ennesimo esempio di riduzione della donna (in questo caso della donna con disabilità) a oggetto di desiderio sessuale.
Per rispondere a questa domanda, possiamo iniziare con l’osservare che poiché stiamo parlando di una pubblicità di intimo, la circostanza che le donne siano in mutande e reggiseno non rappresenta una forzatura. Diverso sarebbe stato se, ad esempio, avessero utilizzato donne in lingerie per pubblicizzare una marca di automobili, giacché solitamente nessuno/a guida in mutande.
In secondo luogo possiamo argomentare che il persistere di un pregiudizio che considera le donne con disabilità come soggetti asessuati, e i loro corpi come indegni di essere rappresentati, fa sì che la sottolineatura della femminilità di queste donne aiuti a vederle come donne, mettendo in secondo piano le loro disabilità. Se infatti le altre donne hanno speso molte energie per non essere viste solo come donne (madri e mogli), ancora oggi le donne con disabilità devono impegnarsi per essere viste come donne (e anche come madri e mogli), e non solo come persone con disabilità. In altre parole, ciò che per alcune è stato motivo di affrancamento, per altre si configura come terreno di conquista. I numerosi apprezzamenti espressi da donne comuni attraverso i social network, confermano che l’iniziativa è stata recepita in modo corretto.

Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito le presenti riflessioni sono già apparse. Vengono qui riprese, per gentile concessione, con alcuni minimi riadattamenti al diverso contenitore.

Sul tema Donne e disabilità, oltreché fare riferimento al lungo elenco di testi da noi pubblicati, presente a questo link, nella colonnina a destra dell’articolo intitolato Voci di donne ancora sovrastate, se non zittite, si può accedere al sito di Informare un’h, alla Sezione dedicata a Donne con disabilità.

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