Questa volta cercherò di annoiare i Lettori grazie ad alcune tappe, ahimè “normali”, di una vita un po’ particolare, cioè quella, ça va sans dire, di un SBS (Soggetto con Bisogni Speciali).
Ehi?… E allora? Sveglia dormiglioni! Sto parlando di una persona disabile. Su, coraggio, fatevi forza e date una scorsa a questo mio ennesimo pastrocchio.
Ah, vi ricordo ancora che, per eventuali (e probabili) denunce nei miei confronti, il foro competente è quello di Paperopoli.
Sono nato, e questo è indubbio. Poi sono successe alcune cose di cui oggi non conservo più memoria. Il primo ricordo nitido è quello, doloroso, dei lividi dei miei tanti, troppi capitomboli. Mamma mi sgridava, ma a un certo punto aveva fatto irruzione un omone col camice bianco, i cui paroloni mi avevano marchiato a fuoco come un vitellino da latte: «Signora, si faccia coraggio: è distrofia muscolare!».
…Vabbè, pazienza.
Tutto il tempo papà, mamma, nonne, zii e amici di famiglia mi riempivano di stucchevoli coccole e di più interessanti regalini. Mio fratello maggiore crepava d’invidia e pareggiava la bilancia spruzzandomi addosso l’acqua del water, infilandomi lucertole nel lettino e mangiandomi la pappa sotto al naso.
…Vabbè, pazienza.
I ruzzoloni continuavano e in terza elementare i compagni mi prendevano in giro per l’andatura ciondolante. Allora avevo modificato il ginocchio di uno di loro spingendolo dalle scale e beccandomi così tre giorni di sospensione.
…Vabbè, pazienza.
Alle medie le cose non andavano di certo meglio e avevo raggiunto il nadir quando avevo proposto alla biondina del secondo banco di vederci al pomeriggio per studiare matematica insieme. Ancora mi rimbomba nelle orecchie l’eco della sua sonora sghignazzata, soltanto la prima di una lunga sfilza di “no-grazie” ottenuti da altre portatrici di tette.
…Vabbè, pazienza.
E poi, finalmente, era arrivata lei, una fiammante carrozzina elettrica di ultima generazione, che aveva sostituito l’ormai scassata manuale. Oddio, il debutto non era stato un granché, visto il frontale contro il guardaroba quattro stagioni e la conseguente frattura del mignolo di un piede.
…Vabbè, pazienza.
Il trionfale rito di passaggio, posto alla base di ogni conseguimento della patente da “disabile DOC”, era giunto qualche mese dopo. La mitica visita di accertamento dell’handicap ad opera dell’arcigna Commissione Medica era andata di lusso: handicappato al 100%. Al primo colpo!
…Vabbè, pazienza.
Il passo successivo era stato l’incontro-scontro con gli ausili: cuscini antidecubito frantumachiappe, letti ortopedici cigolanti, rialzi del water spigolosi, pappagalli marezzati, comode scomode, sollevatori sbilenchi e rumorosi c-pap.
…Vabbè, pazienza.
Come ogni disabile che si rispetti ero stato sottoposto alle medicine alternative e ai pellegrinaggi religiosi. Quindi, appunto come ogni disabile degno di tale nome, avevo sperimentato inutili soffi vitali in sordidi studioli e, perlomeno in suggestivi santuari, altrettanto inutili rosari.
…Vabbè, pazienza.
Passati i vent’anni, la mia patologia continuava a peggiorare, ma più di essa mi preoccupavo di come trascorrere intere mattinate di noia al Centro Diurno, combattendo strenuamente contro la tentazione di sfanculare ogni cinque minuti educatori e colleghi portatori di handicap.
…Vabbè, pazienza.
Poi, finalmente (si fa per dire), era arrivato il momento di affidare la mia cura a un/a badante e quindi, oltre a continuare ad avere problemi irrisolti di assistenza, riuscire ad aumentare il peso del mio fardello con pastoie burocratiche, incomprensioni linguistiche e grane sindacali.
…Vabbè, pazienza.
Gli anni si susseguivano invano, mentre malattia e disabilità continuavano imperterrite il processo di smantellamento del sottoscritto. Tutto faceva brodo: un’inclusione sociale da operetta, l’ebbrezza di una piega del pigiama sotto la schiena, un ascensore guasto, l’ennesimo vecchietto che mi chiedeva la velocità della carrozzina, il mio neurologo in Porsche eccetera eccetera.
…Vabbè, pazienza.
Avevo accolto con entusiasmo e (vana) speranza “Anni Internazionali delle Persone Disabili”, per accorgermi, dopo i regolari 365 giorni, 6 ore, 9 minuti, 9 secondi e 54 centesimi, che non era cambiato assolutamente nulla. Anzi.
…Vabbè, pazienza.
Mi avevano illuso millanta volte con dichiarazioni altisonanti, convenzioni illuminate, leggi geniali e stati dell’arte avanzatissimi, salvo poi risvegliarmi bruscamente, con veri e propri ceffoni, in realtà simili alla distopica Los Angeles di Blade Runner: «Ho visto cose che voi umani…».
…Vabbè, pazienza.
Però, grazie alla mia disabilità, ho avuto la “fortuna” di conoscere medici scortesi, fisioterapisti grossolani, psicologi impreparati, ortopedici avidi, terapisti occupazionali superflui, assistenti sociali incapaci, educatori dilettanti, disability manager inesperti, assessori famelici, sindaci fanfaroni, politici arroganti, presidenti di ONLUS pasticcioni, volontari bacucchi e falsi invalidi carogne.
…Vabbè, pazienza.
Ho sopportato tutto ciò senza (quasi mai) battere ciglio, ma Vostro Onore, quando il povero defunto mi ha chiamato “diversamente abile”, non ci ho più visto dalla rabbia e l’ho investito con la carrozzina elettrica. Pertanto mi dichiaro colpevole e mi affido alla clemenza della Corte.
…Vabbè, abbiate tutti pazienza!
Ras Segnato
Nella colonnina qui a fianco a destra, riportiamo l’elenco dei vari contributi di Gianni Minasso pubblicati da «Superando.it», per la rubrica intitolata A 32 denti (Sorridere è lecito, approvare è cortesia).
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