I have a dream!, “ho un sogno”. Già, si fa presto a dire. Generazioni, ci vogliono. Anni e anni. Poi arriva Obama, e resti pure deluso. Perciò i sogni servono per sognare. Sognare aiuta a vivere. Vivere è fondamentalmente l’unica cosa che sappiamo fare tutti. Anche morire, in teoria. Ma non è del tutto vero. Perché non tutti sappiamo morire. Sicuramente non sappiamo nascere, c’è una mamma che ci fa nascere. Fosse per noi rimarremmo lì dentro, al caldo, protetti, con il dito in bocca.
Eppure io ho un sogno. È il 3 dicembre del 2032. Ho compiuto da poco 80 anni. Sono ancora vivo, più o meno. Le ossa erano meno fragili del previsto. Il respiro non mi ha ancora tradito. La testa non vaneggia del tutto, anche se tendo a ripetere sempre le stesse cose. Mi muovo con una carrozzina a energia solare. Giro per le strade di Milano, esco di casa senza problemi, fa un po’ freddo, ma sono ben coperto.
Non guido più da qualche anno, perché penso che a una certa età sia meglio prendere i mezzi pubblici piuttosto che essere io un pericolo pubblico. Arrivo facilmente alla fermata della metropolitana. Un ampio ascensore a vetri si apre e mi accoglie con un cicalino. Dentro è tutto pulito. Scendo a livello dei binari. Mi oriento facilmente, seguendo i segnali ben visibili e a caratteri grandi. Raggiungo la Linea Azzurra. Il treno si ferma proprio davanti a me, le porte si aprono, esce una hostess molto carina che mi chiede se ho bisogno di aiuto. Io le dico che posso fare da solo, ma che ovviamente sono felice se mi fa strada. Mi chiede dove voglio andare. «Non lo so», rispondo. «O meglio, non ricordo. Si avvicina Natale, ma non è questo il punto. Oggi è il 3 dicembre, e voglio andare in Comune, ad ascoltare il sindaco della mia città che parla a tutti i cittadini di come Milano sia diventata la città per tutti, ma proprio tutti». Lei mi sorride e mi dice: «Certo, Cavalier Bomprezzi, la stavamo aspettando». E mi fa strada fino al posto ampio e largo che è destinato alle carrozzine solari, con una piastra sul pavimento che consente di ricaricare le batterie durante il tragitto. La hostess resta accanto a me per tutto il tempo. Arriviamo in Piazza del Duomo.
Scendo dalla metro, risalgo in superficie con un altro ascensore velocissimo, nel quale entrano tutti, non solo le persone con disabilità, ovviamente. Molti mi salutano, si ricordano delle nostre battaglie di tanti anni fa. Ci sono in Galleria tanti altri reduci, vecchi disabili ossuti, alcuni con le stampelle, altri con il bastone bianco a raggio laser. Poi vedo una coppia di anziani con sindrome di Down, accompagnati dai loro figli, bellissimi.
I giornalisti e i fotografi sono tutti lì, davanti a Palazzo Marino. Mi aspettano, perché il 3 dicembre devo parlare in Comune. Il sindaco, un milanese di origini cinesi, ormai di terza generazione, ha organizzato un Memorial della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, giusto per non dimenticare. Infatti ormai da dieci anni non ce n’è bisogno, di questa giornata celebrativa. Superata la Grande Crisi, infatti, Milano e l’Italia hanno deciso di investire sul welfare, sulla qualità della vita di tutti, per tutti. Non solo per i disabili, ovviamente. L’hanno chiamata la generazione “del pensiero globale”. Non del mercato globale. Del pensiero. Pensare per tutti, in modo che tutti si sentano cittadini del mondo e nel mondo.
È stato un periodo incredibile, investimenti, progetti, giovani e anziani insieme a costruire un futuro a misura di tutti. Bastava leggere la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e applicarla, punto per punto. Il sindaco si è ricordato che tanti anni prima mi avevano dato l’Ambrogino d’Oro perché mi ero impegnato nella comunicazione a favore delle persone con disabilità. Io me l’ero scordato, l’età gioca dei brutti scherzi.
Ora entro in Sala del Consiglio, da solo, manovrando sul joystick, e arrivo al tavolo degli ospiti. Parlo: «Grazie a tutti. Grazie davvero. Sono commosso per questo momento di ricordo e di celebrazione. Il merito è di tutti, della comunità nazionale, regionale e locale. Ormai da tempo, infatti, le persone con disabilità grave possono avere assistenza domiciliare e ausili, in abitazioni confortevoli. I bambini con disabilità entrano a scuola accolti da una festa. Quando diventano grandi e si diplomano, o si laureano, superano agevolmente i test attitudinali e vengono assunti, in men che non si dica, da aziende socialmente responsabili, che in realtà sono felici di avere lavoratori solerti e puntuali. I genitori finalmente hanno ritrovato tempo libero ed energia, perché i loro figli vengono presi in carico dall’intera comunità. Il volontariato funziona bene, finanziato dal 10 per cento delle dichiarazioni dei redditi (il 5 per mille era davvero troppo poco, come ammise Tremonti, tanto tempo fa, proponendo questa clamorosa riforma: “Dal 5 per mille al 10 per cento!”). In realtà, cari amici milanesi, ormai da anni non parliamo più di disabilità, perché non ce n’è più bisogno. Ognuno è come è, con le sue caratteristiche personali, pregi e difetti, alti, bassi, magri, grassi, intelligenti, meno sagaci, miopi, presbiti, ciechi, sordi, autistici, biondi, uomini, donne, senza alcuna distinzione. Bastava leggere l’articolo 3 della Costituzione, del resto. Bastava leggerlo e applicarlo. Finalmente è successo. Alle persone con disabilità anziane, in considerazione del lungo impegno che hanno dovuto dimostrare per sopravvivere in questi difficili decenni, viene garantito un vitalizio e l’assistenza a domicilio, 24 ore al giorno. Io ho più di ottant’anni, e sono orgoglioso di vivere qui, di essere qui. Il mio sogno si è realizzato. La mia vita è coronata dall’avverarsi del mio sogno. Perciò, cari amici milanesi, ora finalmente posso riposare. Anzi, ora vado a dormire, torno a crogiolarmi nel mio sogno».
Clic. Accendo la luce. Guardo l’ora, è quasi mezzanotte. Mi devo essere assopito. Mancano pochi giorni al 3 dicembre 2010. Il computer è ancora acceso. Leggo i documenti delle associazioni: «Azzerato il Fondo Nazionale per le Non Autosufficienze…», «Tagliato il Fondo per le Politiche Sociali…», «Tagliato il 5 per mille…». Non mi sento tanto bene. Quasi quasi mi addormento di nuovo. Che bello il mio sogno. Lasciatemi dormire. Sono stanco.
*Testo apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di Vita.blog, con il titolo Sognando il 3 dicembre e qui ripreso con alcuni adattamenti.