Abbiamo letto nei giorni scorsi, sulle pagine del quotidiano «Il Gazzettino» della rinuncia di un docente il quale, a fronte della sua impreparazione a insegnare a una giovane con autismo grave, ha appunto rinunciato all’incarico. Questo non ci sorprende, dato che l’assegnazione degli insegnanti non viene fatta in base alla preparazione, ma in base alla graduatoria.
Quell’insegnante ha dimostrato onestà e serietà, rinunciando a un incarico a cui non era preparato. Infatti, quando ci sono gravi disabilità sociali, è indispensabile avere personale adeguatamente formato, che abbia gli attrezzi del mestiere per una didattica mirata. Ci scandalizza invece la dichiarazione del Dirigente Scolastico, che ha commentato: «Chi sceglie di fare l’insegnante, sa fin da subito che la gavetta prevede pure questi passaggi»…
Uno studente con autismo, quindi, dovrebbe fare da “cavia” al primo arrivato che non ha alcuna preparazione? Ci sembra che nella scuola di tutti il termine inclusione abbia un significato preciso, che comporta organizzazione e non improvvisazione. Proprio a Treviso – la Provincia dove si è verificato il fatto – la nostra Associazione [ANGSA, l’Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici, N.d.R.] ha realizzato innumerevoli corsi formativi dedicati agli insegnanti e c’è anche uno specifico Sportello Autismo Scuola dedicato alla didattica. Il tutto per evitare che si assegni personale senza la preparazione necessaria a seguire forme di disabilità che necessitano di una preparazione specifica.
Che gli allievi con disabilità intellettiva siano trattati molto peggio di quelli con disabilità sensoriale? Sembra di poterlo dedurre dalla recente Sentenza n. 5851/18 del Consiglio di Stato [se ne legga già ampiamente sulle pagine di «Superando.it», N.d.R.], che ha confermato un precedente provvedimento del TAR di Catanzaro (n. 208/16), dando ragione e soddisfazione economica a una famiglia che aveva rifiutato una docente specializzata sì, ma con la “solita” specializzazione polivalente, che si pretende debba essere buona per tutte le disabilità, senza però avere titoli specifici in àmbito tiflologico (Tiflotecnica e Tiflodidattica), né alcuna esperienza pratica con gli allievi non vedenti.
Si noti che accanto all’insegnante di sostegno era presente in rapporto di uno a uno anche l’assistente all’autonomia e alla comunicazione specializzata in Tiflologia. Ma secondo il Consiglio di Stato, questo non bastava. Infatti, la scuola, in mancanza di insegnanti con la specializzazione polivalente, aveva assegnato come sostegno all’allieva, per l’anno scolastico 2014/15, una dottoressa con la specializzazione in Tiflotecnica e Tiflodidattica e che in precedenza era stata l’assistente all’autonomia e alla comunicazione fornita dal Comune. Nell’anno scolastico successivo, avendo in graduatoria la disponibilità di un’insegnante con la specializzazione polivalente, la scuola aveva destinato quest’ultima all’allieva, interrompendo la continuità. A quel punto i genitori avevano rifiutato la nuova insegnante e chiesto al TAR di Catanzaro di sospendere la nomina dell’insegnante polivalente e di riaffermare il diritto dell’allieva ad avere l’assegnazione di un insegnante di sostegno “in lingua”, specializzata cioè in Tiflologia, oltreché di risarcire i danni subiti dall’alunna. Dal canto suo, il TAR aveva emesso un decreto cautelare ante causam, ordinando al Ministero di assegnare un insegnante di sostegno specializzato in Tiflologia, ma la Direzione Scolastica, pur avendo molto pubblicizzato l’intenzione di assumere un docente con simile esperienza, non era riuscita a trovarne uno disponibile. L’unica dottoressa che si era presentata vantava la specializzazione in Tiflologia, ma non il titolo di specializzazione polivalente: pertanto i responsabili dell’Amministrazione aveva rifiutato di assumerla, attenendosi, da bravi burocrati, alla normativa vigente. Una situazione realmente “kafkiana”, dove il rispetto delle norme formali andava a danno della sostanza.
Fortunatamente il Comune di residenza ha messo a disposizione la dottoressa esperta per 25 ore sulle 30 richieste, con il ruolo di assistente all’autonomia e alla comunicazione, ma la ragazza restava scoperta per 5 ore. Il Consiglio di Stato, quindi, ha quantificato il danno subito in 3.000 euro, condannando il Ministero a pagare.
Conoscendo quanto sia difficile l’inclusione scolastica di un’alunna con autismo, molto più difficile – ritengo – rispetto a quella di un’alunna non vedente, si dovrebbe a maggior ragione pretendere sempre che l’insegnante di sostegno sia specializzato non soltanto formalmente, ovvero con la specializzazione polivalente, ma anche con quella “specifica” consigliata dalla Linea Guida n. 21 dell’Istituto Superiore di Sanità [“Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti”, N.d.R.]. Si dovrebbe inoltre pretendere anche la presenza di un educatore – o meglio dell’assistente all’autonomia e alla comunicazione – altrettanto specializzato. Questa misura non comporterebbe maggiori costi rispetto a quelli oggi sostenuti, salvo che per la formazione specifica degli operatori, che già oggi sono retribuiti per stare in rapporto di uno a uno con l’allievo per moltissime ore la settimana, ma che spesso non sanno come comportarsi con un allievo con autismo.
Auspichiamo, quindi, la dovuta attenzione nell’assegnazione di personale con un’adeguata preparazione, ciò che solo potrà contribuire a una didattica mirata e a una qualità migliore della scuola di tutti.
Presidente dell’ANGSA Veneto (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici). L’ANGSA aderisce alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
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