Come migliorare l’attenzione nei ragazzi con ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività)? Come aiutarli a orientarsi verso scelte consapevoli? Come impostare un intervento efficace e duraturo nel tempo?
È in libreria da qualche settimana Rallentiamo… e scegliamo! (FrancoAngeli 2018), il primo programma italiano di Child Training per ragazzi basato sui principi teorici e metodologici dell’ACT (Acceptance and Commitment Therapy, letteralmente “Accettazione e terapia di impegno”), uno dei più innovativi ed efficaci modelli di psicoterapia cognitivo comportamentale.
Il programma, ideato e curato dall’IRCCS Medea di Bosisio Parini (Lecco), è rivolto agli operatori ed è stato progettato per bambini e ragazzi con diagnosi di ADHD, con un’età compresa tra gli 8 e i 13 anni. È finalizzato a migliorare l’attenzione, la capacità di focalizzarsi su un’attività, l’autocontrollo e la capacità di indirizzare efficacemente il proprio comportamento, il tutto per ridurre le risposte di tipo impulsivo e incrementare le scelte comportamentali consapevoli.
L’ADHD (se ne legga ampiamente anche nel box in calce) è un disturbo cronico e pervasivo dell’età evolutiva che riguarda circa il 5,3% della popolazione mondiale e i cui sintomi clinici primari sono la disattenzione, l’iperattività e l’impulsività.
Chi ne soffre presenta tipicamente problemi di pianificazione e autorganizzazione, disregolazione emotiva e comportamentale. A causa del deficit di autoregolazione, i bambini con ADHD spesso agiscono impulsivamente, falliscono nel prevedere le conseguenze a breve e a lungo termine del proprio comportamento e tendono a emettere comportamenti che portano a una compromissione del loro funzionamento a livello familiare, sociale e scolastico.
Un’altra caratteristica che contraddistingue le persone con ADHD è la loro forte reattività emotiva. «Indipendentemente dalla qualità delle emozioni – rileva Laura Vanzin, psicologa e psicoterapeuta dell’IRCCS Medea, che ha curato il programma e il libro recentemente pubblicato -, cioè sia che si tratti di emozioni quali rabbia o tristezza, sia che la persona percepisca stati affettivi connotati positivamente, come gioia o entusiasmo, possiamo avere l’impressione che queste persone non sperimentino vie di mezzo, passando “da 0 a 100” nel giro di pochi istanti. L’emozione, quindi, diventa presto impulsivamente agita, con conseguenze negative sui rapporti interpersonali e con una scarsa efficacia a lungo termine del proprio comportamento».
Nei percorsi terapeutici basati sull’ACT, si mira a ridurre la tendenza ad agire impulsivamente, promuovendo l’accettazione degli stati emotivi indesiderati e aiutando la persona a identificare ciò che per lei è davvero importante. Ciò che sta a cuore, infatti, diventa la direzione verso cui orientare a lungo termine i propri agiti, pienamente consapevoli delle contingenze ambientali.
Sulla base di tali considerazioni, gli autori Laura Vanzin, con Margherita Fossati, Valentina Mauri e Angela Valli, che operano da anni nel Centro Regionale ADHD, attivo presso il Medea di Bosisio Parini, intendono fornire agli operatori uno strumento utile a ridurre gli automatismi nel comportamento dei bambini con ADHD, aumentare la consapevolezza di ciò che avviene nel momento presente, creando così un tempo e uno spazio in cui discriminare le opzioni disponibili e scegliere le proprie azioni, in base alle contingenze ambientali e ai propri valori. (C.T. e S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa Associazione La Nostra Famiglia (Cristina Trombetti), cristina.trombetti@lanostrafamiglia.it.
ADHD
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD: Attention Deficit Hyperactivity Disorder) viene definito da Pietro Panei e Andrea Geraci del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità come «un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da inattenzione e impulsività/iperattività» («Notiziario dell’ISS-Istituto Superiore di Sanità», vol. 22, n. 1, gennaio 2009). Tra le altre cose, esso impedisce, a chi ne soffre, di concentrarsi e focalizzarsi su un’attività, con possibili pesanti ricadute sul rendimento scolastico e sul funzionamento sociale. Non dipende da un deficit cognitivo (ritardo mentale) ed è uno dei più comuni disturbi dell’infanzia.
A Vienna, il ventitreesimo Congresso dell’EPA, l’Associazione Europea di Psichiatria, celebratosi dal 29 al 31 marzo 2015, riunendo esperti da 88 diversi Paesi, membri di 37 Enti Nazionali, in rappresentanza di oltre 78.500 psichiatri europei e mondiali, è emerso che l’ADHD ha un impatto su più del 5% dei giovani, vale a dire il tasso più alto in assoluto tra i disturbi in età infantile e adolescenziale (fonte: «ADN Kronos», 29 marzo 2015).
In Italia uno dei più recenti studi – durato quattro anni – ha rilevato una prevalenza dell’1,2% di questa patologia nella popolazione di età compresa tra i 6 e i 18 anni («Medico e Bambino», 2012). E si continua a scontare l’arretratezza culturale degli anni precedenti al 2007, quando molto spesso il disturbo era sottodiagnosticato, se non addirittura ignorato.
L’ADHD, infine, si protrae anche all’età adulta, con le seguenti caratteristiche: verso i 20 anni, il 60% dei soggetti hanno remissione sindromica, ma compromissione nel funzionamento adattivo; il 30% hanno evoluzione e/o associazione con altri quadri psicopatologici (ad esempio disturbo antisociale, disturbo dell’umore…); il 10% hanno remissione funzionale e sintomatologica (Biederman J., Mick E., Faraone S.V., Age-dependent decline of symptoms of attention deficit hyperactivity disorder: impact of remission definition and symptom type, in «American Journal of Psychiatry», maggio 2000, 157(5), pp. 816-818). Pertanto, una percentuale significativa dei giovani con ADHD e delle loro famiglie necessitano anche in età adulta di terapie e supporto continui da parte dei clinici e degli operatori sanitari. Ai bisogni, inoltre, di tali pazienti precedentemente diagnosticati prima dei 18 anni, si aggiungono in Italia anche quelli delle persone neo-diagnosticate per la prima volta in età adulta, a causa di una mancata diagnosi in età evolutiva.
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