Scuola: non serve un cambiamento di forma, ma di sostanza

di Gianluca Rapisarda*
«Solo un “sostegno diffuso” - scrive Gianluca Rapisarda - garantito agli studenti con disabilità dall’intero contesto e non esclusivamente dal singolo docente specializzato, può rappresentare il vero cambio di passo di una “nuova” e più efficace politica di inclusione scolastica. Se non sarà così, nemmeno le modifiche al Decreto Legislativo sull’inclusione, annunciate dal Ministero nelle scorse settimane, serviranno a migliorare lo stato del sostegno in Italia. È quindi necessario che questi imminenti interventi correttivi si trasformino e traducano una volta per tutte in reali buone prassi»

Alunno con disabilità in carrozzinaLa Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità del 3 Dicembre scorso è stata definita «storica», dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, per il mondo della scuola e per l’inclusione degli alunni con disabilità. In quell’occasione, infatti, il Ministero stesso [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.] ha presentato la bozza di un nuovo Decreto alle Associazioni che compongono l’Osservatorio Permanente per l’inclusione scolastica, bloccando l’entrata in vigore del Decreto Legislativo (66/17), attuativo della Legge 107/15 (cosiddetta La Buona Scuola).
In pratica, in seguito alla riforma del sostegno disposta dal citato Decreto 66/17, non avrebbe dovuto essere più la scuola ad avanzare la richiesta delle ore di sostegno, ma un nuovo organo, ovvero il GIT (Gruppo per l’Inclusione Territoriale), al quale appunto, a partire dal 1° gennaio 2019, sarebbe spettato il compito di avanzare la richiesta delle ore di sostegno da assegnare a ciascuna istituzione scolastica per gli allievi con disabilità, secondo la seguente procedura:
a) il Dirigente Scolastico, sentito il GLI (Gruppo di Lavoro di Istituto) e sulla base dei singoli PEI (Piani Educativi Individualizzati), proponga al GIT la quantificazione dell’organico relativo ai posti di sostegno, diviso per ciascun grado di istruzione, inclusa la scuola dell’infanzia;
b) il GIT, in qualità di organo tecnico, sulla base del Piano per l’Inclusione, dei Profili di Funzionamento (quest’ultimo andando a sostituire, ricomprendendoli, la Diagnosi Funzionale e il Profilo Dinamico-Funzionale), dei PEI (Piani Educativi Individualizzati) e dei Progetti Individuali (ove esistenti), trasmessi dai singoli Dirigenti Scolastici, sentiti inoltre questi ultimi in relazione ad ogni alunno con disabilità certificata, verifichi la quantificazione delle risorse di sostegno didattico effettuata da ciascuna scuola e formuli una proposta all’Ufficio Scolastico Regionale;
c) l’Ufficio Scolastico Regionale assegni le risorse nell’ambito di quelle dell’organico dell’autonomia per i posti di sostegno.

In sintesi, come ripetutamente denunciato dagli esperti delle principali Associazioni di e per persone con disabilità, il GIT avrebbe attribuito le ore di sostegno alle singole scuole solo sulla base di una documentazione esclusivamente medica, rischiando di sanitarizzare il processo di inclusione degli alunni/studenti disabili ed escludendo di fatto da tale valutazione chi è invece loro più vicino: i docenti, la famiglia, l’équipe medica che segue l’allievo e l’ente locale.
Ora, sulla scorta di quanto dichiarato nelle scorse settimane dal ministro Bussetti e dal sottosegretario Giuliano, pare che la bozza di nuovo Decreto a cui sta lavorando il Ministero voglia al contrario andare proprio verso la direzione da noi auspicata di un maggiore e più fattivo coinvolgimento di tutti gli attori che meglio conoscono i bisogni educativi dell’alunno con disabilità e dell’intero contesto, conferendo il compito della determinazione delle ore di sostegno al GLHO (Gruppo di Lavoro Handicap Operativo) e limitando la funzione del GIT a quella di mero supporto tecnico alle scuole.
In tal modo, si affermerebbero finalmente gli avanzatissimi princìpi inclusivi enunciati dalla Legge 104/92 e dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, secondo i quali la disabilità è il risultato del rapporto tra le condizioni di salute della persona e il suo contesto, ricordano sempre che la scuola dev’essere il luogo in cui si garantisce alle alunne e agli alunni con disabilità il massimo livello di partecipazione attiva, dando soprattutto rilievo al contesto scolastico e territoriale.
Solo un “sostegno diffuso”, infatti, garantito agli studenti con disabilità dall’intero contesto e non esclsuivamente dal singolo docente specializzato, può rappresentare il vero cambio di passo di una “nuova” e più efficace politica di inclusione scolastica.
Se non sarà così, chi scrive è convinto che la preannunciata prossima “rottamazione” del Decreto 66/17 costituirà soltanto un’operazione di “maquillage”, magari con l’introduzione di semplici cambi formali di acronimi e nomi, che non serviranno affatto a migliorare lo stato del sostegno in Italia. È invece necessario e indifferibile che questi imminenti interventi correttivi del Ministero si trasformino e traducano una volta per tutte in reali buone prassi.

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