L’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) è l’unico «strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati» che possa essere utilizzato per scandire le condizioni e la proporzione di accesso alle prestazioni agevolate. Dal canto loro, i Comuni non possono «creare criteri avulsi all’ISEE con valenza derogatoria ovvero finanche sostitutiva».
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con una Sentenza prodotta il 13 novembre scorso (n. 6371), accogliendo il ricorso di due genitori che avevano agito in giudizio in qualità di amministratori di sostegno del figlio.
La vicenda – come viene spiegato dalla LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) – riguardava una persona con grave disabilità inserita presso il CDD (Centro Diurno per Disabili) di un Comune in provincia di Brescia. Nel 2016 l’Amministrazione Comunale aveva pubblicato una Delibera con cui stabilire le quote per la compartecipazione al costo dei servizi presso le strutture di accoglienza per le persone con disabilità. Nel testo del provvedimento si stabiliva – anche di fronte ad un ISEE dei beneficiari dei servizi pari a zero – una quota di compartecipazione a carico degli utenti pari al 30% del costo del servizio, per i percettori di pensione di invalidità e indennità di accompagnamento, e del 5% per i percettori della sola pensione di invalidità. Il responsabile dei Servizi Sociali di quel Comune aveva quindi definito una percentuale di contribuzione per la frequenza al servizio CDD pari a 2.661,30 euro annui.
Di fronte a tale situazione, i genitori della persona con disabilità – in qualità di amministratori di sostegno – avevano deciso di rivolgersi al TAR di Brescia (Tribunale Amministrativo Regionale) che però ne aveva respinto il ricorso nell’agosto 2017. Impegnata quella decisione di fronte al Consiglio di Stato, quest’ultimo, come detto, ha dato ragione ai ricorrenti e sanzionato il Comune.
«È di tutta evidenza – si scrive nella Sentenza – come si ponga in contrasto con la disciplina di riferimento […] l’opzione di una contribuzione fissa, totalmente svincolata dal parametro vincolante dell’indicatore ISEE». Inoltre, il comportamento dell’Amministrazione Comunale assegna «un improprio e discriminante rilievo alla percezione di emolumenti (pensione di invalidità) che avrebbero dovuto essere considerati normativamente “protetti” e, dunque, con valenza neutra tanto ai fini dell’ISEE che, in via consequenziale, nella definizione della capacità contributiva degli utenti».
«Nel caso di specie – concludono i Giudici del Consiglio di Stato -, e in mancanza di allegazioni ulteriori e integrativi criteri approvati da Regione Lombardia, l’ISEE resta, dunque, l’indefettibile strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati e deve scandire le condizioni e la proporzione di accesso alle prestazioni agevolate, non essendo consentita la pretesa del Comune di creare criteri avulsi all’ISEE con valenza derogatoria ovvero finanche sostitutiva [grassetto nostro, N.d.R.]».
«Questa Sentenza è molto importante – commenta Gaetano De Luca, legale del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della LEDHA – in quanto afferma come la compartecipazione di una persona con disabilità al costo di un servizio socio-sanitario di cui beneficia, vada determinata in funzione e in proporzione alla sua condizione economica. E in tal senso, il Consiglio di Stato ci ricorda come l’unico modo per calcolare tale condizione economica di un beneficiario di un servizio sia unicamente l’ISEE, senza la possibilità di utilizzare criteri ulteriori». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@ledha.it (Ilaria Sesana).
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