Accessibilità dei musei: investimenti minimi garantiscono grandi risultati

a cura di Antonio Giuseppe Malafarina*
«Il rapporto costi/benefici dei progetti di accessibilità museale realizzati negli ultimi anni è il migliore possibile: investimenti minimi garantiscono grandi risultati!»: a dirlo è Cristiana Collu, direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, struttura che già da tempo ha scelto di abbracciare la concezione del “per tutti” nelle proprie sale, anche tramite alcuni specifici progetti

Torniamo a parlare di accessibilità museale e stavolta lo facciamo dedicando attenzione al lavoro della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, che nel dicembre scorso ha proposto una serie di iniziative di sensibilizzazione sul tema, ma che già da tempo ha scelto di abbracciare la concezione del “per tutti” nelle proprie sale.
Ne abbiamo parlato con Cristiana Collu, che dirige la Galleria, e con Giovanna Cotroneo, museologa, e Miriam Mandosi, storica dell’arte, collaboratrici del Dipartimento dei Servizi Educativi.

Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma
Un interno della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma

Gentile direttrice, cosa significa per lei accessibilità museale e in che modo il tema si inserisce nella mission della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea?
«L’accessibilità è una questione che riguarda tutti noi. Riguarda tutte le istituzioni e non solo il museo. Nel museo, come altrove, è stata praticata e tradotta in modo intuitivo da chi prestava più attenzione alle esigenze del pubblico o sentiva come urgenti istanze condivise, percepiva un’aderenza al presente e ai processi di trasformazione in atto. La questione si risolve nel momento in cui, quando si parla di inclusione, nessuno si mette da qualche altra parte, ma non è facile dire noi e non aggiungere un aggettivo che non fa altro che contraddire il noi tutti, crea un ossimoro e su questo ossimoro è necessario costruire anzi ricucire ogni giorno il nostro al mondo. Nel museo si traduce con una serie di servizi che fanno dell’accessibilità una rivoluzione culturale che rimuove barriere di ogni tipo, non solo architettoniche, ma fisiche, sensoriali, cognitive e economiche. Si tratta di sensibilità, attenzione, ascolto e responsabilità. Nel campo delle disabilità questi aspetti sono evidentemente più eclatanti, esemplari, e segnano la qualità dell’impegno nel disegnare un modello che possa rappresentare la comunità nella sua complessa conformazione. L’accessibilità si serve delle nuove tecnologie, obbliga a tenersi aggiornati, invita ad approfondire e sperimentare, è una frontiera mobile che conquista nuovi spazi per assicurarli a tutti anche tramite progetti mirati».

Riferendosi ai progetti di accessibilità museale realizzati negli ultimi anni, vuole fare un bilancio sul rapporto costi/benefici?
«Il rapporto costi/benefici è il migliore possibile: investimenti minimi garantiscono grandi risultati!».

Dottoresse Cotroneo e Mandosi, quali competenze deve avere un professionista museale che si occupa di accessibilità?
«Innanzitutto deve avere una formazione specialistica nelle discipline attinenti il patrimonio culturale da coniugare con un percorso di studi nel campo della museologia. Poi molto si acquisisce nella pratica e altro dalle scienze umane. Crediamo che il valore aggiunto stia nelle competenze relazionali unite alle doti umane: sapere ascoltare, mediare, essere flessibili, sapersi mettere in gioco, essere empatici».

Qual è il vostro ruolo alla Galleria?
«Collaboriamo con il Dipartimento dei Servizi Educativi, diretto da Emanuela Garrone, occupandoci dei progetti dedicati all’accessibilità museale. Supportiamo le attività educative che la Galleria porta avanti da tempo e sviluppiamo nuovi progetti mirati a raggiungere il cosiddetto non pubblico, ovvero il pubblico potenziale».

Come state lavorando per migliorare l’accoglienza per tutti?
«Abbiamo individuato alcune fasce di pubblico escluse dalla vita del museo, quali le persone con disabilità intellettiva, le persone sorde, le famiglie con bambini molto piccoli, le donne in gravidanza e tante altre. Abbiamo coinvolto da subito le organizzazioni e gli stessi destinatari e dialogato con professionisti diversi per allargare lo sguardo e costruire soluzioni su misura. E per ogni azione progettuale abbiamo sempre valutato la fattibilità e la sostenibilità nel tempo e previsto momenti di formazione per il personale del museo».

Con quali riscontri?
«La progettazione partecipata è stata una scelta vincente. Progetti come Museo per tutti [lanciato nel 2015 dall’Associazione milanese L’abilità, in collaborazione con la Fondazione De Agostini, come riferito ampiamente a suo tempo su queste pagine, N.d.R.] e La Galleria Nazionale per le persone sorde hanno permesso al museo di mettersi in gioco, di fare rete con gli attori presenti sul territorio e di creare nuovi strumenti e servizi, che hanno allargato il nostro bacino di utenza».

Quali programmi per il futuro?
«Nel breve e medio periodo porteremo avanti i progetti in corso, monitorando l’andamento delle attività per migliorarle. Poi presenteremo nuovi progetti ora in fase di sperimentazione, alcuni dei quali prevedono forme di collaborazione con altri musei del territorio, enti e associazioni».

La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma ci lascia dunque molte lezioni sull’inclusione, fra cui il coinvolgere gli utenti dalla fase progettuale, come deve essere fatto. Ed è ottimo aver dato spazio alle scienze umane. Perché antropologia, pedagogia, psicologia e sociologia sono scienze dell’uomo, fra i cui diritti c’è quello dell’abitare. Anche i musei.

Il presente testo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “La Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea e l’abitare i musei”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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