Prima di tutto i numeri, che parlano da sé: 7.000 atleti da 170 Paesi del mondo, 2.500 tecnici, 20.000 volontari, 24 discipline sportive (calcio, badminton, pallacanestro, beach volley, bocce, pallamano, ping pong, tennis, pallavolo, atletica, ciclismo, kayak, nuoto in acque libere, pattinaggio a rotelle, vela, nuoto, triathlon, equitazione, judo, ginnastica artistica e ritmica, bowling, golf e powerlifting), 6.000 famiglie di atleti, 500.000 spettatori attesi. Sono queste cifre a caratterizzare quello che a buona ragione sarà il più grande evento umanitario e sportivo del mondo del 2019.
Stiamo parlando dei Giochi Mondiali Estivi di Abu Dhabi di Special Olympics, il movimento internazionale dello sport praticato da persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, che si svolgeranno dal 14 al 21 marzo.
Ma i numeri non bastano, perché anche le parole hanno il loro peso, come quelle pronunciate dalla giovane ginnasta Veronica Paccagnella, durante la presentazione al CONI della delegazione italiana in partenza per il Medio Oriente, composta da 157 persone, di cui 115 atleti con e senza disabilità intellettiva.
«Ho 17 anni – ha detto Veronica – e da piccola dicevo di essere “ammalata” di sindrome di Down, ma la mamma, poi, mi ha spiegato che non è una malattia, ma una condizione genetica. Crescendo ho capito che faccio un po’ più fatica degli altri, ma posso raggiungere grandi risultati e lo sport è stato un grande aiuto. Ho iniziato da piccola con il nuoto e l’atletica leggera: poi per caso sono entrata in una palestra ed è cominciata una grande avventura: sono diventata un’atleta Special Olympics! Vincere l’oro ai Mondiali sarebbe bellissimo, ma la vittoria più grande è essere qui oggi a parlare a nome di tutti gli atleti Special Olympics italiani per dire che bisogna credere nei propri sogni! Io il mio lo sto realizzando e sono felice ed orgogliosa di rappresentare il mio paese in un evento internazionale come i Mondiali di Abu Dhabi. Grazie».
E poi le parole di Sara Capone, “atleta partner”, ovvero senza disabilità intellettiva, a dare piena visibilità a uno dei cavalli di battaglia di Special Olympics, in questi ultimi anni, quale lo “sport unificato”, mescolando insieme le prestazioni di persone con e senza disabilità.
«Giocare con loro – ha detto Sara – ha trasformato il mio punto di vista sullo sport. Ho imparato che i limiti appartengono ad ognuno di noi e che spesso a fare più paura sono quelli culturali e sociali che finiscono per appiattirci. Special Olympics è un’opportunità per capire che l’inclusione delle persone con disabilità intellettive dipende solo da una società che non emargina, da tante persone che vogliono vedere oltre la diversità apparente, scoprendo che nell’aprirsi ci si arricchisce. Questo è lo sport unificato di Special Olympics di cui io mi sento orgogliosamente parte. Ho sempre giocato a pallacanestro, sin da bambina e non avrei mai pensato di poter partecipare ad un evento mondiale; ringrazio quindi Special Olympics e i miei compagni di squadra per questa meravigliosa esperienza».
Oppure le parole dei rappresentanti istituzionali dello sport, da Giovanni Malagò, presidente del CONI («È impressionante vedere come siete cresciuti; agli albori questo progetto sembrava una scommessa e invece questa grande famiglia ha avuto lungimiranza. Special Olympics è sempre stata posizionata a metà e noi siamo fieri, orgogliosi da sempre di avervi con noi nella grande famiglia del CONI e del Comitato Paralimpico») a Luca Pancalli, presidente del CIP (Comitato Italiano Paralimpico) («Oggi vestite la maglia azzurra nella casa dello sport italiano e onorerete il nostro Paese. Conosco Special Olympics da quando avevo 17 anni e ciò che riconosco e apprezzo maggiormente è la sua capacità di coinvolgimento e di penetrazione nel tessuto sociale. Quello che farete durante i Mondiali e gli altri 365 giorni dell’anno, non è soltanto vincere, ma partecipare al cambiamento di questo Paese. Dobbiamo imparare ad esercitare i diritti di cittadino e voi rappresentate la rivoluzione culturale») e ancora ad Angelo Moratti, presidente di Special Olympics Italia («Special Olympics nasce nel 1968, più di 50 anni fa a Chicago, è stato il grande sogno di Eunice Kennedy Shriver, quello cioè di formare un movimento che potesse portare avanti un messaggio di speranza, di ottimismo e di integrazione attraverso il linguaggio comune dello sport. Ad oggi Special Olympics conta più di 5 milioni di atleti in oltre 170 Paesi. Siamo il più grande movimento sportivo del mondo. Io vorrei ringraziare di cuore tutti gli atleti, tutti voi ragazzi perché col vostro coraggio e la vostra determinazione, il vostro impegno avete permesso tutto questo»).
Senza dimenticare, naturalmente, il classico giuramento dell’atleta Special Olypmics, pronunciato dal nuotatore Gabriele Di Bello: «Che io possa vincere, ma se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze».
Ma ora, dopo gli incontri al Senato, alla Camera e a Palazzo Chigi, con i principali rappresentanti istituzionali del nostro Paese e dopo il viaggio per Adu Dhabi, è tempo di lasciar parlare i campi da gioco, le palestre, le piscine, gli specchi d’acqua, perché già da oggi, 12 marzo, hanno preso il via le competizioni preliminari.
Giovedì 14, invece, è in programma la grande cerimonia di apertura, durante la quale Timothy Shriver, presidente di Special Olympics International, riprenderà i concetti espressi in queste settimane, ossia il fatto che «non esista posto migliore di Abu Dhabi per invitare il mondo ad unirsi e celebrare lo sport, celebrare le persone di tutte le culture e per dimostrare al mondo che le barriere culturali possono essere cancellate. Siamo entusiasti che siano i primi Giochi Mondiali di Special Olympics organizzati nell’area mediorientale del mondo».
E allora: Buoni Giochi a tutti e in bocca al lupo agli Azzurri! (Stefano Borgato)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: stampa@specialolympics.it (Giampiero Casale).
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