Testamento biologico: meglio nessuna legge che una cattiva legge!

di Giorgio Genta
Infatti, non può essere che questa la conclusione, quando sembra che su temi così delicati prendano il sopravvento motivazioni ideologiche e confessionali. In realtà bisognerebbe considerare almeno due fatti: da una parte il rischio che, di questi tempi, la vita delle persone con disabilità gravissima possa essere considerata "troppo costosa", dall'altra, però, anche il fatto che a tali persone non possa essere erogata una "condanna a vivere" obbligatoriamente e senza gli adeguati supporti esistenziali necessari a dar senso alla vita stessa

Auguste Rodin, Le penseurDopo alcuni mesi di quiete apparente, impetuoso torna a soffiare il vento della politica sul procelloso mare del testamento biologico.
Con il massimo rispetto di tutte le opinioni in materia – opinioni delle persone interessate e non dei politici – il problema non parrebbe irrisolvibile: basterebbe prendere atto di quanto cita la Carta Costituzionale e adeguarvisi, senza cercare scappatoie lessicali.
Resterebbe irrisolto il nodo di chi non è in grado di autorappresentarsi, caso, questo, che andrebbe particolarmente tutelato, anche se tale tutela dovrebbe prescindere da impostazioni ideologiche.

Riteniamo che per le persone con disabilità gravissima possa presentarsi, soprattutto di questi tempi, il rischio che la loro esistenza venga considerata “troppo costosa” e che tale rischio possa generare uno stimolo verso una “volontà di morire” in realtà inespressa.
Ma riteniamo altresì che alla persona con disabilità gravissima non possa essere erogata una “condanna a vivere” obbligatoriamente e senza gli adeguati supporti esistenziali necessari a dar senso alla vita.
Il problema non è di considerare un’esistenza in stato vegetativo persistente o in stato di minima coscienza come priva di significato, ma quello di non trasformarla in qualcosa di simile, facendo mancare alla famiglia (o a chi in altri rari casi se ne prende cura) la possibilità di valorizzarla al massimo.
Un punto che resta obiettivamente difficile è quello relativo all’idratazione e alla nutrizione, considerate indipendentemente dalle modalità e dalle vie di somministrazione. Tali operazioni indispensabili al mantenimento in vita parrebbe siano state trasformate da “atto medico” ad “atto di cura primaria”, per diventare poi “pratiche di supporto vitale” e dietro la specificità della denominazione, si nasconde l’insidia della possibilità o meno di sospenderle lecitamente.
E perché poi non considerare in questi termini anche la respirazione assistita?

L’impressione complessiva è che motivazioni ideologiche e confessionali prendano il sopravvento e che questo tema delicato si riveli utile per ristabilire incrinati equilibri. In questo caso, come sostiene l’ex ministro Veronesi, è assai meglio nessuna legge che una cattiva legge in materia.

Sui temi trattati nel presente testo, si legga anche – sempre nel nostro sito – il recente articolo intitolato Libertà di scelta: una riflessione (di Costanzo Inglesi, cliccare qui).
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