Una persona con disabilità motoria, socio del Comitato Lombardo per la Vita Indipendente, è ricorso in giudizio, lo scorso anno, nei confronti del Comune di Goito, in provincia di Mantova, dichiarando di «essere stato impossibilitato a far visita alla tomba del padre, nel cimitero della città, trovandosi la stessa in una posizione rialzata rispetto al piano terra, tanto che per raggiungerla occorre superare otto scalini (nella parte laterale) o cinque scalini (nella parte centrale)».
Secondo quanto denunciato dalla persona, circa dieci anni fa il Comune di Goito, per eliminare quella barriera architettonica, aveva installato una piattaforma elevatrice in grado di consentire alle persone con disabilità motoria di accedere ai piani rialzati. Tale piattaforma, tuttavia si era guastata a distanza di pochi mesi dall’installazione e il Comune era rimasto inerte fino al 2018 – ovvero per una decina d’anni – , quando a seguito di una seconda diffida scritta, proveniente dalla medesima persona con disabilità, aveva attivato la procedura per l’installazione di una nuova piattaforma.
Da qui, dunque, il deposito del ricorso, con richiesta di risarcimento per danno non patrimoniale, rispetto al quale si è pronunciata nei giorni scorsi la Prima Sezione Civile del Tribunale di Mantova, producendo un’Ordinanza (disponibile integralmente a questo link), ove si scrive che «tale comportamento della Pubblica Amministrazione integra una ipotesi di discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 2, comma 3 della Legge 67/06, secondo il quale “si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”».
E poco oltre: «Sulla domanda risarcitoria relativa alla condotta discriminatoria per il periodo precedente all’installazione del nuovo elevatore, l’esistenza di barriere architettoniche, tali da impedire al disabile di far visita alla tomba del padre, configura una discriminazione indiretta a danno dei disabili, mettendoli di fatto e nei risultati in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone, per cui va riconosciuto in favore del ricorrente il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale patito, quale risultante dall’oggettiva violazione di diritti fondamentali della persona, ed in particolare al diritto della libertà di circolazione [grassetti nostri nelle citazioni, N.d.R.]».
Ebbene, la cifra riconosciuta dal Tribunale quale risarcimento (1.500 euro) è decisamente inferiore a quanto richiesto, e tuttavia, come sottolinea Filiberto Crisci del Comitato Lombardo per la Vita indipendente, «il provvedimento è importante per il riconoscimento del diritto, collegato alla Legge 67/06, che tutela ogni forma di discriminazione, diretta o indiretta che sia, delle persone con disabilità». Una Legge, aggiungiamo, di sicura efficacia, anche se purtroppo ancora troppo poco applicata dai Tribunali italiani, come evidenziato lo scorso anno in una ricerca condotta dalla LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), di cui avevamo riferito sul nostro giornale. (S.B.)
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