Mentre nelle orecchie dei partecipanti risuona ancoro lo scrosciare degli applausi – ben meritati! – indirizzati alla Relazione del presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) Pietro Barbieri, presentata al Congresso Nazionale della stessa FISH a Cagliari [di ciò si può leggere nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.], chi è “rimasto a casa” impegnato nel “lavoro di cura” – più volte citato nella relazione – esamina e rilegge attentamente i documenti congressuali e cerca di portare il suo tardivo contributo, ormai certo inutile ai fini ufficiali e immediati, ma pur sempre espressione della nostra molteplicità del sentire e di quelle esigenze che fatalmente restano inespresse in un grande convegno.
Applaudo anch’io alla relazione di Borbieri e alla Mozione Generale approvata a Cagliari, documenti che appoggio e condivido quasi totalmente. Vorrei tuttavia sottolineare un punto di essi che a mio avviso resta inespresso o poco evidenziato: quello dei giovani con disabilità gravissima e dei loro genitori.
Nella libertà di pensiero che ha sempre caratterizzato l’esperienza-FISH, non sono d’accordo nel ritenere che sia necessario posporre le pressanti e inderogabili esigenze delle famiglie con disabilità gravissima (non solo dei genitori, anche se – è vero – principalmente di essi) all’assalto risolutorio alla carenza dei servizi, alla qualificazione del lavoro di cura familiare come progetto assistenziale, riabilitativo ed educativo e, naturalmente, al riconoscimento e alla valutazione del carico sulle donne madri di figli con disabilità.
Perché? Perché tale assalto – risolutore ai fini della “guerra” nei confronti dello Stato e della Società indifferente – non si realizza, come tutte le grandi operazioni militari, in poco tempo: necessita di seria pianificazione, piani di attuazione, piani secondari di correzione dell’azione “militare”, graduati sulle risposte del (si fa per dire) “nemico”.
Questi “piani” esistono nella strategia della FISH. O, se non esistono compiutamente, sono in fase di studio e di realizzazione. E tuttavia, in attesa degli effetti che essi produrranno nel tempo, le nostre famiglie con disabilità muoiono. Almeno alcune di esse. Le più logorate, le più pressate dalle mille esigenze quotidiane, le più deboli.
Forse si può alzare maggiormente la voce nei confronti di chi deve pensare e attuare le politiche familiari. Verso chi, con belle parole, si è sempre detto portavoce dei valori della famiglia, della famiglia “debole”, della famiglia che soffre e che regge ogni peso. E poi, puntualmente, nell’azione politica concreta, di questi bei discorsi ci si dimentica o li si sfuma tanto da renderli operativamente inefficaci.
Perché “se non ora quando” verremo sollevati dall’ormai insopportabile peso che ci opprime? E il peso, sia chiaro, non sono certo i nostri figli con disabilità, ma la cinica indifferenza nei confronti della nostra sopravvivenza fisica, esistenziale e sociale.
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