Il libro L’identità invisibile. Essere autistico, essere adulto di Gianfranco Vitale (Roma, Magi, 2019) racconta con la giusta enfasi e passione umana di padre alcuni episodi significativi della sua vita con il proprio figlio.
Come tutte le narrazioni che riguardano i propri figli autistici, anche questa è permeata dalla drammaticità, dalle inenarrabili sfibranti fatiche, dalle immense difficoltà e soprattutto dalla profondissima solitudine, tutti fattori, questi, che sono costanti e senza fine. Perché mentre per il padre e la madre che hanno un figlio “neurotipico” tutto ciò è destinato a finire con il giungere dell’età adulta, invece i tanti Gianfranco scoprono ben presto che tutto ciò è senza fine, con un futuro a dir poco incerto e nebuloso. E vivono la loro vita in una sorta di equilibrio instabile su una corda tesa sopra un precipizio.
Credo non sia più necessario spendere ulteriori parole per spiegare al mondo dei cosiddetti “neurotipici” che la realtà esistenziale dell’autismo è difficile e che i genitori, soprattutto quando sono soli, si trovano ad affrontare condizioni e situazioni che qualsiasi essere umano avrebbe difficoltà a gestire. Invece devono essere spese ancora molte parole, purtroppo, per sottolineare che compito degli operatori dovrebbe essere quello di supportare e consigliare per alleggerire i problemi, non di aumentare le difficoltà con soluzioni di difficilissima comprensione e astruse nella concretezza dell’efficacia. Ma questo spesso non accade, anzi accade l’esatto contrario.
Conosco Vitale da tempo e so quanto impegno ha prodotto nei confronti del proprio figlio, conosco le sue cadute e le sue “resurrezioni”. Quello che si può dire di lui è che non ha mai perso la speranza né ha mai smesso di lottare, per raggiungere una qualità di vita migliore per sé, per il proprio figlio e, in fin dei conti, anche per i figli degli altri.
È facile talvolta giudicare i genitori dall’esterno, collocandosi e arroccandosi nelle alture di un’altezzosa conoscenza, più o meno ammantata di scienza, ma provate voi a vivere con accanto un figlio autistico, ad analizzare i suoi comportamenti e capire cosa fare e come farlo, senza entrare in crisi, senza avere momenti di sconforto e disperazione.
Nel racconto, il papà ne esce come una figura tragicamente eroica, piena di dubbi e di domande senza risposta… una persona nei cui confronti non si può non provare un profondo sentimento di empatia e di pietas latina.
Noi cosiddetti specialisti dovremmo leggere con più attenzione questi racconti più dei testi che raccontano di autismo, libri spesso scritti da qualcuno che ha conosciuto questo disturbo solo leggendo libri scritti da qualcun altro, senza però “sporcarsi” le mani con le vite vissute.
Bisogna, quindi, imparare a stare accanto ai genitori senza se e senza ma, accogliendoli e non giudicandoli, ma soprattutto ascoltandoli, perché si impara sempre dai loro racconti!
Direttore dei Servizi Innovativi per l’Autismo della Fondazione Istituto Sacra Famiglia.
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