Premiata nell’anno accademico 2017-2018 come “miglior tesi di laurea sul tema della disabilità”, la ricerca di Enrichetta Alimena si chiama Il movimento delle persone con disabilità motorie negli anni ’70 e in questi giorni, in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, ha costituito anche lo spunto per un documentario in tre puntate, intitolato Tutto normale, un altro sguardo sulla disabilità, trasmesso dal programma Tre Soldi di RAI Radiotre (2, il 4 e il 5 dicembre).
Basato su una ricca bibliografia e sulla consultazione di numerose fonti istituzionali (Atti Parlamentari), oppure appartenenti agli organi di informazione (stampa) o alla cosiddetta “letteratura grigia” (materiale prodotto da Associazioni o altre organizzazioni), è un lavoro decisamente degno di nota, che si è posto sostanzialmente l’obiettivo di comprendere come e quando le persone con disabilità siano diventate cittadini attivi nel proprio contesto sociale e che individua il suo profondo significato nelle parole dell’Autrice, quando sottolinea che «solo da una forte conoscenza e coscienza storica può nascere una robusta coscienza sociale, che è l’unico elemento capace di portare ad una reale inclusione delle persone con disabilità».
Per darne un’idea ai Lettori, ben volentieri ne proponiamo un’ampia sintesi, curata dalla stessa Alimena.
In questo mio lavoro ho analizzato storicamente in quale modo emerga in Italia il gruppo sociale delle persone con disabilità. In particolare mi sono occupata del processo di integrazione delle persone con disabilità motorie e mi sono chiesta grazie a quali forze, e secondo quali direttrici, tale gruppo viene riconosciuto titolare di diritti. È stata esaminata in particolare l’evoluzione del rapporto tra le Istituzioni Pubbliche e le Associazioni che si occupano di questo tema.
Voglio precisare di avere adoperato la definizione di “persona con disabilità”, senza ulteriori specificazioni, poiché, se è vero che la difficoltà motoria, per la categoria da noi presa in considerazione, è quella più evidente, spesso ci si trova di fronte a problematiche anche di altro tipo.
Nella maggior parte dei casi ho utilizzato il termine “persona con disabilità”, che è quella oggi riconosciuta a livello internazionale, evitando quelli di “persona disabile” o “diversamente abile”. Ho parlato invece di integrazione, definizione usata nel periodo storico analizzato, perché dà un’idea più chiara di quella che era all’epoca la visione comune sul tema.
L’analisi ha riguardato il periodo tra il 1968 e il 1977. La scelta, quindi, è caduta su un momento storico particolare, nel quale stavano emergendo nuovi gruppi sociali alla ricerca di una loro identità: studenti, donne, operai; perciò ho voluto vedere se e come le lotte delle persone con disabilità si inserissero in questo contesto.
Da notare come proprio nel 1968 ci sia stata l’approvazione, in Italia, della prima legge organica sul collocamento obbligatorio [Legge 482/68, N.d.R.] e, a livello internazionale, vi sia stata la creazione del simbolo che indica l’accessibilità.
Ho seguito il mio percorso avendo come punti fermi le leggi più significative di quel periodo, quella già citata sul collocamento obbligatorio (1968), quella sull’invalidità civile del 1971 [Legge 118/71, N.d.R.], e quella del 1977 sull’integrazione scolastica [Legge 517/77, N.d.R.], analizzandone il dibattito parlamentare. Ho poi esaminato la stampa coeva all’emanazione di tali leggi, per vedere quali ricadute queste norme abbiano avuto sull’opinione pubblica.
Ho quindi fatto lo spoglio delle fonti associative prodotte per quel periodo dall’ANMIC (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili) e dall’AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici). La scelta si è fermata su questi due enti specifici per motivi precisi. L’ANMIC, infatti, è l’Associazione giuridicamente chiamata a rappresentare la categoria degli invalidi civili; perciò analizzarne i documenti vuol dire vedere come i diritti di questa categoria siano stati presentati alle Istituzioni. Grazie invece ai documenti dell’AIAS, che è un’Associazione privata, si sono potuti esaminare i principali temi di dibattito di fronte all’opinione pubblica.
Naturalmente, entrambe le Associazioni hanno lavorato su tutti e due gli aspetti, ma penso sia importante tenere presente la diversa natura giuridica delle due realtà, perché questo ci aiuta a chiarire le dinamiche e le relazioni tra queste e le Istituzioni.
Da segnalare che l’uso minoritario dei documenti ANMIC è dipeso dalla presenza di fonti solo per gli anni 1968-69 e 1976-77.
Ricordo che, se inizialmente avevo ipotizzato di analizzare anche il periodo che va dal 1978 al 1981, primo Anno Internazionale della Disabilità, ho deciso in un secondo momento di restringere la ricerca a un arco di tempo più breve, per arrivare a un’analisi più puntuale.
Le fonti si soffermano in prevalenza su quel che è successo a Roma, poiché è qui che si rende più visibile il rapporto con le Istituzioni.
Mi è sembrato doveroso, inoltre, dedicare qualche pagina alla ricerca dei riferimenti costituzionali sul tema della disabilità, poiché la Costituzione è il testo fondamentale per la rivendicazione dei diritti di ogni cittadino italiano e ha influenzato la stesura delle leggi successive.
Qualche accenno, infine, al capitolo di apertura di questo lavoro, dedicato al filone dei cosiddetti Disability Studies. Questa scelta nasce dalla partecipazione a un convegno del maggio 2016, su invito del gruppo di studio dei Disability Studies Italy, formatosi all’inizio degli Anni Duemila, e dalla lettura di diversi testi sull’argomento che ne è seguita. Così mi sono resa conto di come le persone con disabilità motoria nei Paesi anglosassoni fossero riuscite, proprio a partire dagli Anni Settanta, a far cambiare la visione della disabilità, trasformandola da tragedia personale a condizione sociale.
Bisogna precisare che l’analisi dei Disability Studies mi ha dato la possibilità di fare delle considerazioni generali sulla percezione della disabilità. A quel punto, infatti, mi sono chiesta come in Italia fosse avvenuto il processo di affermazione dei diritti delle persone con disabilità motoria, e se si potessero trovare dei punti di contatto con quanto era accaduto nei Paesi anglosassoni. Mi sono chiesta soprattutto perché non si sia formato in Italia un filone di studi così ricco.
Fondamentale, invece, nel tracciare il percorso di ricerca riguardo al nostro Paese, è stato l’incontro con Giampiero Griffo, allora presidente della Lega Nazionale per il Diritto al Lavoro degli Handicappati [oggi coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione di Vita delle Persone con Disabilità, N.d.R.], e componente del Comitato redattore della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Grazie alla sua esperienza personale come membro del movimento per i diritti delle persone con disabilità, ho potuto avere un’idea più compiuta del lavoro che mi aspettava, e delle difficoltà che avrei incontrato. Ho potuto, dopo quell’incontro, avere più chiari i limiti cronologici della mia ricerca e le possibilità di reperimento delle fonti.
Mi sono messa quindi alla ricerca delle Associazioni che potessero essere più congeniali al mio lavoro, incontrando diverse realtà, come FIABA (Fondo Italiano Abbattimento Barriere Architettoniche), Associazione nata nel 2000, molto vicina al pensiero dei Disability Studies, che mi ha offerto molti spunti interessanti e contatti per la conoscenza di altre realtà affini.
La mia attenzione si è poi soffermata sulle due già citate Associazioni ANMIC e AIAS, per i motivi prima illustrati, ma è stato importante l’incontro di diverse altre realtà come l’Istituto Vaccari di Roma, che mi ha messo a disposizione, in particolare, alcuni lavori inerenti la legislazione delle persone con disabilità.
Anche le ricerche presso l’ISTISSS (Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali) sono state importanti, soprattutto per il reperimento di uno dei pochi studi ben documentati, a livello statistico, sul movimento delle persone con disabilità, intitolato L’associazionismo tra gli invalidi.
In chiusura non posso certo nascondere quanto l’interesse per questa ricerca sia stato influenzato dalla mia esperienza personale di persona con disabilità prevalentemente motoria, e dalla partecipazione a diversi progetti sul tema, sia attraverso scambi internazionali, sia tramite iniziative legate a contesti locali.
Faccio parte inoltre di realtà associative come la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), dove partecipo alla realizzazione di trasmissioni radiofoniche sui problemi della disabilità. Questo ha acuito la mia attenzione verso gli atteggiamenti dell’opinione pubblica, che hanno una parte importante in questo lavoro.
In definitiva quello che ho cercato di fare in questa tesi è capire come le persone con disabilità siano diventate cittadini attivi nel proprio contesto sociale.
Disability Studies: il Modello Sociale inglese
Dall’inizio degli Anni Settanta, nei Paesi anglosassoni e del Nord Europa, si sviluppa un filone di studi che analizza in modo specifico la disabilità come fenomeno sociale.
«Le riflessioni proposte dai Disability Studies rappresentano un’area di carattere interdisciplinare molto vasta e articolata che, a livello internazionale, coinvolge diversi settori di studio e di ricerca accademici e non accademici, come, ad esempio, i movimenti per la vita indipendente e le associazioni» (Disability Studies. Emancipazione, inclusione scolastica e sociale, cittadinanza, a cura di Roberto Medeghini e altri, Trento, Erickson, 2013, pagina 8).
Il più importante filone di questi studi portati avanti proprio da persone con disabilità è il Modello Sociale. Il fondatore è Paul Hunt che scrive l’opera A Critical Condition, ove trasforma la disabilità da tragedia personale a condizione sociale oppressiva. Sono quindi le strutture sociali a rendere la persona disabile.
Lo stesso Paul Hunt e Vic Finkelstein fondano nel 1972 l’UPIAS (Union of the Phisically Impaired Against Segregation), organizzazione che nel 1976 pubblica il testo Fundamental Principles of Disability, ove individua tre princìpi:
1. Visione globale della disabilità nei suoi vari aspetti: servizi, reddito e mobilità.
2. Reddito come strumento di partecipazione sociale.
3. Gli Istituti: luoghi aperti, volti alla socializzazione.
UPIAS puntava in sostanza a far diventare le persone con disabilità motoria attive nel contesto sociale e nella costruzione del loro percorso di vita, senza tuttavia riuscire a creare un movimento che coinvolgesse persone con altri tipi di disabilità
Altra figura fondamentale del Modello Sociale è Michael Oliver che scrive Theory of Disablement.
Qui si individuano il capitalismo e l’industrializzazione come cause principali dell’esclusione delle persone con disabilità dal contesto sociale.
Il principale studioso che oggi critica il Modello Sociale è Tom Shakespeare il quale dichiara l’impossibilità di escludere l’aspetto biologico dalla condizione di disabilità, per farla dipendere solo dalle situazioni sociali. Secondo Shakespare, il rifiuto totale degli aspetti medici è pericoloso, perché fa ritenere inutile qualsiasi cura o percorso riabilitativo; inoltre, a parere dello studioso, non bisogna vedere il sistema sociale solo come un “nemico”, poiché esso aiuta spesso l’integrazione delle persone con disabilità con servizi adeguati.
Dal Modello Sociale dipende il Movimento per la Vita Indipendente, che punta a far vivere le persone con disabilità in autonomia, con il supporto di un assistente, movimento diffusosi dalla Svezia in tutta Europa, arrivando in Italia negli Anni Ottanta.
Le novità del Modello Sociale inglese sono state riportate nell’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, redatta nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Qui abbiamo da una parte le categorie di disabilità e funzionamento, dall’altra i fattori personali, contestuali e ambientali. Ai vecchi termini handicap e menomazione si sostituiscono quelli di attività e partecipazione.
In ultima analisi l’ICF certifica che quel che importa non è il “difetto fisico”, ma le capacità acquisite e il grado di autonomia personale.
Anche il mondo della scuola viene investito dalla rivoluzione dei Disability Studies: qui si punta non più all’integrazione ma all’inclusione, cioè «ad un cambiamento profondo dei sistemi educativi che tengano conto delle diverse esigenze di ogni ragazzo» [a tal proposito si vedano i lavori di Simona D’Alessio, componente del Gruppo Disability Studies Italy, ad esempio a questo link, N.d.R.].
Le esperienze internazionali hanno dato linfa al movimento italiano delle persone con disabilità. Ricordiamo a questo proposito le parole di un medico consultato da Teresa Serra alla fine degli Anni Sessanta: «Torni a Roma e cerchi di fare quello che hanno fatto genitori inglesi e di altri Paesi. Ricordi, comunque che se non fosse stato per i genitori, noi medici avremmo continuato a ritenere gli spastici degli irrecuperabili» (AIAS, I sessant’anni dell’AIAS, Storia, persone, memoria e futuro, dell’Associazione italiana assistenza Spastici 1954-2004, Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubettino, 2014, p. 29).
Teresa Serra nel 1954 fonda l’AIAS, Associazione voluta da genitori di bambini con disabilità che tanto farà per la loro integrazione scolastica e sociale.
1968: l’inizio di una rivoluzione culturale
Il 2 aprile1968 viene approvata la prima legge organica sul collocamento obbligatorio delle persone con disabilità (Legge 482/68).
Dalla rivista dell’ANMIC «Tempi Nuovi» abbiamo testimonianza delle manifestazioni di piazza degli iscritti all’Associazione nei mesi precedenti.
Al Titolo I della norma sono elencate le categorie interessate: «I soggetti interessati sono: gli invalidi di guerra militari e civili, invalidi per servizio, invalidi del lavoro, invalidi civili, ciechi, i sordomuti, orfani e vedove dei caduti in guerra o per servizio o sul lavoro, ex tubercolotici e profughi».
All’articolo 11 vi sono le mansioni riservate a tali categorie: «Portieri, custodi, ascensoristi, guardiani di parcheggi per vetture e magazzini e addetti alle biglietteria in locali di pubblico spettacolo».
Con l’articolo 16, quindi, sono costituite le Commissioni Provinciali per il Collocamento Obbligatorio di cui fa parte anche un rappresentante delle Associazioni di categoria.
Dopo l’approvazione di questa Legge, però, la lotta non si ferma, e tra il ’69 e il ’70 l’AIAS porta avanti una serie di manifestazioni per chiedere l’aumento delle rette dei Centri e per l’approvazione di altri provvedimenti, come l’aumento del personale nelle scuole speciali.
1971: invalidità civile
Nel marzo del 1971 viene approvata la legge sull’invalidità civile (Legge 118/71), che dà nuovi diritti a questa categoria sociale. Va tenuto presente che tale norma recepisce molte delle richieste contenute nella Proposta di Legge presentata dall’AIAS nel 1970. Vediamone i punti principali.
All’articolo 3 si parla per la prima volta dei princìpi di prevenzione, diagnosi e della riabilitazione; in qualunque caso si rifiuta il principio, prima vigente, dell’irrecuperabilità.
Ricordiamo poi l’articolo 27 che prevede l’eliminazione delle barriere architettoniche nei luoghi pubblici e agevolazioni nel trasporto pubblico per le persone con disabilità.
Gli articoli 28, 29 e 30 riguardano provvedimenti particolarmente importanti per la frequenza scolastica, per i trasporti gratuiti, per il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche, per l’assistenza durante l’orario scolastico, per l’organizzazione scolastica nei centri di recupero, per l’esenzione dalle tasse scolastiche e universitarie.
1972-1973: la lotta continua
Insieme agli interventi legislativi, in questi anni vi sono diverse sperimentazioni sul fronte dell’integrazione sociale; ad esempio nel 1972 viene organizzata dall’AIAS una vacanza di persone con disabilità in spiagge comuni ad Esino Lario (Lecco). Tale esperienza è considerata un esperimento ben riuscito, soprattutto se paragonato a quello in Versilia dell’anno precedente, dove si era dovuto assistere a un vero e proprio “scontro” con gli altri villeggianti.
Nel 1972 ci sono anche le prime esperienze di integrazione scolastica di persone con disabilità motoria, come quella organizzata dall’AIAS di Cosenza nella scuola di Via Negroni. L’esperienza viene nel complesso considerata positiva, anche se sono presenti alcune criticità. Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione di insegnanti e personale specializzato. Iniziative simili verranno ripetute negli anni successivi anche in altre città.
Nel 1972 vi è poi un’importante manifestazione a Roma cui partecipano persone con disabilità, che dopo essersi riunite in Piazza Santissimi Apostoli, sfilano per le strade del centro, ritrovandosi poi al Cinema Galleria.
Nello stesso anno vi è anche una grande campagna stampa che pone al centro il tema dell’assistenza alle persone con disabilità e la crisi dei Centri AIAS che rischiavano di chiudere per mancanza di fondi.
L’AIAS chiede dunque che ad occuparsi dell’assistenza delle persone con disabilità sia lo Stato, ma ciò accadrà solo in seguito con l’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale.
1974-1975: tra discriminazioni e nuove strade
Si inizia con una panoramica sul mondo associativo italiano per le persone con disabilità grazie al volume L’associazionismo tra gli invalidi pubblicato dall’ISTISSS (Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali) nel 1974.
Esaminando i documenti prodotti dall’AIAS, tra le iniziative di quell’anno vi sono quelle per la partecipazione dei giovani con disabilità agli scambi internazionali; su tale argomento, infatti, vengono organizzati vari convegni e si crea una rete internazionale per realizzare questo obiettivo, alla quale partecipano gli stessi giovani con disabilità.
Il 1975 è un anno fondamentale per la storia dell’integrazione degli alunni con disabilità nella scuola pubblica italiana, poiché viene redatta la Relazione conclusiva della Commissione Falcucci concernente i problemi scolastici degli alunni handicappati che dichiara quali siano i princìpi e le modalità per rendere possibile l’integrazione stessa.
In premessa vi viene dichiarato: «La scuola proprio perché deve rapportare l’azione educativa alle potenzialità individuali di ogni allievo, appare la struttura più appropriata a far superare le condizioni di emarginazione in cui altrimenti sarebbero condannati i bambini handicappati, anche se deve considerarsi coessenziale una organizzazione dei servizi sanitari e sociali finalizzati all’identico obiettivo (pagina 1)».
Già da questa prima enunciazione comprendiamo la portata rivoluzionaria del documento, che punta alla creazione di una scuola capace di adattarsi alle diverse esigenze, capovolgendo i princìpi seguiti fino a quel momento, legati all’omologazione delle conoscenze e delle capacità.
Nella Relazione si dichiara inoltre l’impossibilità di non ammettere qualche bambino nella scuola pubblica, sancendo indirettamente la fine delle scuole speciali. Si aggiunge anche che il numero di studenti per classe, in presenza di alunni con disabilità, non deve essere superiore a 20, e il numero di quelli con disabilità deve essere deciso da un’équipe formata da docenti e personale specializzato.
E ancora, si postula la necessità del tempo pieno nella scuola dell’obbligo, in modo da inserire attività legate alle arti e alla musica che possano aiutare l’integrazione degli studenti con disabilità.
È prevista la formazione di un’équipe composta da docenti di sostegno e altre figure specializzate che aiutino l’integrazione degli studenti con disabilità nel gruppo classe.
È richiesto un aggiornamento costante di tutti i docenti, per trovare nuovi metodi e approcci di insegnamento.
C’è quindi il capitolo riguardante l’abbattimento delle barriere architettoniche, per rendere accessibili a tutti gli edifici scolastici e un’attenzione particolare è riservata ai trasporti. Seguono le indicazioni riguardanti la previsione di assistenti di supporto agli studenti con disabilità nelle attività quotidiane.
Rispetto all’iscrizione, nelle scuole materne dev’essere data priorità ai bambini con disabilità, visto il grande valore educativo e di crescita di tali strutture, mentre l’iscrizione dei bambini e bambine con disabilità alle elementari può essere posticipata di uno o due anni.
Alla fine si aggiunge la distinzione fra i soggetti il cui deficit, con intensivo trattamento, può essere portato «vicino alla norma», o comunque in modo tale che l’allievo possa affrontare la scuola comune; altri invece i cui deficit sono a un livello tale che non permette un proficuo inserimento scolastico.
Quel che va sottolineato è che in nessun caso l’inserimento scolastico è completamente escluso, infatti si legge: «Ovviamente ciò non esclude per loro l’inserimento scolastico, anche per loro bisogna favorire, in tutti i modi possibili i rapporti familiari e sociali (pagina 9)». Il tutto senza nemmeno trascurare la necessità di un impegno da parte di tutta la società perché l’integrazione scolastica si realizzi assieme a un’integrazione nel tessuto sociale.
Per la realizzazione di questo documento, va detto, che possiamo definire “rivoluzionario”, hanno contribuito in modo decisivo le sperimentazioni condotte dall’AIAS negli anni precedenti.
1976-1977: la scuola diventa per tutti
Il 4 agosto 1977 viene approvata la Legge 517/77 sull’integrazione scolastica con il titolo Norme sulla valutazione degli alunni e sull’abolizione degli esami di riparazione, nonché altre norme di modifica dell’ordinamento scolastico, dove vengono inseriti i princìpi della “Relazione Falcucci”.
Un articolo fondamentale è il secondo, dove si dichiara la necessità delle attività integrative, organizzate anche tra classi diverse, e si auspica l’attuazione di forme di integrazione per gli studenti con disabilità, con il supporto di insegnanti specializzati.
Altro articolo importante, per il tema qui trattato, è il settimo, in cui viene precisato che le classi con alunni con disabilità non possono superare i 20 membri.
Conclusioni
Con questo mio lavoro non intendo certo esaurire le possibilità di analisi; si potrebbero infatti esaminare i documenti di molte altre Associazioni, e farlo da tanti punti di vista; qui si è voluta innanzitutto aprire una strada verso l’ analisi storica di un argomento fin qui scarsamente trattato.
Si è cercato quindi di fare emergere le storie, le battaglie, le speranze e le conquiste di tante persone che, con fatica, hanno affermato i loro diritti.
Si è voluto accendere una luce verso un gruppo sociale in parte dimenticato dagli storici e dalla storiografia, a cui dev’essere dato il giusto valore.
Non bisogna trascurare che il movimento per i diritti delle persone con disabilità si sviluppa in un momento storico cruciale per le rivendicazioni sociali; sono stati infatti ben studiati il movimento studentesco, quello delle donne, le lotte operaie, tutte battaglie che si svolgono in quel giro di anni fra il ’68 e il ’77, ma si è appunto trascurata la lotta delle persone con disabilità, nonostante, come abbiamo dimostrato, abbiano dato vita a un movimento ampio, anche se non omogeneo. Dalle grandi “Marce del Dolore” ai cortei per le strade di Roma, fino ai presìdi davanti ai palazzi delle Istituzioni, sono state tante le dimostrazioni di una volontà di partecipazione da parte di questo gruppo sociale.
Qui, dunque, ci troviamo di fronte non alla mancanza di una storia condivisa, come spesso accade, soprattutto in Italia, ma a una mancata individuazione e analisi di un fenomeno storico.
L’augurio, quindi, è di avere dato l’input per l’inizio di tante e approfondite ricerche, che possano restituire dignità storica a tante donne e uomini che, in quel periodo, hanno trovato la forza di affermare la propria volontà, di esserci e di vivere con pari dignità e diritti.
Non avere riconosciuto tutto questo è un errore le cui conseguenze paghiamo ancora oggi in Italia, quando riconosciamo solo sulla carta i diritti delle persone con disabilità, senza darne concreta attuazione, con l’assenza di servizi adeguati. In altre parole, fare entrare il movimento delle persone con disabilità sul palcoscenico della storia vuol dire agire con più forza e tenacia, per renderne reali i diritti. Ovvero scrivere e diffondere questa storia significa contribuire a far crescere la coscienza sociale su questo tema. Infatti, solo da una forte conoscenza e coscienza storica può nascere una robusta coscienza sociale, che è l’unico elemento capace di portare a una reale inclusione delle persone con disabilità.
A questo link è disponibile il patrimonio bibliografico di cui si avvalsa Enrichetta Alimena per il suo studio, insieme alle altre fonti consultate. A questo link, invece, si può accedere alle registrazioni del documentario radiofonico Tutto normale, un altro sguardo sulla disabilità, trasmesso dal programma Tre Soldi di RAI Radiotre il 2, il 4 e il 5 dicembre. L’indirizzo di Alimena è enrichettaalimena90@gmail.com.
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