La “prima parte” di questo articolo si può dire sia stata idealmente scritta quattro anni fa (la si legga cliccando qui), in tempi che a confronto di quelli attuali appaiono ora “prosperi e rosei”; trattava di come salvare la vita dei nostri figli gravemente disabili, salvando possibilmente anche la nostra.
Questa seconda parte – che sarebbe stato bello non scrivere mai – potrebbe avere anche un sottotitolo, ovvero Come scegliere, se manca una vera alternativa? e ha la pretesa di cercare di rispondere a un enigma forse irrisolvibile.
L’enigma è quello di come assicurare la sopravvivenza fisica in primis e a pari merito una vita dignitosa ai cosiddetti “gravissimi”, una volta che i finanziamenti all’assistenza saranno stati (ancor più) drammaticamente tagliati.
A chi è lontano dalle dinamiche affettive delle “famiglie con disabilità” potrebbe venire in mente il seguente triste consiglio: «Se non ci sono o non avete più risorse per “tenerli a casa”, metteteli in qualche istituto!». A noi, però, un tale pensiero ripugna fortemente perché sappiamo com’è l’esistenza di un disabile gravissimo anche nel migliore degli istituti. Inoltre difendiamo strenuamente, per chiunque, il diritto “naturale” alla vita in famiglia e difendiamo anche la salute della finanza pubblica, giacché il peggior ricovero costa molto di più della miglior vita in famiglia.
Si potrebbe pensare allora all’autonomia impositiva delle Regioni e introdurre una sorta di “tassa di scopo” per salvare queste esistenze precarie, ma tenacissime. Il risultato, però, temiamo che sarebbe drammatico: si avrebbe infatti una tassa locale e lo Stato certo non ridurrebbe la pressione fiscale, destinando ad altro ciò che fino a ieri o ad avantieri era lesinato all’assistenza.
Crescerebbe inoltre nell’opinione pubblica perennemente male informata l’assioma “persona disabile=peso economico insopportabile per la società”, con la variante “persona gravemente disabile=peso economico gravemente insopportabile” (ma se è già insopportabile, come può esserlo gravemente?).
Si potrebbero allora fare dei risparmi virtuosi? Certamente, ma dovrebbero essere virtuosi per davvero: invece cioè che accanirsi con eterne ri-visite dell’INPS e/o dell’ASL a carico di portatori di patologie conclamate e irreversibili (ricordiamoci qualche volta che la tanto celebrata “caccia al falso invalido” ha prodotto più costi che benefìci e che la certificazione di invalidità non è un’autodichiarazione, ma è sempre prodotta da un collegio medico e che quando è falsa, la responsabilità primaria è di chi l’ha certificata…), bisognerebbe tagliare i veri sprechi, soprattutto quelli annidati nell’apparato burocratico, introducendo seri e moderni sistemi di controllo sui costi e sui rapporti costi-benefìci, migliorando quelli su gare e appalti, limitando l’ingerenza di chi produce su chi consuma, rapportando il gradimento dell’utenza al costo del servizio.
Ma purtroppo sembra che in tali settori il nostro sistema burocratico-amministrativo presenti una disabilità gravissima…
*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).