Parafrasando il recente, celebre slogan delle “donne in protesta e in proposta” che ha animato le piazze italiane di alcuni mesi fa, noi persone con disabilità potremmo chiedere «se non lo Stato chi?», riferendoci naturalmente al finanziamento e alla gestione della nostra assistenza.
La domanda, temiamo, è puramente retorica, perchè scontata è la risposta. Se non sarà più lo Stato – e qui Stato significa anche Regione ed Ente Locale – ad assicurare, in ossequio ai dettami costituzionali e al sentire morale della gente, le risorse per finanziare l’assistenza alla persone con disabilità o comunque non autosufficienti, chi dovrà e potrà farlo?
Il volontariato? Non scherziamo. Il volontariato ha fatto e fa cose meravigliose, ma questo non è il suo compito, non è un compito possibile. Il volontariato trova, organizza e offre risorse umane, risorse preziosissime. Risorse di impegno, di tempo, di idee. Non è e non deve essere qualcosa di simile a una fondazione bancaria, perché, a parte gli utili morali e civili, non ha altro da investire e da donare.
Il cosiddetto “privato sociale”? Vorremmo sapere chi è stato il geniale assemblatore di queste due parole, messe assieme per dar vita a qualcosa che non esiste, che non esiste almeno nei modi che si vuol far credere esistano. Il privato sociale o è un’attività a scopo prevalentemente di lucro, un’impresa, insomma, che di “sociale” ha solo la denominazione del campo nel quale opera, ahimè talvolta sotto le mentite spoglie di una ONLUS. Non confondiamo però il privato sociale con le cooperative sociali, meritevoli strumenti sostitutivi del personale che gli Enti non hanno più – o che non hanno mai avuto – per operare nel settore dell’assistenza alla persona, non solo con disabilità.
Le fondazioni bancarie? Hanno “già dato” (così dicono loro) quando era possibile farlo. Oggi non lo è più (dicono sempre loro). Potrebbero anche avere un po’ di ragione. Crediamo non molta.
La Chiesa? Ma quale Chiesa? Quella dei dettami evangelici, degli esempi luminosi nel campo dell’assistenza ai più bisognosi o quella della “carità pelosa” delle presidenze ecclesiastiche agli Istituti di Carità che hanno perpetrato misfatti e nefandezze? Temiamo poi che dietro quest’ultima ipotesi di gestore dell’assistenza si nasconda un disegno politico “perverso”, una sorta di “voto di scambio” che alla fine risulterebbe assai più oneroso del supposto vantaggio.
Se non lo Stato, chi? Nessuno, temiamo. Bisognerà dunque che le persone con disabilità, tutte le persone con disabilità, si rianimino – comprese quelle che sono nei reparti ospedalieri di tale nome -, si organizzino e trovino strumenti efficaci per contrastare questo “abbandono vitale” che la politica sta perpetrando ai loro danni.
*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).