Prima o poi doveva succedere. È successo. In Italia, negli Stati Uniti e non solo, alle persone con disabilità vengono spesso negate le cure salvavita contro il coronavirus.
La crisi attuale, sebbene senza precedenti, richiede che il rispetto delle norme internazionali sui diritti umani debba essere al centro delle risposte fornite dallo Stato e quindi dalle autorità sanitarie. A questo proposito, è necessario ricordare innanzitutto l’articolo 11 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie), il quale stabilisce che gli Stati debbano adottare «tutte le misure necessarie per garantire la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio, comprese situazioni di conflitto armato, emergenze umanitarie e catastrofi naturali». Con “prima le persone sane”, invece, sta venendo meno l’impianto della stessa Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Trovo aberrante negare il diritto ad essere diversi. La maggior parte degli Stati ha imposto, a ragione, misure di distanziamento sociale per rallentare la propagazione del Covid-19, ma non ha sempre rivolto sufficiente attenzione alle situazioni e alle esigenze specifiche delle persone con disabilità: il distanziamento sociale e l’autoisolamento possono infatti rivelarsi impossibili per coloro che devono contare sull’aiuto degli altri per mangiare, vestirsi e lavarsi.
Questa scelta – che trovo scellerata – conferma che non siamo ancora arrivati a concepire la disabilità come condizione normale, come una delle possibili situazioni di vita delle persone. Ma ogni persona è persona sempre ed è più della sua condizione.
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