I Decreti del Presidente del Consiglio del 4 marzo e dell’8 marzo hanno disposto che per tutta la durata della sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado i dirigenti scolastici attivassero attività formative e modalità di didattica a distanza, «avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità».
Sulla carta l’impresa poteva sembrare semplice; la realtà, invece, ha assunto aspetti ben più complessi.
Il Decreto Legge 14/20 ha previsto, durante la sospensione del servizio scolastico e per tutta la sua durata, la possibilità per gli Enti Locali di fornire assistenza agli alunni con disabilità mediante «erogazione di prestazioni individuali domiciliari», finalizzate al «sostegno nella fruizione di attività didattiche a distanza», tenuto conto del «personale disponibile anche impiegato presso terzi titolari di concessioni, convenzioni o che abbiano sottoscritto contratti di servizio con i medesimi enti locali».
Il successivo Decreto Legge 18/20, cosiddetto “Cura Italia”, ha confermato poi all’articolo 48 quanto stabilito dal precedente Decreto, prevedendo che durante la sospensione dei servizi educativi e scolastici «le pubbliche amministrazioni forniscano, avvalendosi del personale disponibile, già impiegato in tali servizi, dipendente da soggetti privati che operano in convenzione, concessione o appalto prestazioni in forme individuali, domiciliari o a distanza o rese nel rispetto delle direttive sanitarie negli stessi luoghi ove si svolgono normalmente i servizi senza ricreare aggregazione».
I due Decreti, dunque, prefiguravano per l’alunno/studente con disabilità la possibilità di essere supportato non solo a distanza dall’insegnante di sostegno e dagli insegnanti curricolari, ma anche a domicilio, dall’assistente all’autonomia e alla comunicazione, previo impegno della famiglia a garantire durante lo svolgimento di tale servizio l’adozione delle precauzioni e il rispetto delle misure di sicurezza volte a contrastare la diffusione del contagio da coronavirus, prescritti dalle Istituzioni per tutelare la salute di operatori e utenti e dei loro familiari.
In realtà, per gli alunni e gli studenti con disabilità, l’anno scolastico, bruscamente interrotto dai primi di marzo dalla pandemia, è ripreso solo grazie alla volontà dell’insegnante di sostegno o dell’insegnante curricolare, che si sono impegnati ad attivare forme di didattica a distanza compatibili con il loro Piano Educativo Individualizzato. I più fortunati tra loro sono stati affiancati da padri e madri “tecnologici”, rimasti a casa dal lavoro grazie al ricorso alle ferie, ai tre giorni di permesso retribuito della Legge 104 (con l’estensione di sei giorni prevista dalla normativa d’urgenza) o al permesso straordinario di quindici giorni previsto dal Decreto Legge 18/20. Ad altri genitori il datore di lavoro ha concesso, compatibilmente con le caratteristiche della mansione svolta, di lavorare da casa in modalità “agile” (smart working).
Nessuna agevolazione e nessun aiuto, invece, per i genitori di alunni con disabilità che sono lavoratori irregolari o disoccupati, se non quello proveniente dalla solidarietà e dal volontariato che, dopo una fase iniziale di vuoto sociale, si sono messi faticosamente in moto.
Se poi si è anche stranieri o semplicemente poveri, costretti a vivere in pochi metri quadri, magari con l’etichetta di essere “untori” per avere nel proprio gruppo familiare qualche contagiato, la situazione diventa quasi drammatica.
Sembrava impensabile, in tale quadro, che l’assistente educativo, spesso considerato come un “corpo estraneo” allo stesso Consiglio di Classe, una figura esterna alla Pubblica Amministrazione, un lavoratore dipendente da cooperative che operano in convenzione con Enti Locali (Comuni, Città Metropolitane, Regioni), con un profilo professionale non (ancora) normato, e una “lauta” busta paga di circa 7 euro all’ora, accettasse – pur di non perdere il lavoro o semplicemente per spirito di servizio e senso di solidarietà – di andare al domicilio dei suoi alunni, anche laddove il proprio “contratto” non prevedeva tale prestazione, per insegnare loro il modo per collegarsi con i loro insegnanti e la loro classe con il PC o lo smartphone, sempre che qualcuno della famiglia li possedesse, e permettere loro di considerarsi ancora parte di un gruppo di studenti, di una classe, di una scuola.
Sembrava impensabile, e invece è successo. Dalle Associazioni di persone con disabilità, infatti, assieme all’elenco (infinito) di cose che non vanno come dovrebbero andare, arrivano anche buone notizie. Dal Veneto, ma anche dalla Campania e dall’Emilia Romagna, arrivano dalle famiglie di studenti con disabilità grave, di tipo intellettivo-relazionale (quelli, per intenderci, che riescono a fatica a concentrarsi anche solo per dieci minuti), buone notizie che parlano di educatori mandati dalle cooperative al loro domicilio, a ristabilire con i loro figli relazioni interrotte o a riattivare piccole autonomie faticosamente conquistate nel tempo.
In mancanza, poi, di assistenti educatori disposti ad andare a domicilio o di famiglie disposte ad accoglierli per paura del contagio, sono state inventate o riscoperte anche altre soluzioni, tipo sessioni educative “all’aperto” o in ambienti neutri.
Allo Stato e agli Enti Locali una domanda: ha ancora senso che figure come l’assistente all’autonomia e alla comunicazione, variamente denominato “assistente specialistico”, “AC”, “AEC”, “ASACOM”, “COEPA” ecc., non siano ancora considerate a pieno titolo come parte del mondo della scuola?
Nel “Decreto Inclusione” (il Decreto Legislativo 66/17, integrato e corretto dal Decreto Legislativo 96/19), queste figure fanno ufficialmente parte del Gruppo di Lavoro Operativo (GLO, articolo 9, comma 10), che è preposto alla stesura del Piano Educativo Individualizzato di ogni alunno/studente con disabilità (articolo 7, comma 2, lettera a), ma nella realtà spesso non è loro concesso neppure di accedere alla documentazione relativa all’alunno o al registro elettronico e la loro figura professionale attende ancora di essere normata. Si “devono” occupare di attività per favorire l’autonomia, la comunicazione e la socializzazione, ma “possono” anche aiutare i ragazzi a svolgere i compiti, sempre però su indicazione dei docenti.
Con gli alunni con disabilità sensoriale gli educatori specializzati fungono da tramite con la famiglia e con l’intero Consiglio di Classe e sono fondamentali per la realizzazione del piano educativo dell’alunno, grazie alla loro competenza nell’utilizzo della LIS [Lingua dei Segni Italiani, N.d.R.], del Braille e degli strumenti e dei metodi per rendere accessibili gli ambienti, oltreché degli strumenti di apprendimento anche per ipovedenti e ipoacusici; inoltre, con gli alunni con disturbi del neurosviluppo, sono spesso gli unici a saper impiegare modalità di comunicazione alternativa per agevolare le loro relazioni.
L’avvio della didattica a distanza, con i bisogni insoddisfatti soprattutto degli studenti con disabilità più gravi, ha messo ancor più in evidenza l’importanza del loro ruolo e la necessità del riconoscimento dei loro diritti oltre che dell’elencazione dei loro doveri.
Vicepresidente dell’ANS (Associazione Nazionale Subvedenti), membro del Gruppo Ledhascuola (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità).
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