Potrebbe diventare un’opzione farmacologica in più a disposizione delle persone con sclerosi multipla: il condizionale è d’obbligo, visto che le evidenze della sua possibile efficacia per ora riguardano solo modelli sperimentali della patologia, ma i risultati sull’uso di una piccola molecola (un farmaco in realtà già utilizzato per altri scopi in medicina), capace di migliorare il quadro di malattia nel modello murino, lasciano ben sperare. A mostrarli è un gruppo di ricercatori guidati da Fabrizio Michetti dell’Università Cattolica, Dipartimento di Neuroscienze, Campus di Roma e dell’Università Vita-Salute San Raffaele.
Lo studio, cui hanno partecipato anche gli Istituti di Analisi dei Sistemi ed informatica Antonio Ruberti (IASI) e di Scienze e Tecnologie Chimiche Giulio Natta (SCITEC) del CNR, oltre alla Fondazione Santa Lucia IRCCS, è stato finanziato dalla FISM, la Fondazione Italiana Sclerosi Multipla che opera a fianco dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e pubblicato dalla rivista scientifica «Cells».
Al centro del lavoro coordinato da Michetti, coadiuvato da Gabriele Di Sante, Francesco Ria e altri colleghi dell’Università Cattolica (Dipartimento di Medicina Traslazionale e Chirurgia), vi è una proteina (S100B), sintetizzata da cellule della glia, soprattutto dagli astrociti.
Secondo quanto spiegano gli Autori, la proteina è già considerata un marcatore di danno a carico del sistema nervoso, dove viene liberata dagli astrociti con effetti neurotossici essenzialmente nei processi infiammatori. Nel caso della sclerosi multipla si riscontra in livelli molto elevati nel fluido cerebrospinale e nel siero di pazienti in fase acuta, ma anche nel tessuto nervoso, in prossimità delle lesioni attive associate alla malattia. E nelle fasi stazionarie che anche caratterizzano la malattia, osservano sempre i ricercatori, i livelli della proteina nei liquidi biologici si riducono sensibilmente fin quasi a ritornare normali. Di qui l’ipotesi che S100B possa avere un ruolo nella sclerosi multipla, e che contrastarne l’azione possa produrre effetti benèfici.
Per capirlo, Michetti e collaboratori hanno condotto esperimenti sul modello sperimentale di sclerosi multipla della forma recidivante-remittente (RR–EAE: Relapsing-Remitting Experimental Autoimmune Encephalomyelitis,), che nell’uomo è di gran lunga la più diffusa. Per bloccare S100B hanno usato una piccola molecola, la pentamidina, già impiegata come farmaco antiparassitario, ma anche dotata di una singolare azione bloccante per la stessa S100B, lontana, per quanto si sa, dal suo consolidato impiego terapeutico. Una volta somministrata nei modelli animali, la pentamidina ha ridotto in effetti la gravità della malattia, migliorando sensibilmente il quadro clinico. «E nel cervello degli animali – spiegano gli Autori dello studio -, la somministrazione di pentamidina si associava a una diminuzione di molecole proinfiammatorie, effetti confermati anche dagli esami istologici, che mostravano una riduzione delle cellule immunitarie e delle lesioni nei tessuti cerebrali».
Queste osservazioni, dunque, come sempre con tutte le cautele dovute a risultati ottenuti soltanto nel modello sperimentale, inducono a considerare la pentamidina come un nuovo possibile farmaco nella lotta alla sclerosi multipla; e la considerazione che si tratti di un farmaco il cui uso clinico è già approvato – benché per altri scopi – potrebbe avere rilievo. Ma soprattutto, ora che il ruolo della “misteriosa” proteina S100B nella sclerosi multipla sembra accertato, i ricercatori sono già a caccia di farmaci che la blocchino in maniera ancora più mirata. (B.E. e S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.
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