L’esperienza di questi mesi di isolamento coatto, terminata (provvisoriamente?) in questi giorni, ha messo a nudo le potenzialità e i limiti dell’assistenza “da remoto”.
Probabilmente sussistevano e sussistono validi motivi che hanno consigliato questa scelta, di per sé valida, ma inficiata da troppi errori e omissioni.
Il concetto di telematico, di virtuale, di connessione senza contatto umano ha permesso di salvare il salvabile, forse più nel settore educativo che in quello attinente la salute.
Non mi occupo più delle tematiche dell’apprendimento e delle tecniche ad esse connesse da parecchi anni, cioè da quando mia figlia ha terminato gli studi e quindi formulo solo alcune considerazioni da ex-utente probabilmente non bene informato.
La prima è che il Paese reale è distante e parecchio da quello che ci viene presentato dai media e dai politici di governo e di opposizione. Non tutte le famiglie, infatti, hanno collegamenti tipo Skype che permettano di partecipare aduna lezione in videoconferenza, non tutte le scuole sono debitamente attrezzate, non tutte le attrezzature funzionano correttamente, non sempre il personale scolastico è idoneo a tale compito, non sempre dirigenti scolastici, provveditori e ministra sono stati o sono all’altezza delle loro responsabilità.
È mancata praticamente, almeno sino ad ora, la partecipazione degli insegnanti di sostegno e degli assistenti alla comunicazione.
Per i bambini più piccoli la chiusura di nidi d’infanzia, scuole materne e asili ha interrotto il processo di socializzazione e spesso ha privato almeno un genitore della possibilità di lavorare. Questo naturalmente è successo anche con i bambini più grandi, dalle problematiche solo parzialmente differenti.
Venendo al settore sanitario e assistenziale, ancora una volta si è palesata una situazione “a macchia di leopardo”, ove comportamenti di grande valore professionale e umano si sono mescolati ad improvvisazione e incapacità gestionale.
Qui particolarmente stridente è apparsa la difformità dei pareri scientifico-professionali sulle strategie da seguire da parte delle autorità e dalle famiglie.
Il ricorso alla telemedicina (comprendendo in essa anche la semplice telefonata), se da un lato ha permesso di mantenere almeno un contatto non fisico tra paziente e medico, è stato più utile dove sono state attivate procedure complesse, come il monitoraggio delle funzioni vitali (particolarmente importante, ritengo sia possibilità di sviluppare tecniche di auscultazione da remoto per i pazienti con serie problematiche respiratorie), ma generalmente le ASL hanno attivato solo numeri verdi di consulenza psicologica di supporto.
L’assistenza non-medica ( fisioterapica, tramite operatori socio sanitari ecc.) è letteralmente scomparsa, per motivi precauzionali, anche su richiesta delle famiglie, per evitare rischi di contagio, e a volte si è tramutata in un supporto alla spesa alimentare o farmaceutica.
Le persone con disabilità grave e i loro caregiver sono stati completamente dimenticati e solo recentemente, per fare un unico esempio illuminante, da parte politico-burocratica si è ammesso che chi spinge una carrozzina non può farlo da almeno un metro di distanza…
In alcune situazioni le ASL e i Distretti Sociosanitari hanno utilizzato lo stato di emergenza per ridurre o tentare di ridurre i servizi o le forme sostitutive di essi a favore delle persone gravemente non-autosufficienti, introducendo arbitrari criteri di differenziazione e di esclusione in forte odore di incostituzionalità.
A questo punto appare singolare che almeno fino ad oggi non si sia addossata, da parte di qualche “negazionista della ragione”, la colpa della pandemia e dei suoi terribili effetti sulla salute fisica, mentale ed economica alle persone con disabilità!
Speriamo non accada domani…
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