Non è questa la Delibera che rispetta chi vive nei servizi residenziali!

«Applicare questa Delibera della Regione Lombardia significherebbe pensare a chi vive nei servizi residenziali non come persone, con gli stessi diritti e doveri di ogni altro, ma come a dei “ricoverati”, semplicemente da curare e assistere, possibilmente restando all’interno delle strutture»: lo dichiarano varie organizzazioni lombarde impegnate per i diritti delle persone fragili, tra cui la Federazione LEDHA, lamentando tra l’altro che «si sia omologata la realtà degli anziani a quella della disabilità, delle dipendenze, della salute mentale, della neuropsichiatria e dei minori»

Persona in carrozzina fotografata di spalle davanti a una vetrata

«Questa non è la Delibera di cui hanno bisogno le persone con fragilità che vivono nei servizi residenziali»: non usa mezzi termini la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), insieme a numerose altre organizzazioni (se ne legga l’elenco nel box in calce), nel commentare i contenuti della Deliberazione della Giunta Regionale Lombardia n. 3226, riguardante i servizi residenziali, ritenuta «un documento in alcuni passaggi confuso, che rimanda continuamente ad altre norme, sia di carattere regionale sia nazionale, e che quindi non offre un quadro chiaro di riferimento né alle Agenzie di Tutela della Salute né agli Enti Gestori che dovranno applicarla. È un atto che segue una norma di ben altro spessore, come il Piano Territoriale Regionale per la riattivazione dei servizi diurni (DGR n. 3183), di cui auspichiamo invece una rapida implementazione. Un Piano Territoriale che rischia di entrare in conflitto con quest’ultima Delibera, generando inutili problemi di interpretazione».

«Questa Delibera – scrivono ancora le organizzazioni lombarde – disegna un impianto che avrebbe forse potuto considerarsi adeguato all’inizio della pandemia, quando sarebbe stato più che mai necessario rendere impermeabili i servizi residenziali, e in particolare le RSA [Residenze Sanitarie Assistenziali, N.d.R.], alla diffusione del Covid-19. Ma sappiamo tutti che le cose sono andate diversamente. Applicarla oggi significa pensare coloro che vivono nei servizi residenziali non come persone, con gli stessi diritti e doveri di tutte le altre, ma come dei “ricoverati” che devono essere semplicemente curati e assistiti, possibilmente rimanendo all’interno delle strutture. Chi però conosce la varietà dei servizi residenziali e delle persone che li abitano sanno che la realtà è ben diversa».

Un paio di aspetti positivi, per altro, vengono ugualmente individuati, nel provvedimento approvato dalla Giunta Regionale Lombarda, quali l’estensione dello screening sierologico (e in caso di positività il successivo tampone) agli operatori e alle tutte le persone ospitate nelle strutture, prevedendo il costo a carico del Servizio Sanitario Regionale, oltre alla conferma della validità di quanto stabilito prima dall’articolo 48 del Decreto Legge n. 18 [il Decreto Legge 18/20, meglio noto come “Cura Italia”, convertito poi nella Legge 27/20, N.d.R.] e poi dall’articolo 109 del DL 34 [Decreto Legge 34/20, cosiddetto “Decreto Rilancio”, N.d.R.], in merito alla continuità dei progetti individuali e di servizio già avviati. Ma a prevalere sono decisamente le criticità, così come vengono elencate di seguito dalla LEDHA e dalle altre organizzazioni.
«In primo luogo ci riferiamo al piano della sicurezza. La Delibera n. 3226 costruisce infatti un sistema di relazioni che anziché definire una rete di corresponsabilità tra persone con fragilità, famiglie, Enti Gestori, Comuni e Agenzie di Tutela della Salute, scarica tutto l’onere sul cosiddetto “Referente Covid-19” designato dagli Enti Gestori. Una scelta forse utile a non assumersi alcuna responsabilità civile e penale da parte delle Pubbliche Amministrazioni, ma decisamente inadatta a creare condizioni appropriate di vera sicurezza cucite su misura delle persone che vivono nei servizi. Un “Referente Covid-19”, inoltre, che dovrà essere accompagnato da un Comitato Multidisciplinare, le cui funzioni e responsabilità non sono del tutto chiare, ma i cui costi saranno a carico degli Enti Gestori».

«In secondo luogo, bisogna guardare al piano dell’appropriatezza. Le nostre richieste di prevedere atti distinti per la varie tipologie di Unità di Offerta sono rimaste inascoltate [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.]. Tutto, infatti, confluisce sostanzialmente in un unico calderone, dove la matrice sono gli interventi previsti per le RSA che vengono poi applicati per tutta la filiera dei servizi per le persone con disabilità e fragilità di diverse età e con diverse tipologie di menomazioni e compromissioni. Pensare di garantire sicurezza e dignità applicando le stesse regole a persone ultraottantenni con diverse patologie e a persone giovani e adulte, ad esempio, con disabilità intellettiva, con problemi di dipendenza o senza particolari problemi di salute, prima ancora di essere sbagliato risulta essere del tutto illogico».

«E infine, sul piano del rispetto dei diritti e della dignità delle persone con fragilità, le restrizioni agli ingressi rimangono quelle del periodo duro del lockdown, quando tutti i cittadini, a prescindere dalle proprie condizioni di salute, vivevano barricati in casa. Ora si prospetta che, mentre il resto della società si apre a nuove relazioni sociali, la fase di confinamento per tutte le persone che vivono nei servizi residenziali si prolunghi a tempo indeterminato, indipendentemente dalle condizioni di salute delle persone. Le relazioni familiari continueranno, per chi ce la può fare, sempre e solo attraverso lo schermo di un computer. È grave anche non trovare nessun riferimento e indicazione per garantire il diritto ad uscire in sicurezza dalle strutture alle persone che vi vivono, a meno che non si consideri soddisfatta questa esigenza con il giro nel giardinetto interno. Per chi ha la fortuna di averne uno».

«Questa Delibera – concludono quindi le organizzazioni lombarde – recepisce poco o nulla delle osservazioni, dei suggerimenti e dei consigli degli Enti di Terzo settore che, ripetutamente, hanno chiesto di non omologare la realtà degli anziani con quella della disabilità, delle dipendenze, della salute mentale, della neuropsichiatria, dei minori, rispettando i diversi bisogni dei cittadini e delle cittadine lombardi. A tal proposito avremmo auspicato che l’esperienza positiva del confronto che ha portato all’approvazione della citata Delibera n. 3183 in merito ai Piani Territoriali di riavvio dei servizi diurni e semiresidenziali potesse rappresentare un modello cui guardare. Ma così non è stato. All’Assessorato e alla Direzione Generale Welfare della Regione Lombardia chiediamo dunque di poter ridiscutere la Delibera, prima che l’applicazione di essa generi costi e danni irreversibili». (S.B.)

Insieme alla LEDHA hanno sottoscritto la nota di commento alla Delibera n. 3226 della Giunta Regionale della Lombardia: Forum del Terzo Settore Lombardia; ACI Welfare Lombardia (Associazione Cooperative Italiane); ANFFAS Lombardia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettive e/o Relazionale): Arlea; CEAL (Coordinamento Enti Accreditati e Autorizzati Lombardia); CNCA Lombardia (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza); Uneba Lombardia.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@ledha.it.

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