«Già l’uso frequente, nel linguaggio comune, dell’aggettivo “disabile” non accompagnato da un sostantivo – “persona”, “minore”, “anziano” o “adulto” – rivela che la dimensione soggettiva della persona viene spesso sottovalutata o non presa in considerazione con pienezza. Soggettività negata e poi rubata da familiari, operatori, strutture quando, sostituendosi alla persona con disabilità, prendono decisioni riguardanti il luogo dove vivere, le scuole o gli amici da frequentare, i programmi televisivi da guardare, la frutta da mangiare, le scarpe da indossare. Spesso ci si dimentica che la disabilità è una condizione, non una malattia. La disabilità, peraltro, può intervenire in qualsiasi momento della vita, assumere connotazione fisica del tutto svincolata da alcuna caratteristica psichica; può far riscoprire abilità diverse nelle proprie potenzialità soggettive e dialogare in modo reciprocamente fruttuoso con la cosiddetta “normalità”».
Non ha certo bisogno di troppi commenti, riprendendo concetti costantemente presenti anche sulle nostre pagine, la parte con cui si apre il capitolo dedicato alla disabilità (pagine 104-105), nella Relazione al Parlamento 2020, presentata il 26 giugno scorso dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
«Non sono solo le immagini delle Paralimpiadi – prosegue il documento – ad averci insegnato le potenzialità che permangono e che determinano la capacità di progettarsi e di prendere iniziative come la persona era abituata a fare prima di un’eventuale causa accidentale o come l’ha affinata sin dalla nascita, nel caso in cui la sua disabilità abbia accompagnato tutta la sua vita. Sono le vite riconosciute delle persone incontrate da ognuno di noi e che ci presentano modalità decisionali anche diverse da quelle che ci siamo sempre figurate. Vite piene, differenti, con cui saper interagire, leggendo ciò che accomuna e apprezzando ciò che distingue [sono nostri i grassetti nelle varie citazioni, N.d.R.]».
Ribadendo quindi una serie di argomenti messi particolarmente in luce dal Garante, prima e più di altri, anche nei mesi recenti dell’emergenza sociosanitaria, evidenziando con dettagliati rapporti le drammatiche conseguenze del contagio nelle strutture residenziali e sociosanitarie dedicate anche a persone con disabilità, la Relazione prosegue sottolineando che «nessuna compressione dei processi decisionali è legittima e anche nel caso di disabilità mentale la consapevolezza di poter decidere, nei diversi gradi possibili, deve essere conservata attraverso una rete di figure professionali giuridiche e tecniche, capaci di sviluppare, interpretare e sostenere i processi di autodeterminazione. Tuttavia, condizionamenti esterni ostacolano a volte l’espressione delle potenzialità della persona con disabilità sia in termini di personale contributo allo sviluppo della società civile sia in termini di autonomia: interessi, gusti, aspirazioni, inclinazioni e affetti profondi vengono appiattiti su un’unica linea retta tracciata dal mancato riconoscimento della sua capacità di scelta».
In tal senso, secondo il Garante, «ancora c’è molto cammino da fare, anche nel nostro Paese, per ammettere che la persona disabile può avere una sua progettualità di vita: rispetto alla professione, all’affettività, alla sessualità, ai rapporti interpersonali. Alla costruzione del proprio sé: compito difficile per tutti, ma ancor meno riconosciuto per chi presenta una disabilità. Perché essere persona con disabilità rischia spesso di implicare una perdita sociale non solo in termini di rapporti interpersonali nei quali si può finire di riconoscere gli altri come “diversi” da sé, in senso positivo e non raggiungibile. È indubbio, infatti, il peso ancora esercitato dal pregiudizio negativo nei diversi ambiti di vita quotidiana, compreso quello lavorativo, che può riflettersi come uno specchio deformante sulla propria costruzione personale».
La parte conclusiva del capitolo è dedicata agli ostacoli, fisici e non solo, frapposti dalla società a una reale inclusione delle persone con disabilità, con una chiusa “aperta” a possibili nuovi scenari che si incominciano ad intravvedere. «Non aiutano certo – si scrive infatti nel documento – il disegno urbano degli spazi e la tradizionale architettura che fino ad anni recenti hanno regolato l’organizzazione degli interni: anche degli uffici pubblici. Né le auto parcheggiate a chiudere i rari scivoli che permettono a una carrozzina di superare l’ostacolo del marciapiede. Barriere nella mobilità, usabilità, comunicazione, informazione, comprensibilità e carenze nell’orientamento costituiscono di fatto impedimenti all’accesso a risorse e a servizi, ostacolandone, pertanto, la fruibilità in condizione di concreta uguaglianza. Qualche spiraglio però appare nella riflessione presente in questo settore. La dimensione sociale del disegno architettonico e della connotazione degli spazi non è più riflessione di nicchia, ma espressione di una inarrestabile tendenza delle discipline a non considerarsi più ambiti di contenuti propri separati gli uni dagli altri e non interagenti con la concretezza della vita delle persone, ma a interrogarsi su come il proprio sapere possa essere un elemento, tra gli altri, costruttore di una diversa socialità». (S.B.)
Il testo integrale della Relazione al Parlamento 2020, presentata il 26 giugno dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, è disponibile a questo e a questo link (rispettivamente prima e seconda parte). Per ulteriori informazioni e approfondimenti: segreteria@garantenpl.it.
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