Ai genitori di studenti con disabilità del Lazio, e solo a loro, sta arrivando la richiesta di sottoporre i propri figli a test sierologico prima dell’inizio della scuola.
Il test sierologico serve a verificare se una persona abbia avuto contatto con il virus, rimanendo asintomatico pur acquisendo gli anticorpi. Si tratta quindi di un test che analizza il passato, non certo il presente, e che tanto meno può stabilire una contagiosità come nel caso del tampone. Può essere utile per una persona sana, per sapere se è stata in contatto con il virus pur restando asintomatica, ciò che invece non è scientificamente possibile per una persona sanitariamente fragile o immunodepressa, che può anche non avere una certificazione di disabilità, perché non potrà mai essere stata a contatto con il virus restando asintomatica, ma svilupperà immediatamente la sintomatologia anche in forma grave, come una sorta di “tampone vivente”.
Qual è quindi il motivo scientifico per cui solo agli alunni che hanno una certificazione di disabilità viene richiesto di sottoposi a un test sierologico?
Purtroppo appare evidente che questa richiesta proviene da un profondo pregiudizio che individua nella condizione di disabilità qualcosa da cui proteggersi, arrivando persino a supporre una maggiore contagiosità rispetto a uno studente in salute. Un pregiudizio del tutto illogico, soprattutto considerando come una persona con disabilità in questo periodo, proprio per l’evidente maggiore rischio, sia sicuramente stata più attenta nell’evitare quei comportamenti pericolosi più frequenti in chi sa di essere in perfetta salute. Senza contare che, soprattutto nel caso di bambini e adolescenti con disabilità, proprio la necessità assistenziale li pone in contesti di maggiore vigilanza da parte degli adulti che li assistono, come non avviene coi coetanei.
A nostro avviso, tale richiesta rientra perfettamente nella fattispecie discriminatoria prevista dall’articolo 2, comma 3 della Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), che recita: «Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone».
L’aspetto più incomprensibile è che questa discriminazione viene fatta in un’Ordinanza della Regione Lazio dove, giustamente, è previsto «il test di sieroprevalenza a docenti, educatori, operatori di sostegno, assistenti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), e insegnanti di sostegno e tutte le figure professionali delle scuole di ogni ordine fino al secondo grado (compresi gli istituti professionali), paritarie e non, dei servizi educativi per l’infanzia gestiti dallo Stato e dagli Enti locali», persone che potrebbero essere asintomatiche, mentre, sottolineiamo ancora una volta, questo non potrebbe mai succedere per gli studenti che hanno delle fragilità sanitarie, non necessariamente legate, tra l’altro, alle condizioni di disabilità.
Perché stigmatizzare così negativamente e sulla base di pregiudizi scientifici gli studenti certificati con disabilità rispetto a ogni altro studente?
Riteniamo pesantemente grave questa forma di discriminazione successiva al già brutto periodo passato dagli studenti con disabilità con il lockdown, dove, in larga maggioranza, sono stati esclusi anche da quel minimo legame con l’istruzione scolastica fatta in remoto! Ha il significato di “mettere le mani avanti” preannunciando ulteriori esclusioni future.
L’Associazione Oltre lo Sguardo ha sede a Roma.
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