La bella iniziativa, denominata 10 giorni x i diritti umani, prevede appunto la riproposizione di alcuni tra i più significativi articoli della Dichiarazione Universale, riguardanti di volta in volta le discriminazioni, il diritto di cittadinanza, la scuola, il lavoro, la pace e molto altro ancora, con il commento di Antonio Papisca, direttore della Cattedra Unesco “Diritti Umani, Democrazia e Pace”, presso il Centro Interdipartimentale sui Diritti della Persona e dei Popoli dell’Università di Padova.
Oggi è la volta dell’articolo 2, dedicato alla discriminazione e al quale, per ovvi motivi, il nostro sito guarda con particolare attenzione.
Articolo 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
2) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.
Il commento di Antonio Papisca
«Questo articolo, affermando che tutti i diritti e le libertà enunciati nella Dichiarazione “spettano ad ogni individuo”, potrebbe sembrare pleonastico rispetto all’articolo 1, e invece ne è il suo completamento, con l’ammonizione: giù le mani dalla dignità della persona e dai diritti che le ineriscono.
L’espressione “senza distinzione” richiama implicitamente il principio di eguaglianza e introduce quello di non discriminazione, che verrà esplicitato dall’articolo 7. Il divieto di discriminazione è già espresso, in termini generali, nell’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite (1945), che annovera tra i fini quello di “conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione”.
La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell’annoverare il divieto di discriminazione tra quelli assoluti, come tali ad altissima valenza precettiva: al riguardo si parla di ius cogens, i cui princìpi obbligano tutti, a prescindere dal fatto di averli accettati per iscritto. Siamo nel diritto consuetudinario, che comprende anche i divieti di schiavitù, di genocidio, di violazioni estese e reiterate dei diritti umani.
Il divieto di discriminazione è ribadito in tutte le Convenzioni giuridiche internazionali, in particolare nella Convenzione contro la discriminazione razziale, in quella contro le donne, in quella sui diritti delle persone con disabilità, in quella sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.
L’articolo 2 della Dichiarazione Universale offre una tipologia di cause e forme di discriminazione. Va sottolineato il secondo paragrafo che attiene allo “statuto politico, giuridico o internazionale” dei Paesi e dei territori di afferenza delle persone. L’appartenenza di una persona a uno Stato a regime totalitario non può essere motivo di discriminazione da parte di governi e cittadini di Stati a regime democratico. Per i diritti umani non vale il principio mercantile della reciprocità.
Forme sempre più frequenti di discriminazione attengono alla sfera della pratica religiosa, dell’educazione e della cittadinanza. Per esempio, le classi scolastiche “differenziate” per i bambini degli immigrati costituiscono flagrante violazione, oltre che del generale divieto di discriminazione, anche degli espliciti obblighi delle Convenzioni Unesco in materia sia di educazione (1960) sia di “protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali” (entrata in vigore nel 2006).
Una forma particolarmente odiosa di discriminazione è quella che si traduce nella pulizia etnica e, spesso, nei collegati processi di vero e proprio genocidio.
La discriminazione investe anche il mondo del lavoro. Le politiche che assumono come fisiologica la disoccupazione e la precarietà contravvengo il divieto di discriminazione. Le politiche di neoliberismo, improntate alla de-regulation (economica e istituzionale) e che danno per scontato che ottocento milioni di esseri umani debbano morire per fame e povertà estrema, sono flagrantemente discriminatorie. C’è chi pensa, a ragione, che tali politiche debbano essere annoverate tra i crimini contro l’umanità.
La discriminazione è l’alleata, talora subdola, ma sempre perniciosamente efficace, di intolleranza, razzismo, xenofobia, guerra».
Il nostro primo articolo, di questa serie di contributi (Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti) è disponibile cliccando qui.