Non è certo necessario andare troppo indietro nella Storia per parlare di sterilizzazioni forzate delle persone con disabilità, se è vero, ad esempio, quanto si può leggere sulla testata «Avvenire» di pochi giorni fa, rispetto a ciò che accadde in Giappone tra il 1948, anno in cui venne approvata la Legge sull’Eugenetica (Eugenic Protection Law), che impegnava autorità e medici a impedire la procreazione a persone con disabilità fisiche, intellettive o psichiche, e il 1996, quando quella norma venne profondamente modificata, ovvero solo ventiquattro anni fa. E la questione non appartiene affatto al passato, visto che il problema dei risarcimenti alle vittime di quella Legge sta tuttora agitando la sfera istituzionale e giuridica del Paese nipponico.
In sostanza, secondo quanto riferisce l’articolo citato, sono state circa 16.500, in quegli anni, le persone che subirono trattamenti volti a impedirne la procreazione, senza il loro consenso, e che il problema conservi ancora tutta la sua attualità lo dimostra il fatto che solo pochi mesi fa la Corte Distrettuale di Tokyo ha respinto la richiesta di indennizzo pari a 250.000 per una delle vittime di sterilizzazione forzata e questo nonostante il Presidente di quella Corte avesse dichiarato che quell’intervento medico «aveva violato la libertà di procreare garantita dalla Costituzione».
Il ricorso, in realtà, è stato respinto per la scadenza del termine di prescrizione di vent’anni, stabilito in Giappone per le richieste di danni, ma quel che più conta è che durante il procedimento, lo Stato, chiamato a risarcire il ricorrente, non abbia mai risposto formalmente rispetto al contrasto tra la Legge sull’Eugenetica e la propria Costituzione.
Lo scorso anno, inoltre, la Corte Distrettuale di Sendai aveva rigettato con le stesse motivazioni una richiesta di indennizzo di circa 585.000, avanzata da alcune anziane donne della prefettura di Miyagi.
Quest’ultimo e quello di Tokyo sono stati i soli due casi arrivati al giudizio tra i ventiquattro presentati a otto diversi Tribunali Distrettuali (venti donne e quattro uomini). Un’offensiva mirata a ottenere giustizia e visibilità che non si è fermata nemmeno dopo la decisione del Parlamento di Tokyo, che nell’aprile dello scorso anno aveva legiferato il diritto a un risarcimento di 26.200 euro per ciascun individuo sottoposto a sterilizzazione, al di là che fosse stato o meno consenziente. Non tutte e tutti, infatti, hanno accettato questa soluzione, preferendo ricorrere alle vie legali, «perché – come è stato dichiarato da uno dei loro legali – senza la richiesta di un equo compenso non ci potrà essere una soluzione soddisfacente della questione», individuata da alcuni come «una richiesta di scuse espresse con chiarezza dal Primo Ministro davanti alle vittime».
«Ci vorrà probabilmente tempo – si scrive sull’“Avvenire” – perché la giustizia faccia il suo corso, ma comunque le azioni legali hanno riaperto un dibattito che nell’ultimo ventennio ha conosciuto fasi alterne. Così, lo scorso giugno, le due Camere del Parlamento hanno deciso di avviare un’indagine congiunta sulle ragioni storiche della questione, senza però – ancora una volta – segnalare la volontà di individuare precise responsabilità politiche. Con un’altra mossa importante, quasi contemporaneamente la Federazione Giapponese della Scienza Medica ha deciso di ammettere la responsabilità di Associazioni di categoria e Accademici riguardo gli interventi e gli studi condotti nel periodo in cui la Legge sull’Eugenetica restò in vigore e potrebbe spingersi fino a scuse formali alle vittime. Una presa di posizione tardiva ma significativa, anche per il ruolo che hanno le 136 Associazioni parte della Federazione, fondata nel 1902 e che oggi coordina oltre un milione di medici, operatori sanitari e ricercatori».
Dopo avere quindi raccolto interviste a numerose vittime di sterilizzazione forzata e di Associati alla propria Federazione, la Commissione della stessa ha prodotto un rapporto in cui è arrivata alla conclusione che «medici e sanitari giocarono un ruolo non secondario nell’applicazione della Legge sull’Eugenetica e nella cappa di silenzio scesa per lungo tempo su queste pratiche, nonostante molti professionisti della salute abbiano nel tempo preso apertamente atto della necessità di tutelare i diritti umani».
Per questo, nel rapporto si indica come «profondamente ingiusto che medici e professionisti della Sanità siano stati coinvolti nell’istituzione dell’ex Legge sull’Eugenetica, che abbiano avuto un ruolo nel suo funzionamento e che abbiano ignorato i problemi emergenti dalla legge, nonostante la prevalenza dell’etica medica e dell’ideologia rispettosa dei diritti umani».
A evidenziare infine le zone d’ombra che permangono nella pratica medica del Giappone, il rapporto stesso segnala le problematiche connesse oggi all’ingegneria genetica, sottolineando come «sia importante esaminarle da diverse prospettive affinché non possano procedere in direzioni contrarie all’etica».
Trattando qualche tempo fa su queste stesse pagine il tema della sterilizzazione forzata in riferimento alle donne con disabilità, Simona Lancioni si era soffermata su una serie di «falsi miti che continuano a giustificare in troppe parti del mondo – e anche in Europa – una violazione dei diritti umani come la sterilizzazione forzata delle donne con disabilità». E tra i “falsi miti” Lancioni aveva citato narrazioni quali «per il bene della società, della comunità o della famiglia», perché «sono incapaci di essere madri», «per il bene di loro stesse», concludendo così: «Sono miti basati su pregiudizi ancora troppo radicati, perché le persone comuni – e talvolta le stesse persone con disabilità – si dispongano a metterli in discussione. Miti che, proprio per questo motivo, devono essere conosciuti. Perché anche da questi dobbiamo imparare a difenderci». Un concetto da tenere sempre a mente. (S.B.)
Ringraziamo Luisa Borgia per la segnalazione.
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