La cucina unisce: non è una novità. Ed è partendo da questo semplice teorema che nel 2017 a Londra è nato un progetto di integrazione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo che si basa appunto sul mondo del cibo. Coinvolge soprattutto donne che, a causa delle barriere legali, linguistiche e sociali, non riuscivanoa trovare un lavoro legale con cui mantenere se stesse e le proprie famiglie.
Donne lontane da casa, donne di diversi Paesi con competenze differenti, ma unite da un sapere universale: la cucina. Ecco la chiave che ha dato il la a Jess Thompson per lanciare Migrateful, coinvolgendo oltre 57 cuochi di moltissime etnie e nazioni, che danno appunto lezioni di cucina.
Ad oggi 850 lezioni a 8.500 partecipanti. Una di queste chef è Noor e viene dal Pakistan: «In questo gruppo – racconta – non siamo chiamati rifugiati o richiedenti asilo. Siamo persone, il che significa che otteniamo rispetto, amore e cura». Così invece l’iraniana Elahe: «Migrateful ci dà la sensazione di far parte di una famiglia, cosa che ci mancava mentre vivevamo nel Regno Unito da persone non integrate».
Ma non si tratta solo di “trovar loro” un impiego: il corso costa circa 35 sterline a persona e le chef vengono pagate 10, mentre il resto viene utilizzato per gli ingredienti, le attrezzature e le spese varie, compreso il viaggio. Migrateful, infatti, è uno strumento per creare cultura della diversità: dalla condivisione di tradizioni e culture differenti, dal lavorare a un progetto comune – ricette di Paese lontani – e dallo scambio di aiuto, parte un processo di cancellazione degli stereotipi. Ma soprattutto si scoprono le motivazioni che spingono queste persone a lasciare il proprio Paese.
Storie di povertà come quella di Lola che viene da Cuba: «Nel mio Paese ero una veterinaria. Parlo solo spagnolo a casa e non sono mai riuscita a imparare l’inglese. Ho 72 anni e vengo da una famiglia molto povera a Cuba, quindi apprezzo davvero ogni pasto che mangio. Uno dei miei piatti preferiti da insegnare si chiama Congrí che ha fagioli neri e riso bianco. Questo piatto celebra la diversità a Cuba, quando i bianchi e i neri si mescolano».
Oppure sono storie di soprusi, come per l’eritrea Helen Goitom: «Nel 2014 mi hanno costretta a entrare nell’esercito. Tutti nel mio paese dovevano aderire. Spesso non c’era cibo e acqua a sufficienza per i soldati. Quando mio padre si ammalò e finì in ospedale, non mi permisero di andarlo a trovare. Sono scappata per vederlo. Mi hanno preso e mi hanno messo in prigione dove ho trascorso sei mesi. Poi il figlio di mia zia ha pagato qualcuno per aiutarmi a scappare». Il resto è una fuga continua, prima in Sudan, poi in Turchia, in Grecia, poi in Italia, in Belgio. «In Belgio ci siamo intrufolati in dodici nel retro di un camion, l’autista dormiva, non si è accorto di noi. E il camion è arrivato nel Regno Unito!».
E anche storie di guerra, come per Majeda, un’attivista per i diritti umani dalla Siria, che lavorava come terapista per bambini quando è scoppiata la guerra nel 2011. «Ho organizzato un’iniziativa per nutrire le migliaia di siriani sfollati che stavano arrivando nella capitale, dopo che le loro case erano state bombardate dal governo siriano. Come risultato di questo attivismo, sono stato imprigionata dal regime. Alla fine sono riuscita a fuggire dalla Siria e ora uso il cibo per continuare la mia campagna in esilio. A dicembre 2017, ho ottenuto lo status di rifugiata nel Regno Unito».
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: hello@migrateful.org.
Articoli Correlati
- L'integrazione scolastica oggi "Una scuola, tante disabilità: dall'inserimento all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità". Questo il titolo dell'approfondita analisi prodotta da Filippo Furioso - docente e giudice onorario del Tribunale dei Minorenni piemontese…
- L'ONU e le persone con disabilità Si avvicina la sesta sessione di lavoro del Comitato incaricato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite di elaborare una Convenzione sulla Promozione e la Tutela dei Diritti e della Dignità delle Persone…
- Sordocecità, la rivoluzione inclusiva delle donne Julia Brace, Laura Bridgman, Helen Keller, Sabina Santilli. E poi Anne Sullivan. Le prime quattro erano donne sordocieche, la quinta era “soltanto” quasi completamente cieca, ma non si può parlare…