La marcia delle donne di Bophal

A ventun anni dalla tragedia in India del dicembre 1984, provocata da una fuga di gas tossico, le vittime sopravvissute non sono ancora state risarcite e soprattutto a Bophal l’acqua è ancora contaminata e perciò imbevibile. Il 20 febbraio settantacinque donne hanno lasciato la città e in segno di protesta marceranno ora per trentatré giorni

Foto di Raghu RaiNella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984 il gas tossico Mic (isocianato di metile) fuoriuscì da una fabbrica specializzata in pesticidi della multinazionale americana Union Carbide appena fuori dal centro di Bophal, antica città nel cuore dell’India. La nube (ben 40 tonnellate di gas letali) si spostò sopra il centro cittadino e provocò in poche ore la morte di molte migliaia di persone (secondo le stime governative tra le 16.000 e le 30.000 persone) e causò gravissimi danni alla salute a oltre 200.000 persone.
Si tratta della più grande tragedia industriale della storia, ma per questa vicenda l’Union Carbide non è mai stata processata perché la catastrofe è avvenuta fuori dal territorio statunitense. Nel 1999 una multinazionale francese ne acquistò il pacchetto azionario e ora quella società non esiste più.

Oggi, a ventun anni di distanza, l’interesse della comunità internazionale, sia dal punto di vista politico che dell’informazione, è praticamente assente e per questo, diciassette anni dopo la prima marcia, tornano in strada le donne di Bophal che in questi giorni stanno marciando in settantacinque per attraversare l’India fino alla capitale Nuova Delhi, dove vogliono protestare di fronte al Governo per ottenere che almeno l’acqua della città torni ad essere potabile.

Ancor oggi – va ricordato – molte sono le persone rimaste gravemente malate e disabili a seguito di quanto avvenuto nel 1984
(B.P.)

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