Prima del secondo lockdown, causato dalla seconda ondata di Covid-19 in Italia, tra i soci dell’AITA Piemonte (Associazioni Italiane Afasici) vi erano diverse occasioni di incontro. Un pranzo condiviso, una visita ad una mostra in un museo torinese, la partecipazione ad un laboratorio artistico con Rosaria o con Valentina, gli auguri per Natale, la partecipazione ai congressi, la condivisione degli spettacoli della compagnia teatrale Babel o dei documentari realizzati da alcuni soci con l’Università di Torino, gli incontri di logopedia di Angelica, la Giornata dell’Afasia ad ottobre con gli scambi di piantine colorate e la voglia di stare insieme. Ognuno di noi conosceva il nome e il cognome dell’altro e a grandi linee la storia dell’ictus di ciascuno. A grandi linee, appunto.
La pandemia è un male assoluto, senza se e senza ma. Mina la salute fisica e quella psichica, mina la nostra libertà di progettare la vita, mina la struttura economica del mondo intero, così come la conosciamo dalla Rivoluzione Industriale. Eppure, anche in una situazione così estrema, si possono trovare raggi di luce.
Un raggio di luce per me è stato rappresentato dai nostri incontri sulla piattaforma Zoom. L’AITA Piemonte, infatti, grazie a una brillante idea di Valentina Borsella, socia e segretaria, ha proposto ai propri soci di ritrovarsi su Zoom per tre volte alla settimana, “solo per parlare”, al fine di tenerci compagnia nelle lunghe giornate casalinghe.
Gli appuntamenti si sono ben presto trasformati in veri e propri incontri in cui ognuno ha raccontato qualcosa di sé, del suo passato, della sua famiglia d’origine, svelando storie interessantissime e a tutti noi sconosciute: abbiamo visto foto d’epoca, che raccontano usi e costumi di un tempo passato.
Sarà la solitudine che regna nelle nostre case, sarà che tra ciascuno di noi e gli altri c’è uno schermo, sarà che abbiamo voglia di raccontarci e di ascoltarci, sarà quel che sarà, ogni volta ascoltiamo storie di vita delle nostre famiglie che lasciano nel nostro cuore immagini preziose.
Tullio, zio di Annalisa, giovane partigiano durante la seconda guerra mondiale, una notte in un paesino dell’Astigiano si rifugia in un pagliaio per sfuggire a una retata e la mattina esce vivo e pelato. La paura gli aveva fatto perdere tutti i suoi bellissimi capelli biondi, quei capelli biondi che oggi ha Greta, figlia di Annalisa e Andrea.
Con zio Tullio, Annalisa ha iniziato ad amare la montagna. Tullio è sopravvissuto alla guerra, alla Resistenza e ha insegnato ad Annalisa a resistere alla fatica.
Annalisa è una donna resiliente: troppo giovane è stata colpita dall’ictus, ma vive la sua vita di donna e di madre in modo coraggioso. Aspettiamo altre sue storie.
Claudia, “un kilo di voglia di vivere”, ci ha raccontato della tragica morte del padre, a Fiume, anno 1944, ad opera di un cecchino partigiano, un padre che stava correndo a casa per assistere la moglie nel parto. Nei mesi successivi la mamma portava in giro Claudia dentro una scatola di cartone, coperta con un cuscino, tanto la nostra Claudia era piccola, sana, ma piccola. Un kilo, appunto, di voglia di vivere.
Anche Claudia è una donna resiliente, sopravvissuta all’esilio, ai campi profughi, alla fame, al freddo, è diventata una donna forte e coraggiosa. E anche Claudia ha ancora molto da raccontarci.
Vittorio ci legge la sua storia a puntate, storia scritta durante il primo lockdown per la sua famiglia. Ho negli occhi le galline che vivevano nell’appartamento in Piazza Bernini a Torino, oggi sede dell’ISEF, ieri sede di un cinema. Le galline ogni tanto volavano giù e sua mamma le andava a riprendere. Con lui stiamo ripassando i lavori scomparsi, quelli che coinvolgevano tutti i contadini in campagna e rivivendo gli anni delle grandi trasformazioni in Italia.
Anche Marzio ci sta raccontando la sua interessantissima vita a puntate. Un piccolo bimbo, nato ad Addis Abeba durante la seconda guerra mondiale, che a un anno e un mese imparò a camminare sulla nave Giulio Cesare (le “navi bianche”) che lo riportava in Italia circumnavigando l’Africa.
Franco ci ha portato nella Cascina San Lorenzo di Racconigi (Cuneo), dove vivevano le famiglie dei suoi genitori. Ci ha mostrato una foto bellissima, del nonno che mungeva le vacche. Una foto rara per quei tempi.
Da parte mia anch’io ho letto una lettera scritta da mio padre da Fano (Pesaro-Urbino) nel gennaio del 1940 a mia madre, facendo commuovere i presenti per la dolcezza e la gentilezza con cui egli, orfano di entrambi i genitori, morti durante la pandemia del 1918, si preoccupava per lei, lui che era pronto per la guerra.
E ancora i racconti di Antonietta e di Pino, le bellissime foto e i disegni di Caterina ci hanno spinto a raccontare anche noi attraverso le nostre foto. Racconti per immagini. E ogni tanto anche Pierluigi si affaccia nel video per ascoltare i suoi amici.
Tutte queste storie stanno cementando le nostre amicizie.
Promotrice del blog “Lo racconto proprio a te”. Socia dell’AITA Piemonte (Associazioni Italiane Afasici).
L’afasia
Si tratta di una forma di disabilità che subentra in seguito a ictus, emorragia cerebrale o trauma cranico, colpendo la sfera del linguaggio parlato, compreso, letto e scritto, senza però che le lesioni subite alterino l’intelligenza e la sfera emotiva. Spesso le persone che ne sono affette letteralmente “scompaiono” a livello sociale e relazionale.
La Federazione AITA (Associazioni Italiane Afasici)
Non ha scopi di lucro, ed è stata costituita sulla spinta delle sollecitazioni giunte da persone afasiche, da loro familiari e da professionisti (neurologi, psicologi, logopedisti, terapisti della riabilitazione) e volontari impegnati nella cura della persona afasica.
Le componenti locali della Federazione riguardano oggi tredici Regioni del nostro Paese (Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto).
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