Questa scuola che “gioca in difesa”: più buoni propositi che buone prassi?

Intervista di Antonio Giuseppe Malafarina a Grazia Biscotti*
«Mi assumo la responsabilità - scrive Antonio Giuseppe Malafarina - di affermare che la scuola funziona peggio di quando mi sono diplomato io, nel 1996. Ma cosa dice la professoressa Grazia Biscotti con cui ho fatto la maturità, a casa?». «La scuola oggi – sostiene la docente - “gioca in difesa”, cerca soprattutto di salvaguardare il suo operare. Oggi gli insegnanti di sostegno si accontentano, frequentemente, di essere insegnanti che fanno ripetizioni al “loro” alunno disabile. E complice di questa deriva è la ridotta formazione sia dei docenti curricolari che di quelli di sostegno»
Disegno sul sostegno
Disegno di una bimba con alcuni bambini e bambine e e un’insegnante di sostegno

Mi assumo la responsabilità di affermare che la scuola funziona peggio di quando mi sono diplomato io, nel 1996. Per amore di attendibilità, però, sto a sentire cosa dice la professoressa Grazia Biscotti. Con lei ho fatto la maturità, a casa. Anche l’esame scritto, all’epoca evento innaturale cui devo il merito a una preside straordinaria.
Prima di dare la parola a Grazia un preambolo: spero di intervistare presto anche la preside di quegli anni di quell’istituto a un’ora di viaggio da me. Il Provveditorato mi aveva catapultato nel “malfamato” quartiere milanese di Quarto Oggiaro perché lì c’era la scuola di riferimento per gli studenti milanesi del tempo. I luoghi comuni vivono di eccezioni.
Ecco chi è Grazia: «Mi chiamo Grazia Biscotti e da ben 28 anni sono docente di sostegno in un istituto d’istruzione superiore di Milano. È una scuola che ha una grande tradizione di accoglienza e inclusione. Una straordinaria scuola che vive e insegna a vivere con le differenze, che fa sentire ogni persona parte del tutto, appartenente all’ambiente che vive quotidianamente nel rispetto della propria individualità. Svolgo una professione che mi piace molto. Mi considero fortunata, perché ho l’occasione di relazionarmi con ragazzi speciali che mi insegnano tanto: sono io che spesso apprendo dai miei alunni e torno carica di valori ed emozioni che non mi fanno rimpiangere un lavoro diverso».

Grazia, che ricordo hai della nostra maturità?
«Era la mia prima maturità come docente di sostegno. Uno dei miei tanti momenti importanti che mi ha regalato un’esperienza forte e bella. Ricordo che in quel periodo non stavi bene e la scuola, per garantire il tuo diritto allo studio e la possibilità di farti sostenere la maturità, ha richiesto alla Commissione di far svolgere le prove scritte presso il tuo domicilio. Così io, con altri due membri della Commissione, ci siamo recati a casa tua. Avevi la febbre quella mattina, mi hai dettato il compito di economia aziendale in modo esaustivo e completo.
La tua maturità ci ha dato la possibilità di applicare ciò che la Legge 104/92 aveva sancito: norme e buone prassi, ove ogni studente in relazione alla sua manifesta difficoltà trovi la giusta risposta».

Com’era la scuola di allora?
«Risentiva fortemente dell’attenzione politico-sociale che allora c’era sulla tematica della disabilità, freschi com’eravamo della nuovissima Legge 104. Oggi si parla di inclusione come uno dei capisaldi della scuola italiana, ma spesso si tratta più di buoni propositi che di buone prassi. In altri termini, anche grazie al clima sociale più aperto e maggiormente disponibile al cambiamento, nonché alla collaborazione, si potevano realizzare operazioni di inclusione scolastica di gran lunga più significative di quelle di oggi».

Oggi che succede?
«Molte iniziative di valore integrante spesso risultano poco proficue sul piano pratico. Con il nuovo secolo sono stati introdotti aspetti come il rispetto della privacy e della sicurezza che spesso diventano vere e proprie barriere nel realizzare alcuni progetti, ovvero rendono quantomeno l’iter di completamento di un progetto più lento e farraginoso».

Ma cos’è successo in questi venticinque anni?
«Sì è più prudenti, si ha più paura di fare, si teme maggiormente di sbagliare. Si è meno disponibili a rischiare. Il buon senso, che spesso in passato guidava il nostro operare da pionieri dell’integrazione scolastica, ha lasciato il posto a rigide procedure, che spesso rallentano il pieno sviluppo inclusivo. Molti Dirigenti Scolastici oggi sono più preoccupati della sicurezza, di cui si risponde in prima persona in quanto datore di lavoro, che della componente didattico-educativa. L’inclusione tanto agognata e declamata, di fatto diventa quasi una chimera. O meglio, ciò che si realizza ha minore aspetto qualitativo rispetto al passato».

Ovvero, com’è la scuola adesso?
«È un’istituzione che arranca. È un apparato appesantito da procedure e un’infinità di documenti da compilare che di fatto impegnano le energie mentali dei docenti (i Consigli di Classe devono dedicare molto più tempo a compilare scartoffie, in quanto l’aspetto più importante diventa tutelarsi da potenziali ricorsi). La scuola oggi “gioca in difesa”, cerca soprattutto di salvaguardare il suo operare. Gli insegnanti di sostegno osavano di più in passato. Oggi si accontentano, frequentemente, di essere insegnanti che fanno ripetizioni al “loro” alunno disabile.
Complice di questa progressiva deriva dell’inclusione scolastica è la ridotta formazione sia dei docenti curricolari che dei docenti di sostegno. Inoltre circa metà dei docenti di sostegno sono precari e non hanno alcuna specializzazione».

Cosa vuol dire essere insegnanti di sostegno?
«Essere un insegnante di sostegno non può essere una scelta dettata solo da una vocazione sociale. È fondamentale possedere delle competenze specifiche atte a realizzare quegli obiettivi che le potenzialità dell’alunno ci permettono di prefissare. Servono competenze fondate su una seria preparazione e su un continuo aggiornamento».

E tu, sei cambiata?
«Dall’iniziale forte motivazione intrinseca si sta progressivamente passando al disincanto, se non all’amarezza per quanto si potrebbe fare e per quanto poco si sta facendo pragmaticamente.
L’insegnante di sostegno è sempre più schiacciato a un ruolo secondario, svilente. Se le cose con lo studente disabile vanno bene, sono bravi i docenti curriculari, se le cose vanno male è l’insegnante di sostegno che non è all’altezza e che a tutt’oggi è considerato un “docente di serie B”».

La scuola è fatta di persone. Venticinque anni fa c’erano un entusiasmo e una competenza che oggi sembrano dissolti nella corsa al rispetto della burocrazia. Da realista fiducioso voglio sperare che le persone prevalgano sulle scartoffie.

Il presente servizio è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Dov’è l’entusiasmo della scuola di un quarto di secolo fa?”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione. Grazia Biscotti è insegnante di sostegno.

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