Qualche mese fa avevamo ampiamente presentato il libro I rifugiati e i richiedenti asilo con disabilità in Italia, curato nell’àmbito della collana “Minority Reports” da Giampiero Griffo, coordinatore del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, nonché presidente di DPI Italia (Disabled Peoples’ International) e da Lavinia D’Errico, ricercatrice del CeRC (Centre for Governmentality and Disability Studies “Robert Castel”) dell’Università napoletana Suor Orsola Benincasa.
Scaricabile in modo pressoché gratuito in vari formati accessibili (a questo link), il volume costituisce la prima opera organica in italiano sulla condizione delle persone migranti con disabilità, che vivono quasi sempre una situazione di vera e propria “invisibilità”, sia da parte dei Servizi e delle Associazioni che si occupano di migranti, sia dalle Associazioni di persone con disabilità.
Ne parliamo con la coautrice Lavinia D’Errico.
I rifugiati e i richiedenti asilo con disabilità prende le mosse dal progetto europeo AMID (Access to Services for Migrants with Disabilities), ritenuto una delle buone pratiche in questo settore. Di cosa si tratta esattamente?
«Il progetto AMID, finanziato dalla Commissione Europea, si è svolto nel periodo gennaio 2018-dicembre 2019. Si è trattato del primo progetto europeo sul tema dei migranti e richiedenti asilo con disabilità, nato dalla constatazione dell’assoluta mancanza di dati e informazioni sul tema. Capofila ne è stata l’EASPD (European Association of Service Providers for Persons with Disabilities), che ha sede a Bruxelles, e come partner europei abbiamo avuto l’AER (Assembly of European Regions), l’EDF (Forum Europeo sulla Disabilità) e Solidar. I partner nazionali sono stati per l’Austria Chance B Gruppe, per Cipro Cardet, per la Grecia Praksis e il National Centre for Persons with Disabilities e per la Finlandia Kehitysvammaisten Palvelusaatio. L’Italia è stata rappresentata da DPI Italia e dall’ARCI Nazionale. Mi fa piacere, infatti, ricordare tutti i partner e le persone con cui abbiamo condiviso questa esperienza, che per gli effetti del distanziamento dovuti al Covid 19 sembra ora appartenere a un’altra epoca.
Oltre all’elaborazione del rapporto nazionale, l’obiettivo è stato l’attivazione del NAT (Needs Assessment Tool), un questionario online ideato per essere strumento di valutazione dei diritti/bisogni dei migranti con disabilità e finalizzato a raccogliere dati e informazioni su queste persone. Il NAT è stato elaborato con l’obiettivo di sostenere le organizzazioni non governative, le autorità locali e i professionisti, nella valutazione e nel sostegno con adeguate risposte a migranti e rifugiati con disabilità in tutta l’Unione Europea. I dati del questionario sono stati compilati da chi opera nel settore, per istituire una banca dati europea con le informazioni relative a tali migranti.
Nel corso dunque dello svolgimento del progetto sono stati organizzati moduli di orientamento e workshop per l’applicazione concreta del NAT e per il trasferimento di abilità e competenze tra il personale che lavora con i migranti e persone con disabilità; sono stati inoltre organizzati meeting specifici per accordare il NAT stesso con le autorità locali europee e creare un’attività di cooperazione permanente tra le organizzazioni non governative, le autorità locali stesse e le agenzie dell’Unione Europea, oltre a consentire il trasferimento dei risultati del progetto in Europa.
Il 5 novembre 2019, a Bruxelles, nella Conferenza Europea finale del progetto, è stato proposto di inserire nella revisione della Strategia Europea per i Diritti delle Persone con Disabilità il tema dei migranti con disabilità nell’Unione Europea. L’iniziativa è stata fortemente supportata da DPI insieme all’EDF e ha avuto effettivamente il risultato – come si evince dalla Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, denominata Un’Unione dell’uguaglianza: Strategia per i Diritti delle Persone con Disabilità 2021-2030 – di mettere in rilievo la necessità di rivolgere attenzione ai migranti con disabilità, garantendo loro sicurezza e benessere, nonché ai richiedenti e ai beneficiari di protezione internazionale, compresi i minori con disabilità, che non sono sempre protetti nei Centri di Accoglienza o in altre strutture che li ospitano, sottolineando che situazioni d’emergenza quali inondazioni e terremoti aggravano le vulnerabilità esistenti, rendendo così più difficile il recupero da tali eventi per i gruppi svantaggiati, anche in considerazione del fatto che le questioni relative all’uguaglianza e all’accessibilità in caso di catastrofi sono spesso trascurate nei piani di emergenza esistenti e nell’assistenza della Protezione Civile».
Uno dei capitoli del libro, da lei curato personalmente, riguarda le Buone pratiche. Può esporcene qualche esempio?
«L’elenco delle buone pratiche emerse nel periodo di svolgimento della ricerca risulta essere molto limitato. Il riscontro ottenuto riguarda in pratica due buone pratiche dell’organizzazione della società civile e due delle istituzioni pubbliche: una Regione e un Comune.
I riferimenti hanno riguardato il progetto FOCSIV-Volontari nel mondo, che ha svolto azioni mirate a sensibilizzare la popolazione del territorio della Provincia di Como, coinvolgendo oltre duemila persone sui temi dell’integrazione e della cittadinanza mondiale e offrendo un contributo alla crescita di cittadini consapevoli in materia di disabilità e stili di vita equi e solidali, guardando anche agli studenti e agli educatori/insegnanti delle scuole del territorio. Il tutto rafforzando lo scambio delle buone pratiche stabilite dai Gruppi di Animazione OVCI presenti sul territorio nazionale, ovvero Bosisio Parini (lecco), Cava de’ Tirreni (Salerno), Como, Conegliano Veneto (Treviso), Ponte Lambro (Como) e Ostuni (Brindisi).
Per raggiungere gli obiettivi, sono stati organizzati incontri approfonditi su immigrazione e disabilità, tenuti da migranti e/o esperti; è stato predisposto materiale e sono stati pubblicizzati gli incontri attraverso internet e la stampa locale; e ancora, la popolazione del territorio è stata sensibilizzata sui temi della migrazione, della disabilità e della cittadinanza mondiale anche attraverso la creazione di una mostra creata dai bambini della scuola locale (Festa dei Popoli).
Abbiamo poi registrato l’esperienza dei Centri di Documentazione del programma regionale per l’integrazione delle persone con disabilità del Comune di Bologna (Settore dell’Istruzione; RiEsco-Centro di Servizi e Consulenza per Risorse Educative e Scolastiche, LDF-Training Documentation Laboratory; Comune di Ferrara: IS-Istituzione di Servizi Educativi per Scuole e Famiglie; CDH-Centro Documentazione Handicap Cooperativa Accaparlante; CDI-Centro di Documentazione per l’Integrazione), iniziativa che ha codificato l’impegno dei quattro Centri della Rete Regionale del Centro di Documentazione per l’Integrazione sul tema del fenomeno migratorio e della crescente presenza nei servizi educativi, scolastici e sanitari di bambini e bambine con disabilità, figli e figlie di migranti.
La Regione Emilia Romagna sostiene, promuove e coordina i Centri di Documentazione per l’Integrazione, come una struttura di rete organica avvalendosi della collaborazione della Rete nell’àmbito di attività e progetti che incoraggiano contributi in sondaggi e ricerca. La ricerca è supportata come Rete di Centri, mettendo in atto canali specifici e aree peculiari di intervento, quali informazioni, documentazione, legame tra servizi territoriali e capacità di essere punti di riferimento per i processi culturali di integrazione/inclusione. È questo un impegno radicato nella storia dei Centri stessi, intesi come strutture che operano a fini di informazione, formazione, ricerca e documentazione sulle esperienze di integrazione delle persone con disabilità nelle scuole, nella formazione professionale, nel lavoro e nella società; luoghi per l’incontro e il collegamento di diverse professioni e in cui tutte le conoscenze (di persone con disabilità, famiglie, educatori e operatori) vengono ricevute per migliorarle e incoraggiare scambi e progetti che coinvolgono più interlocutori del territorio; punti di riferimento, quindi, per una pratica di formazione permanente svolta in collaborazione con Enti e Associazioni, coinvolti in questo settore.
I Centri, pertanto, come spazi di osservazione di bisogni emergenti nelle realtà territoriali in cui si trovano, come ricettori delle voci dei protagonisti. Proprio da Istituzioni quali le scuole, i servizi di neuropsichiatria, i servizi sociali per minori e adulti, dalle persone singole (familiari di persone con disabilità, insegnanti e partecipanti di Associazioni), così come da quanti frequentano i Centri, sono emerse sollecitazioni rispetto alla presenza di persone straniere.
Particolare rilievo merita poi il progetto del Comune di Torino, denominato Prisma – Per le Relazioni d’Aiuto, in cui si inserisce il servizio Disabilità e immigrazione. Questa iniziativa è nata nel 2007 dalla collaborazione del Passepartout Service (Interventi di Coordinamento e Servizi Integrati per la Disabilità fisico-motoria della Città di Torino) con l’Associazione Verba, con l’obiettivo di promuovere l’integrazione di servizi rivolti alle persone con disabilità attraverso la complementarietà delle attività svolte facendo volontariato, con gli obiettivi generali perseguiti dalla Pubblica Amministrazione. Lo SDI (Servizio Disabilità e Immigrazione) nasce quindi dalla consapevolezza della necessità di supporto per le persone migranti con disabilità che, anche se informate di alcune questioni tecniche e burocratiche, spesso non dispongono degli strumenti cognitivi, emotivi, linguistici e culturali per utilizzarle nel migliore dei modi; utilizza pertanto strumenti a diretto contatto con l’utente e quindi ascolto attivo, accompagnamento, relazione educativa e peer education [“educazione alla pari”, N.d.R.], e strumenti usati nel lavoro di strategia e pianificazione. La rete su cui opera lo SDI è costituita da organismi in grado di fornire servizi, quali cooperative, associazioni di volontariato o servizi pubblici. Esso fornisce alla persona gli strumenti per orientarsi sul territorio attraverso un percorso che le consente di sviluppare autonomia nelle scelte. In tal senso, vengono attivati corsi di accompagnamento che permettono un approccio graduale al corpo e che aiutano la persona a integrarsi nella nuova realtà, a comprendere le regole e il contesto, a superare eventuali equivoci. Altri esempi di accompagnamento includono appuntamenti sporadici con Enti Pubblici, come la Stazione di Polizia o l’Ufficio del Registro oppure esami medici presso l’ospedale o altre visite ambulatoriali. Si tratta di un accompagnamento fondamentale per la mediazione tra l’utente e i soggetti con cui entrerà in contatto, che non hanno il tempo di sviluppare relazioni durature le quali garantiscano spazi di comprensione reciproca; quindi è necessario supportare l’utente, sia dal punto di vista linguistico che culturale, in modo tale che entri in contatto positivo con i soggetti e con le entità a cui è indirizzato».
In ogni caso l’Italia, in tale àmbito, sembra comunque essere all’avanguardia, se così si può dire, rispetto ad altri Paesi e anche nei confronti dell’Unione Europea. Come dovrebbe muoversi quest’ultima, a suo parere?
«Riuscire a incrementare dati sul fenomeno e monitoraggio potrà senz’altro garantire maggiori politiche di intervento adeguate e strumenti di lavoro. Servirà a indirizzare politiche accessibili che possano funzionare per ogni stadio del processo migratorio, coinvolgendo la società civile, le istituzioni educative, i datori di lavoro e le parti socio-economiche, nonché le comunità religiose, le organizzazioni della diaspora e i migranti stessi, attraverso azioni a supporto di un’effettiva integrazione e inclusione, trasversali ad aree di azione quali l’istruzione e la formazione, il lavoro, la salute e la casa».
In varie storie di persone straniere con disabilità, apparse nel quadro del progetto Disabilità: la discriminazione non si somma, si moltiplica, promosso dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), si è potuto notare un tratto comune, ovvero che le maggiori difficoltà per quelle persone, più ancora di quelle relative a un’accoglienza “tiepida”, derivano dagli scogli burocratici, a partire dagli ostacoli incontrati per il riconoscimento dell’invalidità. È un dato riscontrato anche nel vostro lavoro?
«All’interno delle traiettorie di vita che ho potuto incrociare – rompendo la diffidenza delle persone che spesso costituisce un muro – ho riscontrato che le persone migranti con disabilità non ricevono, prima del loro arrivo, una formazione sui loro diritti di migranti né di persone con disabilità. Questo elemento rappresenta certamente un primo nodo; il secondo è quello dei contesti impreparati ad accogliere le persone, a fornire le informazioni che possano garantire l’esigibilità dei diritti, la descrizione di supporti e sostegni. Spesso è l’incontro con Associazioni di persone con disabilità impegnate su temi di libertà e uguaglianza, diritto alla salute, inclusione sociale, preparate a fornire informazioni, a dare il supporto necessario ad affrontare gli ostacoli burocratici».
C’è un reale interesse all’interno del mondo accademico per questi temi? E cosa potrebbero e dovrebbero fare le Università per stimolare il dibattito e arrivare a qualche risultato concreto?
«Il mondo accademico ha cominciato a rivolgere attenzione al tema da qualche anno. Posso citare senz’altro il lavoro del CeRC (Centre for Governmentality and Disability Studies “Robert Castel”) dell’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa, primo ad accoglierlo tra le sue linee di ricerca in maniera organica, da un punto di vista della riflessione sociologica, antropologica, filosofico-politica e ad aprire il dibattito in collaborazione con Atypicalab for Cultural Disability Studies dell’Università della Calabria.
Un primo importante momento di divulgazione del tema si è avuto con il convegno Migranti con disabilità e vulnerabilità. Rappresentazioni, politiche, diritti, organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara nel novembre 2018. Recentemente, poi, l’Università per Stranieri di Perugia ha istituito un laboratorio sulla conoscenza del fenomeno all’interno del corso per Mediatori Interculturali e l’Università di Macerata ha voluto fortemente che se ne discutesse con gli studenti all’interno della Settimana dell’Inclusione organizzata dall’Ateneo. Infine, un’azione pratica oltre che teorica viene offerta dal lavoro del Gruppo ADIR (L’altro diritto) dell’Università di Firenze.
Direi quindi che, oltre al dibattito tra gli studiosi, cominciare a fornire ai giovani studenti in formazione le lenti per osservare il fenomeno nelle sue sfaccettature consente di renderlo visibile e inserirlo nel dibattito pubblico».
Per quanto riguarda poi il mondo delle Associazioni di persone con disabilità, purtroppo non sembra che l’interesse per questi temi sia ancora tra le priorità. Al di là infatti del progetto della Federazione FISH di cui si è detto, non vengono alla mente molte altre azioni significative. E anche quando «Superando.it» affronta questi temi, l’accoglienza dei Lettori e delle Lettrici è spesso “tiepida”, o addirittura può portare a commenti tipo “hanno già abbastanza problemi le persone italiane con disabilità…”. Come “smuovere” dunque questa situazione e come potrebbero e dovrebbero muoversi le Associazioni di persone con disabilità, per rendere più visibile il tema?
«Certo, è sconcertante proiettarsi in questo frequente comune sentire: “Hanno già abbastanza problemi le persone italiane con disabilità…”. Questo è un pensiero che comporta nella pratica un azzeramento di altruismo e solidarietà, concorrendo a stratificare marginalizzazione e invisibilizzazione.
La questione, in questi casi, è culturale. Ampliare lo sguardo sul fenomeno, studiarlo, comprenderlo è un modo per contrastare la sua invisibilità insieme al lavoro delle Associazioni delle persone con disabilità, che dovrebbe proseguire nella direzione della diffusione della conoscenza e nel raccordo con la rete delle Associazioni territoriali che si occupano dei migranti, per stabilire azioni comuni riguardanti questo aspetto, adoperandosi, anche attraverso l’organizzazione di sessioni di gruppo, per fare formazione sui diritti delle persone con disabilità, sui trattamenti appropriati, portando questi aspetti all’interno dei centri di prima e seconda accoglienza». (Stefano Borgato)
Ricercatrice del CeRC (Centre for Governmentality and Disability Studies “Robert Castel”) dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli; coautrice del libro I rifugiati e i richiedenti asilo con disabilità in Italia.
Nei prossimi mesi sono previste nuove presentazioni, in diverse città d’Italia, del libro I rifugiati e i richiedenti asilo con disabilità in Italia. Gli interessati possono scrivere a minorityreports@unisob.na.it.
Articoli Correlati
- «Minority Reports», ovvero “una sintassi per il grido” È stato presentato a Napoli «Minority Reports - Cultural Disability Studies», interessante progetto editoriale di carattere internazionale, che mette al centro il punto di vista di fasce di cittadini discriminati…
- I rifugiati e i richiedenti asilo con disabilità in Italia Vivono una condizione di “invisibilità”, sia nei confronti dei Servizi e delle Associazioni che si occupano di migranti, sia da parte delle organizzazioni di persone con disabilità: sono i rifugiati…
- «Minority Reports» ovvero “Rapporti di minoranza” Si chiama «Minority Reports - Cultural Disability Studies» - con esplicita ispirazione a un racconto di fantascienza da cui è stato tratto anche un noto film - ha carattere internazionale…