Quale formazione possibile per le assistenti familiari?

di Donata Scannavini*
«Perché - chiede e si chiede Donata Scannavini - se per tutti i lavori è richiesta una formazione, per il lavoro di badanti che si svolge con persone fragili e che io preferisco chiamare assistenti familiari, questo non avviene? Infatti, Il rapporto tra persone con disabilità e assistenti familiari può essere complesso: ostacoli linguistici, scarsa conoscenza delle problematiche relative alla disabilità richiederebbero (anche) formazione e competenza per superare i possibili problemi quotidiani»

Assistente familiare e persona con disabilità in carrozzinaDopo una lunga esperienza di convivenza con badanti o, come preferisco chiamarle, assistenti familiari, vorrei fare alcune riflessioni e porre l’attenzione su alcuni nodi problematici, non certo con la pretesa di giungere a delle soluzioni, ma con l’obiettivo di avviare una discussione che possa far scaturire idee e proposte.

Il fenomeno delle badanti quali assistenti di persone fragili, in particolare anziani e persone con disabilità, si è affermato negli ultimi decenni, quando la domanda di assistenza ha incrociato l’offerta di persone, per lo più donne, provenienti da Paesi stranieri in cerca di un futuro e di una vita migliore. Se in passato l’istituzionalizzazione era spesso l’unica soluzione possibile per coloro che avevano un significativo bisogno di assistenza, adesso è concreta la possibilità di rimanere nella propria abitazione godendo dell’assistenza personale.
Questo significa poter crearsi una vita autonoma rispetto alla propria famiglia d’origine e, come nel mio caso, poter formare la propria famiglia: sono una persona con disabilità e vivo con mio marito, mia figlia e con un’assistente familiare che ci aiuta nella gestione della casa e della nostra vita quotidiana. Se questo è senza dubbio molto positivo, non è esente da problemi e da fatiche quotidiane che talvolta risultano molto pesanti.

Tralasciando i problemi logistici e di natura economica, desidero porre l’attenzione sugli aspetti relazionali che riguardano la convivenza, i rapporti personali che si instaurano tra l’assistente e l’assistito. Quando il bisogno di assistenza è elevato, la convivenza è molto stretta e sorge il bisogno di conciliare abitudini, carattere, modi di vivere dell’assistente e dell’assistito. A complicare il tutto, le difficoltà di comunicazione e comprensione, soprattutto se l’assistito ha problemi di linguaggio e l’assistente non padroneggia bene la lingua italiana: in casi come questo, risulta più facile arroccarsi sulle proprie posizioni, rinunciando persino a capire e dialogare con l’altro.
Ma se le difficoltà caratteriali, personali, possono essere risolte solo dalle singole persone coinvolte nella relazione, c’è un aspetto sul quale si potrebbe intervenire ed è il vero nodo sul quale mi preme porre l’attenzione: la preparazione, la formazione delle badanti.

Spesso gli assistenti familiari non solo hanno problemi a comprendere correttamente e parlare l’italiano, ma non conoscono il mondo della disabilità, i vari tipi di disabilità che esigono approcci e cure differenti. Si trovano catapultate in una realtà che non conoscono e che – legittimamente – le può spaventare. C’è chi riesce ad assumere un atteggiamento positivo per cui si predispone alla comprensione della situazione che deve affrontare con spirito di collaborazione ed è disposta a imparare e confrontarsi. C’è chi invece si irrigidisce e si arrocca sulle proprie posizioni, frutto di un presunto sapere che non possiede e si chiude al dialogo. Allo stesso tempo, anche la persona con disabilità deve fare uno sforzo per venire incontro alle esigenze dell’assistente e cercare di creare un clima di empatia e collaborazione.

Questa mancanza di comunicazione genera frustrazione, tensione nel rapporto con la badante, complicando ulteriormente la convivenza. Quello che personalmente mi ha sempre creato maggior disagio è l’incapacità da parte di molti assistenti familiari di capire qual è il nostro livello di autonomia e di conseguenza il tipo di assistenza di cui abbiamo bisogno. Càpita così che la persona con disabilità non riceva aiuto laddove ne ha bisogno oppure, più frequentemente, che l’assistente tenda ad assumere ruoli e funzioni che non gli/le competono perché la persona che assistono è in grado di esercitarle.
La mia esperienza mi porta a farmi una domanda: perché se per tutti i lavori è richiesta una formazione, per il lavoro di badanti che si svolge con persone fragili questo non avviene? Probabilmente la risposta sta nella genesi stessa del fenomeno “badanti”, frutto dell’incontro tra domanda di assistenza e offerta di persone in cerca di occupazione immediata, persone che devono anche trovare una collocazione abitativa, che in definitiva non possono permettersi il lusso di un percorso formativo.

Possiamo dire che quella di badanti è una professione nata sul campo, senza una sorta di teoria e di pensiero che la precedesse e la formasse. Oggi corsi di formazioni per badanti e assistenti familiari ci sono. La mia esperienza personale, però, mi fa ipotizzare che la frequenza di tali corsi fra le badanti non sia molto diffusa, probabilmente anche per problemi economici. La formazione è un investimento sul proprio futuro personale e professionale che non tutti si possono permettere.
Forse bisognerebbe pensare a modalità di formazione alternative o quanto meno avviare una riflessione; se non è possibile attuare a un percorso formativo classico, si potrebbero ipotizzare forme di tutoraggio, di supporto sul campo. O ancora organizzare corsi brevi, gruppi di confronto e sostegno.

Mi rendo conto che qualunque proposta comporterebbe un’infinità di problemi e questioni: chi organizzerebbe questi momenti formativi? Chi li finanzierebbe? Le badanti stesse sarebbero disposte a impiegare parte del loro tempo, spesso poco e prezioso? Si potrebbe rendere questo tipo di formazione obbligatoria, se si viole lavorare?
Questi sono solo alcuni dei nodi che mi vengono in mente; di sicuro ce ne saranno altri; ritengo comunque opportuno iniziare a porre attenzione al problema, a discutere, a capire se anche altre persone hanno rilevato questa mancanza nel rapporto con le badanti loro o dei loro familiari e a ipotizzare delle possibili soluzioni.

Scrittrice, laureata in Pedagogia, persona con disabilità, ha collaborato con varie realtà del no profit milanese ed è attualmente presidente dell’associazione Amalo (Auto Mutuo Aiuto Lombardia). Il presente contributo è già apparso nel sito «Persone con disabilità.it» e viene qui ripreso, con minime modifiche dovute al diverso contesto, per gentile concessione.

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