In ambito di infortuni sul lavoro nel 2011 – secondo le stime preliminari dell’INAIL -, le 726.000 denunce pervenute all’INAIL stesso fanno registrare «una flessione del 6,4%, maggiore rispetto all’anno precedente (-1,8%). Si mantiene poi sotto quota mille il numero di lavoratori che hanno perso la vita: le vittime sono infatti 930 (40 in meno in confronto al 2010). Un miglioramento, questo, che ha interessato tutti i comparti dell’economia del Paese».
Lo leggiamo nel sito dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro e ben volentieri cediamo la parola a Franco Bettoni, presidente dell’ANMIL (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro), per un commento a questi dati.
Se il dato sotto quota mille per il conteggio dei lavoratori che muoiono a causa di un infortunio può sembrare confortante, resta tuttavia indispensabile andare al di là del numero e analizzare con attenzione queste cifre: infatti, le percentuali su numeri così bassi fanno “più scena che effetto” e in tempi di crisi non si può restare indifferenti a numeri che mettono alle strette l’impegno che vede invece il settore industriale in grave difetto.
Gli statistici dell’Istituto Assicuratore ci insegnano per altro da anni che l’elaborazione dei dati non può ritenersi definitiva, se non passano almeno nove mesi dalla chiusura dell’anno sotto esame e paragonarli a quelli cosiddetti “consolidati” del 2010 non è corretto, ma indubbiamente rappresenta un importante polso della situazione.
Per quanto poi riguarda il dato delle malattie professionali – rimasto invece per anni ignorato – conforta, se così si può dire, il forte aumento delle denunce segnalato, che tuttavia dimostra solo la maggiore consapevolezza dei lavoratori rispetto ai rischi del lavoro, ma non corrisponde certo alla costituzione di rendite, perché le malattie professionali effettivamente riconosciute nel nostro Paese sono solo un quarto rispetto a quelle dell’Europa.
E in ogni caso, raccogliendo 450.000 vittime del lavoro per mancata prevenzione, ci sentiamo in dovere di promuovere la sicurezza in ambito lavorativo e intendiamo sostenere ogni azione possibile per far diminuire i numeri di questo fenomeno, ma il costante monitoraggio di quanto viene fatto dalle Istituzioni preposte è fondamentale.
L’INAIL va certamente ringraziata per i numeri con cui rende possibile a tutti operare valutazioni mirate, perché essi dimostrano che è assolutamente necessario portare a conclusione l’emanazione degli atti normativi secondari rimanenti per la piena attuazione del Decreto Legislativo 81 del 2008 [Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, N.d.R.], per altro quasi già tutti istruiti, destinati a regolare specifici settori di attività lavorativa.
Bisogna poi avviare quanto prima il Sistema Informativo Nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro, il quale sarebbe dovuto partire già da tempo, ma che ha subìto gravi ritardi. E ultimo, ma non certo ultimo, rafforzare i controlli anche attraverso processi di formazione, individuando come strumenti utili gli organismi paritetici e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, aziendali e territoriali.
In conclusione va rtilevato che restano ancora molti percorsi da fare, ad esempio nel settore dell’agricoltura e per quello che riguarda le donne lavoratrici, ma come Associazione di vittime, sottolineiamo la totale distrazione verso l’inadeguata tutela delle centinaia di migliaia di lavoratori infortunati, allorché il Testo Unico Infortuni resta un caposaldo per il riconoscimento degli indennizzi e laddove la presa in carico dell’infortunato resta un “obiettivo fantasma”».
*Presidente dell’ANMIL (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro).
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